Equilibrismi in natura

Dosare le parole

In alta montagna predomina il silenzio. Un piccolo sasso che rotola al passaggio di uno stambecco, è il vero testimone della sua presenza. Saltellando nelle profondità del pendio lo stambecco crea nuovi percorsi e il suo volteggiare tra sassi e rocce fa parte del battito della montagna. I silenzi sono costellati dal fragore del torrente, dal gracchiare stridente dei corvi o dal fischio acuto della marmotta. Ogni montagna è una biblioteca infinita e anche da una singola pietra si possono trarre storie affascinanti. Quando si trascorre molto tempo immersi nella natura i sensi si affinano, si avvertono persino le nuvole spostarsi. Ci si sente protetti da questi suoni, sottili come il battito d’ali di un’aquila reale o penetranti come il fragoroso distacco di masse di ghiaccio dalle cime. Per motivi di lavoro mi trovo al cospetto del ghiacciaio del Bernina, a 3000 metri di quota, in un rifugio al confine tra Italia e Svizzera, in alta Valmalenco, Lombardia.

Stambecco in cima ad un ripido pendio

Un mese trascorso a quota elevata dove non mi era mai capitato di lavorare. I primi giorni il respiro è affannoso. Le parole vanno dosate, nulla va sprecato. L’ossigeno va risparmiato, riportando alla ricerca di un nuovo equilibrio verbale. Non possono esistere parole inutili. A tale altitudine entra nei polmoni il 70% dell’ossigeno che respiriamo a livello del naso. Il battito cardiaco aumenta di circa il 17-27 % durante i primi giorni per poi ritornare a valori normali. Aumentano anche i globuli rossi e i litri d’aria che si respirano. In quota anche 15 litri al minuto mentre in pianura i parametri variano dagli 8 ai 10 litri. Pochi giorni e il corpo si adatta a queste nuove condizioni naturali, il respiro più lento incontra il giusto ritmo della montagna, un nuovo equilibrio. Le creste stagliate nel cielo delimitano ogni singola montagna definendo ascensioni alpinistiche molto impegnative. Possono essere lame di ghiaccio o di roccia, frastagliate e pungenti. La Biancograt in particolare è la regina delle creste, chiamata anche via del cielo, e costituisce la linea che caratterizza il versante settentrionale del pizzo Bernina (4049 m), la cima più elevata delle Alpi Retiche occidentali.

Lo stambecco, campione di equilibri

La mattina ha un suo rituale, il primo sguardo uscendo dal rifugio è d’istinto rivolto alle montagne. Vorrei camminare in punta di piedi per non disturbare nessuno, neanche le montagne. Ma è qualcun altro a rubarmi l’idea, alcuni stambecchi sembrano sospesi nel vuoto, proprio al limite del ripido pendio dove svetta il rifugio. Ogni giorno quando ancora nessun turista è presente, lo scenario è loro. Con grazia affrontano i pendii più ripidi e scoscesi e con estrema naturalezza si spostano su pochi centimetri di terra con un equilibrio incredibile. Giunti a un passo dall’estinzione nel corso del XIX sec., la specie (Caprex ibex)si è salvata grazie a numerosi interventi di reintroduzione e all’istituzione, nel 1856, della Riserva reale di caccia del Gran Paradiso, successivamente alla costituzione del Parco Nazionale del Gran Paradiso nel 1922. Altre azioni di reintroduzione, avviate anche dalla Confederazione Elvetica sul finire dell’Ottocento, hanno portato alla ricomparsa dello stambecco in 175 diverse aree alpine europee.

Sul bordo estremo del pendio osservo in silenzio uno stambecco adulto fin quando non si accorge di me e mi guarda senza timore; uno scambio di sguardi, poi avanzando lungo il pendio in equilibrio su esigui spazi di terreno impervio, ripido e scosceso, riprende a brucare, sì perché lo stambecco è un lontano parente della capra. Sembra inspiegabile come un animale possa muoversi su pendii così inaccessibili.

Stambecchi in equilibrio sulle rocce

In natura nulla ha senso se non alla luce dell’evoluzione. In origine pentadattilo, l’arto dello stambecco ha subito un processo evolutivo molto rilevante che ha portato alla scomparsa del primo dito e alla regressione del secondo e del quinto fino a formare i cosiddetti speroni, mentre la terza e una piccola parte della seconda falange del terzo e quarto dito si sono trasformate negli unghioni dello zoccolo attuale. Gli zoccoli anteriori sono leggermente più larghi, un po’ più corti, più forti e sviluppati di quelli posteriori; questo si spiega considerando il fatto che il baricentro dell’animale è spostato in avanti e che gli arti anteriori sono destinati soprattutto al sostegno, mentre quelli posteriori servono essenzialmente alla locomozione. Gli zoccoli, di forma arrotondata e di colore nerastro, sono formati da due pinzette divaricabili ed indipendenti fra loro provviste di un bordo esterno duro ed affilato, detto filetto e da una parte interna, chiamata solea, che poggia sul terreno. La solea è composta prevalentemente da fasci di fibre elastiche e collagene disposti a reticolo e immersi in un tessuto adiposo che fa assumere agli zoccoli una consistenza morbida ed elastica, necessaria a garantire una perfetta aderenza su ogni tipo di terreno. Tali caratteristiche consentono allo stambecco perfettamente adattato a questo tipo di habitat di far presa sulle rocce e trovare sempre un buon punto di appoggio anche sui pendii più ripidi. Un vero e proprio campione di equilibrio. E non è tutto.

