Il 17 ottobre si è svolta a Londra la prima cerimonia di premiazione dell’Earthshot Prize che ha visto assegnare all’Italia ben due dei cinque premi previsti. Di che si tratta?
L’Earthshot Prize è un progetto decennale voluto dal principe William per trovare delle soluzioni utili a migliorare il destino del nostro pianeta e delle generazioni future. L’idea di fondo è di ispirare azioni collettive, mettendo in luce la capacità di ingegno umano nel trovare soluzioni ad ogni problema. La Fondazione Reale del Duca e della Duchessa di Cambridge si è ispirata al Moonshot del presidente Kennedy che è riuscito a portare l’uomo sulla luna, dando a milioni di persone un obiettivo comune. Allo stesso modo il Premio Earthshot vuole presentare al mondo 50 soluzioni diverse, 5 ogni anno per 10 anni, ai maggiori problemi che affliggono il nostro pianeta, identificati e ricondotti alle cinque categorie scelte: «Proteggi e ripristina la natura», «Pulisci l’aria», «Rianima gli oceani», «Costruisci un mondo senza rifiuti» e «Ripristina il nostro clima». L’aspirazione del Premio è quindi molto alta perché non si basa solo sull’inventiva dell’uomo, ma anche sulla sua capacità di sentire davvero il problema, comune e incombente per tutti, e di volerlo risolvere replicando e ispirandosi alle idee proposte nei prossimi dieci anni. Da questo punto di vista, il premio di un milione di sterline, messo in palio per ogni vincitore, risulta l’incentivo di partenza che servirà ad avvicinarsi al vero e più grande obiettivo dell’Earthshot: diffondere tanto ottimismo da innescare una reazione a catena che porti ogni uomo e donna del Pianeta a lottare per la sua Casa e per il futuro dei propri figli.

In questo tripudio di ottimismo, a cui vorrei tanto credere, si configura molto più adatto l’altro premio in palio, che affianca il milione di sterline, ovvero quello simbolico da sfoggiare con ben più orgoglio: il “Precious Matter” creato dal designer olandese Christien Meindertsma. Si tratta di 50 premi individuali che si ispirano alla prima fotografia della Terra scattata dallo spazio nel 1968 (“Earthrise”), accreditata per aver contribuito all’inizio del movimento ambientalista; ogni premio, realizzato con ottone riciclato, raffigura la superficie terrestre da un’angolazione leggermente diversa, unendosi a formare l’intero globo.
Ma andiamo a vedere i vincitori e i finalisti di questo primo anno che si sono distinti tra le ben 750 candidature pervenute a partire da novembre 2020.

Proteggi e ripristina la natura
Il premio è stato assegnato alla Repubblica del Costa Rica che ha raddoppiato l’estensione delle sue foreste e incrementato la biodiversità con programmi di tutela ambientale basati sul lavoro dei propri cittadini, pagati per proteggere le foreste, piantare alberi e ripristinare gli ecosistemi. La straordinaria efficacia di questi programmi è dovuta alla semplice logica: azzerare gli illeciti ambientali indotti dalla povertà, monetizzando la tutela della Natura. I proventi del boom dell’ecoturismo che ne è derivato ammontano a 4 miliardi di dollari, il ché ha spinto il governo ad adottare lo stesso approccio per le aree urbane, fornendo al mondo un altro esempio di successo che può essere imitato per arrivare a tutelare facilmente il 30% della terra e degli oceani.

Tra gli altri finalisti si è distinta la Pole Pole Foundation (POPOF) congolese che, basandosi sulla stessa logica, ovvero contrastare la povertà e la fame della comunità per ridurre la deforestazione e il bracconaggio, ha favorito la sinergia tra uomo e Natura con progetti agricoli, nuovo lavoro e alberi piantati.

Pulisci l’aria
Vince l’impresa indiana Takachar, di Vidyut Mohan, con una tecnologia portatile ed economica che, collegandosi alle macchine agricole, converte i residui del raccolto in bioprodotti vendibili quali carburante e fertilizzante. Nei campi intorno Nuova Delhi, così come nel resto del mondo, questo tipo di rifiuto viene normalmente bruciato, producendo grandi quantità di inquinanti atmosferici che riducono le aspettative di vita dei locali dai 5 ai 10 anni. Questa tecnologia ridurrà le emissioni della produzione agricola del 98%, per un totale annuale di un miliardo di tonnellate di anidride carbonica, contribuendo alla lotta al cambiamento climatico e migliorando le condizioni di salute di miliardi di persone.

