Cercare di dare una definizione di foresta è molto più difficile di quanto sembri. Tutti sappiamo che si tratta di ambienti la cui forma vegetale dominante sono gli alberi e che si trovano in tutti i continenti del mondo, Antartide esclusa. Possiamo scendere più sul tecnico e dividerle in foreste boreali, temperate e tropicali, a seconda della posizione geografica; possiamo dire che sono fondamentali perché producono ossigeno, consolidano il terreno e regolano il flusso dell’acqua, condizionando in questo modo il clima locale e globale. Ancora, possiamo sottolinearne le capacità produttive e riconoscergli il titolo di ambiente terrestre con il più alto tasso di biodiversità del pianeta. Per quanto incredibili, queste definizioni non rendono ancora giustizia alla perfezione di questo sistema ecologico derivante dalla continua sinergia di fattori abiotici e biotici. Come un vero e proprio organismo vivente, infatti, la foresta è in grado di autoregolarsi, interagire con l’ambiente esterno ed anche modificarlo; la sua influenza sulla biosfera è paragonabile solo a quella degli Oceani.

La foresta è viva
Ogni organismo deve mettere in comunicazione diverse parti del suo corpo per poterle coordinare e giungere ad un unico importante obiettivo: sopravvivere. Troviamo soluzioni diverse nel mondo animale ed in quello vegetale: il primo ha sviluppato un sistema nervoso, mentre il secondo utilizza un sistema di segnali elettrochimici. Volendo perseguire la tesi che le foreste sono dei grandi organismi, possiamo individuare il Wood Wide Web come suo mezzo per inviare e ricevere informazioni anche a grandi distanze. Si tratta di una rete fungina che vive in simbiosi con le radici degli alberi, trasferendo per loro informazioni, acqua e nutrienti, in cambio di zuccheri derivanti dalla fotosintesi. Proprio come nel film Avatar, i grandi alberi HUB, o alberi madre, hanno un numero elevatissimo di connessioni (anche con esemplari di specie diverse) con cui raccolgono e memorizzano informazioni inerenti le strategie di sopravvivenza che poi trasmettono ai giovani prima di morire. La coordinazione dell’organismo comprende sia la gestione delle risorse, mediante lo scambio di acqua e nutrienti, che dello spazio, con movimenti delle radici. Molti esperimenti hanno dimostrato l’incredibile somiglianza tra il funzionamento delle ife fungine (micorrize) e quello della rete Internet (World Wide Web), da cui il nome di Wood Wide Web, assegnatogli dalla rivista Nature. Una recente scoperta italiana pubblicata su Scientific Reports ha documentato che la vita della WWW è scissa da quella della pianta, pertanto, con la morte dell’ospite, la rete fungina riesce a mantenere la sua vitalità ed attività per oltre 5 mesi, stabilendo nuove simbiosi con altre piante. La naturale morte di un albero, quindi, non rappresenta un grave danno in termini di connessioni forestali perse; situazione opposta, invece, si presenta quando vengono deforestate zone così ampie da dividere in due o più frammenti (pacthes) l’organismo-foresta.
Foreste primarie e secondarie
Negli ultimi duemila anni, l’uomo ha fortemente alterato l’equilibrio forestale con pratiche agricole e selvicolturali o altre forme di sfruttamento legate, di volta in volta, alle esigenze economiche e sociali del periodo. Questo ha portato ad un’ulteriore forma di classificazione delle foreste in primarie e secondarie; come dice stesso il nome, le primarie sono più antiche e, soprattutto, mai state intaccate da alcuna attività umana. Oggi, di queste foreste così antiche e naturali, ne sono rimaste poche ed il tasso di distruzione è sempre maggiore a causa di politiche miopi che le considerano come meri capitali finanziari. Le foreste primarie, invece, offrono tantissimi servizi ecosistemici per la loro reale naturalità. Esse sono un rifugio per specie rare e minacciate, sensibili alla presenza dell’uomo; ricoprono un ruolo importantissimo nel sequestro e nello stoccaggio di carbonio; fungono da modello per la comprensione delle dinamiche di successione vegetazionale, delle misure di protezione adottate dalle piante in presenza di disturbi naturali o di fenomeni causati dal cambiamento climatico. Infine, le foreste primarie ci aiutano a valutare gli impatti umani su ecosistemi simili e a comprendere il potenziale e i limiti della gestione forestale naturale.