Stambecco iintento a brucare su un terreno impervio

Dove la natura diventa ostile verso l’uomo e il terreno appare incalpestabile dal piede umano, lo stambecco sembra congiungere realtà e immaginazione laddove la realtà è l’angusto sentiero di sassi sul quale fa l’equilibrista e l’immaginazione è il baratro in cui affondano le montagne. Congiungere realtà e immaginazione, esterno ed interno, pendio e sentiero, vuol dire cercare un nuovo punto di equilibrio continuamente ad ogni passo. La ricerca dell’equilibrio è data anche dalla strategia alimentare, la ruminazione che permette di incamerare velocemente notevoli quantitativi di cibo senza l’esigenza di una masticazione completa. Questo comportamento, diffuso in tutti gli ungulati alpini ad esclusione del cinghiale, permette all’animale di limitare la permanenza allo scoperto, diminuendo i rischi legati alla predazione. La ruminazione inoltre consente di ridurre i tempi necessari all’alimentazione, che dovrebbero essere forzatamente molto lunghi a causa del ridotto apporto energetico fornito dai vegetali.

Ma lo stambecco deve trovare equilibrio anche nella propria termoregolazione, essendo privo di ghiandole sudoripare. Se durante l’estate il clima è troppo caldo, non riesce a mantenere la temperatura corporea ottimale e deve trovare un compromesso tra esigenze alimentari che lo portano ad alimentarsi nei pascoli più ricchi ed esigenze fisiologiche che lo spingono a cercare zone più fresche. A completare la sua perfetta collocazione in un ambiente tanto severo contribuisce una sorta di radar uditivo che gli conferisce un udito sottile e selettivo capace di individuare i minimi crepitii del manto nevoso, orecchie piccole per evitare la dispersione di calore e molto sensibili alle variazioni della pressione atmosferica: un perfetto strumento per anticipare e fuggire da temporali e valanghe. Non da ultimo il cuore di grande dimensione, adatto a sforzi improvvisi, con una frequenza cardiaca che oscilla da 100 battiti al minuto in estate a 45 battiti in gennaio/febbraio al fine di risparmiare energie.

Gruppo di Stambecchi maschi | © Chiara Baù
Fiori ribelli

L’ambiente intorno a me è aspro e severo. Spesso le nubi si attardano sul fondovalle permettendo una visuale dall’alto dove letteralmente ci si può ritrovare con la testa tra le nuvole. Il colore scuro delle rocce con venature rossastre accentua maggiormente l’aspetto apparentemente inospitale del luogo, conferendo alle montagne un abito quasi infernale dove nessuna forma di vita sembra poter sopravvivere. E invece i fiori che occhieggiano dalle rocce scure stupiscono e lasciano increduli. E’ il caso del ranuncolo glaciale (Ranunculus glacialis) appartenente alla famiglia delle Ranuncolacee, che si sviluppa fino a un’altitudine di 4000 metri.

Ranuncolo glaciale tra le rocce | © Chiara Baù

A 3000 metri l’innevamento dura mediamente più di 200 giorni all’anno. Ma questi minuscoli fiori dai colori variabili dal bianco al rosa scuro fuoriescono da piccole fessure e crepe delle rocce come volessero attirare l’attenzione nei pochi giorni in cui favorevoli sono le condizioni alla fioritura. La varietà dei fiori di roccia dipende da molti fattori come l’orientamento della parete, l’intensità e la durata dell’esposizione alla luce del sole, l’entità dell’innevamento, l’umidità del suolo, la forza del vento, la natura geologica del sottosuolo. Un equilibrio da cercare e scoprire, come insegna lo stambecco con la sua capacità di adattamento.

Sembra che questi piccoli fiori siano in realtà le forze viventi più ribelli, perché hanno scelto di vivere tra pareti scomode, in ambienti duri ed estremi piuttosto che in condizioni favorevoli come nei prati in campagna. Fiori dai petali roseo-vinosi che riescono a sopravvivere in ambienti oltre i limiti grazie a vari stratagemmi: l’habitus ridotto che minimizza la traspirazione causata dall’elevata irradiazione solare delle alte quote o l’effetto raffreddante del vento, e la capacità di accumulare nei tessuti zuccheri, anziché amidi come riserve, in modo che il punto di congelamento si abbassi notevolmente, consentendo la sopravvivenza in ambienti estremi.

Ultime luci | © Chiara Baù
Alla ricerca di nuovi equilibri

Nell’ultima edizione del concorso Wildlife photographer of the year, uno dei concorsi fotografici più prestigiosi al mondo, compare una foto dal titolo “Balia gelatinosa”.

Un carangide, pesce appartenente ad una famiglia di pesci ossei marini, sembra guardarsi intorno dall’interno di una medusa: si è rifugiato sotto la campana di una medusa per cercare riparo dai predatori scoraggiati dalla puntura dell’animale. Un’immagine straordinaria dove il piccolo pesce sembra essersi fuso con la medusa stessa. Almeno 80 specie cercano protezione all’interno delle meduse, le quali non ne risentono, ne traggono beneficio. Tuttavia se l’acqua del mare diventasse più acida, come si prevede a causa del cambiamento climatico, ciò potrebbe influenzare i sensi dei pesci che saranno meno attratti dai loro ospiti col rischio di trascorrere più tempo esposti agli attacchi dei predatori.

I grandi della Terra riuniti a giugno in Cornovaglia per il G7 si sono impegnati a raggiungere entro il 2050 la cosiddetta “net zero”, cioè l’equilibrio fra i gas serra emessi nell’aria e quelli riassorbiti. Ancora una volta il termine “equilibrio”. E sempre in tema di cambiamento climatico, un danno all’equilibrio degli stambecchi è dovuto all’aumento delle temperature che li spinge a quote sempre più elevate, dove l’erba cresce in minor quantità; inoltre lo scioglimento precoce della neve provoca un anticipo della stagione vegetativa, non più sincronizzata con il delicato periodo delle nascite dei piccoli.

Due esempi di equilibri precari. Con i suoi stratagemmi la natura cerca di proteggere ogni essere vivente, escogitando nuovi punti di equilibrio, un equilibrio che purtroppo l’uomo sta mettendo a dura prova.

E numerose solo le riflessioni che scaturiscono sull’argomento, non ultima quella di essere nati in un’epoca in cui i telefonini non esistevano e che, a mio avviso, può anche rivelarsi una fortuna. Protetta dalle montagne e dall’assenza di internet (alla quota in cui mi trovavo non era presente alcun segnale) apprendo sempre nuovi insegnamenti. Imparare a connettermi prima con la natura che con il cellulare ha senza dubbio innumerevoli vantaggi. Osservo lo stambecco e provo a trarre dal suo armonioso cammino nuovi spunti di ricerca e nuove forme di equilibrio.

L’abbraccio alle montagne | © Chiara Baù
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8 pensieri su “Equilibrismi in natura

  1. Nanni dice:

    Tornato da un ambiente ancor più aspro e ostile delle tue montagne, dove un’estate antipatica ci ha tenuto quasi sempre sotto un cielo basso e cupo, eccezionalmente senza quasi vita animale intorno e sballottati da mari incrociati e gelidi, la lettura delle tue righe mi riscalda il cuore, come sempre.

    • Chiara dice:

      Grazie caro Nanni, poterti scaldare il cuore dopo che sei stato mesi al circolo polare , è un privilegio oltre ad essere una gran piacere.

  2. Claudio dice:

    Leggendo questa nuova storia di Chiara sono tornato indietro nel tempo quando i miei genitori mi portavano in montagna e la fantasia galoppava alimentata dagli occhi spalancati su panorami magnifici, imperiosi ma anche dolci. Profumi, odori, colori e nulla che disturbasse quella quiete totale, quasi terrificante per cittadini abituati alle frenesie cittadine. Una colazione al sacco, fotografie che dovendo essere sviluppate diventavano ricordi vivi e indispensabili. Nessuno squillo, nessuno che parlasse concitatamente ad un telefono o perdesse il momento, il collegamento con ciò che lo circondava, fosse un bel fiore, un volo d’uccello, la natura circostante. Rispetto, timore reverenziale che le cime incutevano a noi bambini, ragazzi…oggi una passeggiata è definita trekking e va consumata come un cioccolatino per dire che ci si è stati in quel posto, poi in un altro, in un altro ancora…tempo consumato più che goduto senza fretta, senza clamore, in contemplazione e immersi nei propri pensieri. Ma così è, non si può e non si deve tornare indietro, però sicuramente qualcosa abbiamo perso strada facendo. E l’equilibrio è sempre più precario perché a differenza degli stambecchi non ci adattiamo al territorio in cui viviamo ma pretendiamo di terraformarlo per le nostre esigenze consumistiche.

    • chiara dice:

      Grazie Claudio per il tuo commento e per aver riportato il tuo ricordo. Proprio per questo equilibrio ahimè precario, si deve e si può, ne sono convinta, tornare ad uno stato di sinergia con la natura che può insegnarci ogni giorno ad avere un equilibrio in ogni cosa.

      • Alessandra Berzuini dice:

        La lettura di questo brano magnifico ci fa assaporare colori, tepori, fruscii e profumi della montagna. e ci troviamo come entità invisibili al cospetto degli animali. L’abbraccio alla montagna di Chiara è l’integrazione dell’essere umano nell’universo, l’incontro tra il presente e l’eterno, l’essenza della nostra esistenza

        • chiara dice:

          Grazie Alessandra, facciamo parte di una natura meravigliosa, non possiamo che rispettarla ma soprattutto accorgerci di quanto bella e maestra sia per ognuno di noi

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