Tra i finalisti mi ha colpito molto l’idea di Ma Jun che ha creato il primo database ambientale pubblico della Cina; con Blue Map è possibile consultare, o segnalare, informazioni sulla qualità dell’aria e dell’acqua, contribuendo alla divulgazione ed alla misurazione degli inquinanti. Con 10 milioni di download, la rete di cittadini consapevoli entra a far parte dell’iniziativa multi-stakeholder che sta cambiando le città cinesi con il potere della trasparenza, della responsabilità e, soprattutto, con l’indispensabile partecipazione del pubblico.
Rianima gli oceani
Coral Vita si distingue con le sue strutture di coltivazione dei coralli per ripristinare le barriere coralline, oggi fortemente minacciate dal riscaldamento e dall’acidificazione degli oceani. Sam Teicher e Gator Halpern hanno progettato per Grand Bahama le prime “coral farm”, i cui metodi fanno crescere il corallo fino a 50 volte più velocemente rispetto ai metodi tradizionali. Portare avanti con successo questo progetto vorrebbe dire ripristinare gli habitat di barriera del mondo, tutelando l’enorme biodiversità che li caratterizza e, al contempo, creerebbe nuovi posti di lavoro sostenibili nel settore delle economie costiere.

Non posso proprio esimermi dal riportare anche gli altri due finalisti di categoria che faccio fatica a non considerare parimenti importanti. Nel 2008 il Dr. Enric Sala, Explorer di National Geographic, ha fondato il progetto Pristine Seas, riunendo un team di scienziati, registi ed esperti di politica, con l’obiettivo di proteggere il 30% dei nostri oceani entro il 2030; ad oggi il programma ha contribuito a creare 24 riserve marine in tutto il mondo, in un’area grande il doppio dell’India. Nel 2018, invece, è nato il programma Living Seawalls, fiore all’occhiello del Sydney Institute of Marine Science, che progetta e realizza dighe viventi con pannelli che riproducono importanti habitat costieri come le pozze rocciose e le radici delle mangrovie. Queste dighe, oltre a difendere le città costiere dall’innalzamento del livello del mare, offrono riparo alle specie marine minacciate; in soli due anni le Living Seawalls di Sydney presentano il 36% in più di specie marine rispetto alle classiche dighe.

Costruisci un mondo senza rifiuti
Eccoci al premio tutto italiano: è la città metropolitana di Milano a vincere con i suoi Food Waste Hub, ovvero dei poli di recupero del cibo che avanza da supermercati e mense aziendali e viene poi donato alle ONG che lo distribuiscono ai cittadini più bisognosi. Oggi la città ha tre Poli dello spreco alimentare, ognuno dei quali recupera circa 130 tonnellate di cibo all’anno, ovvero 260.000 pasti equivalenti. Un bellissimo progetto che è davvero adatto per la città italiana degli eccessi e degli opposti, dove l’extralusso e la povertà sono ad un vicolo di distanza; per quanto nobile ed utile, però, non riesco a considerarlo come La Soluzione da imitare per risolvere il più grande problema dello spreco e delle disuguaglianze, ma solo un palliativo. Il milione di sterline l’avrei probabilmente assegnato ad uno degli altri finalisti. Sanergy, con sede a Nairobi, è la più grande fabbrica di riciclaggio dei rifiuti nell’Africa centro-orientale ed ha dimostrato che la crisi dei servizi igienico-sanitari e della gestione dei rifiuti nelle città in via di sviluppo può essere risolta.

WOTA, una start-up giapponese, sta invece lavorando per migliorare la sicurezza idrica attraverso il recupero delle acque reflue; il primo prodotto dell’azienda, WOTA BOX, trasforma oltre il 98% dei rifiuti idrici in acqua dolce pulita con un’efficienza 50 volte superiore ai tipici impianti di trattamento, una dimensione ridotta e un’installazione semplicissima. Negli ultimi anni in Giappone, più di 20.000 persone le hanno utilizzate con successo dopo che inondazioni, tifoni e terremoti hanno interrotto le forniture d’acqua.

Ripristina il nostro clima
L’altro premio italiano è molto interessante ed è condiviso con la Thailandia e la Germania; si tratta di Enapter, ovvero una tecnologia a idrogeno verde che potrebbe cambiare il modo in cui alimentiamo ogni cosa. La sua tecnologia AEM Electrolyser trasforma l’elettricità rinnovabile in gas idrogeno a emissioni zero. Sviluppata in modo più rapido ed economico di quanto si ritenesse possibile, la tecnologia già alimenta automobili, aerei, industrie e gli impianti di riscaldamento delle abitazioni. Prima della vittoria dell’Earthsot Prize, l’obiettivo di Enapter era di rappresentare entro il 2050 il 10% della produzione mondiale di idrogeno, ed ora, speriamo, possa fare ancora di più.
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