Secondo i dati di Forest Europe 2015, nel nostro continente solo il 4% delle foreste presenti è indisturbato dall’uomo e, come se non bastasse, si tratta di tanti frammenti relativamente piccoli e non collegati. Nel 2017 un team di ricercatori, coordinato dall’università di Humboldt (Berlino), ha creato una mappa molto più dettagliata ed accurata delle foreste primarie ancora presenti in Europa, censendone una superficie maggiore di quella attestata fino a quel momento. La cosa mi ha leggermente insospettita, per cui ho approfondito i criteri di inclusione scelti ed, infatti, si sono rivelati meno restrittivi; questi sono in linea con la definizione della FAO che considera primarie le foreste con un’alta naturalità, senza escludere a priori quelle che in passato sono state disturbate dall’uomo (boschi e foreste vetuste). Le vere foreste primarie rimanenti sono quasi tutte situate in aree remote e scarsamente popolate, principalmente in zone montuose o ad alte latitudini (cioè su terreni con bassa produttività agricola e redditività). Un dato che non sorprende poiché l’accessibilità e la distanza dai mercati o dai centri di domanda è uno dei principali fattori di allocazione dell’uso del territorio. La notizia che più mi ha disturbata, invece, riguarda la percentuale di foresta primaria realmente protetta; sebbene l’89% di queste abbiano una qualche forma di tutela, solo il 46% (MENO DELLA META’ di una già misera superficie) gode di severe politiche di protezione. C’è da aggiungere che tra i paesi europei esistono forti differenze nelle restrizioni gestionali applicate ad aree protette, soprattutto per quelle che non sono di importanza Comunitaria, ma non solo. Un caso eclatante fu quello del 2017 a Bialowieza, importante foresta primaria sita tra Bielorussia e Polonia, riserva della biosfera e patrimonio UNESCO; qui il ministro dell’ambiente Jan Szyszko, ignorando le leggi di tutela (Direttive Habitat ed Uccelli), fece abbattere numerosi alberi da legno con motivazioni assolutamente infondate. Solo con il secondo intervento dell’Europa, e l’aiuto prezioso degli attivisti sul territorio, si riuscì a proteggere questo incommensurabile tesoro naturale.

Distruzione degli habitat e perdita di biodivesità
Arrivati a questo punto direi che il valore delle foreste primarie è ormai chiaro a tutti, ma voglio comunque fare un ultimo ragionamento basato su semplici collegamenti di dati scientificamente provati. La distruzione degli habitat naturali è la causa primaria della perdita di biodiversità (intesa come specie, comunità biologiche e variabilità genetica); le foreste sono l’ambiente terrestre con il maggior tasso di biodiversità al mondo (basti pensare alla foresta amazzonica). Si evince facilmente che azioni urgenti di protezione delle aree forestali, quelle vergini in primis, sono, non solo più che necessarie, ma l’unica strada percorribile verso un futuro ancora vitale. Le nostre migliori “armi di tutela” sono quelle intergovernative che comprendono apposite direttive europee, e, ovviamente, la conoscenza. Il caso di Bialowieza, infatti, ci ha insegnato quanto siano importanti la consapevolezza e il coinvolgimento delle persone sul territorio, per segnalare e bloccare azioni fraudolente ai danni dell’ambiente.
Nella pessimistica, ma concreta, previsione della scomparsa di molti tesori naturali, vi consiglio di andare a vedere alcuni di questi luoghi incredibili. Sono tante le foreste che vorrei visitare, in cui vorrei sperdermi per giorni con solo una tenda e il mio zaino. Tra queste ci sono delle vere e proprie meraviglie europee come la Foresta Nera (Germania), chiamata così poiché è talmente fitta da non permettere ai raggi solari di penetrarvi; Bialowieza, ovviamente, per la sua notevole avifauna; Hoia-Baciu (Romania), per il suo fascino spettrale che mi ha sempre incuriosita; la Foresta Bluebell (Belgio), per la sua fioritura di campanule; le incontaminate riserve forestali scandinave come Trillemarka – Rollagsfjell; il Parco Nazionale Durmitor (Montenegro), che vanta 26 diversi habitat ed un conseguente tasso di biodiversità altissimo. Il nostro Belpaese ha numerose foreste meravigliose, ma di valore naturalistico relativamente scarso, poichè alterate dall’uomo. L’unica foresta primaria che possiamo vantare, seppur molto piccola, si trova nel Parco Nazionale del Gran Sasso ed è la Faggeta di Fonte Novello, con esemplari ultracentenari (età media 250 anni) dai diametri di oltre un metro e altezze superiori ai 40 metri.
Voi cosa provate quando camminate in un bosco o in una foresta? Il legame dell’uomo con questo tipo di ambienti è molto forte, come un vero e proprio retaggio evolutivo che si afferma fisicamente ed emotivamente. Il fascino di questi luoghi spesso evoca in noi un lato spirituale che normalmente è sopito, come un sesto senso; sì, perché gli altri 5 si attivano tutti, ma non bastano a sentire davvero la Natura. Nel mio caso è l’olfatto ad avvertirmi per primo della vicinanza di un bosco, con quel profumo verde di umido che mi piacerebbe poter imbottigliare.
Per approfondire: