Cop26: quando i giganti fanno passi da nani

La Cop 26 conclusasi il 13 novembre a Glasgow, è stata forse la più attesa: solo tre mesi prima l’ultimo rapporto dello IPCC (Intergovernmental Panel on Cimate Change) aveva annunciato un ‘codice rosso’ per il clima della Terra. In cinquemila pagine un pool di scienziati provenienti da tutto il mondo aveva appurato che il riscaldamento globale stava correndo più veloce di quanto previsto, e che alcune condizioni climatiche erano già irreversibili. Nessuno dei precedenti incontri ha avuto tanta risonanza mediatica, ma le aspettative restano tutte dov’erano, sospese tra bozze di accordi, speranze disattese (soprattutto quelle sul taglio al carbone) e buone intenzioni in cerca d’attore.

Una Cop sotto scrutinio e iniziata subito male per due grandi assenti: i capi di stato di Russia e Cina, due tra i paesi più inquinanti del pianeta. La delegazione più numerosa? Quella delle industrie fossili: 503 rappresentanti. Dopo quasi 30 anni di timidi passi e di sabotaggi ad alto livello, ci si aspettava una svolta.

 

La marcia per il Clima organizzata da Fridays for Future a Glasgow | © Ansa
Cos’è la Cop

Nel 1992, a Rio de Janeiro, viene sottoscritta da 154 stati la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Scopo del trattato: combattere le pericolose interferenze umane con il clima della Terra. La prima Cop, o Conference of the Parties, si tiene a Berlino nel 1995. Ma è la Cop3, in Giappone, a generare il Protocollo di Kyoto, il primo trattato che induce gli stati firmatari a ridurre le emissioni di carbonio e di altri gas serra, istituendo anche un sistema di titoli (Emission Trading che consente lo scambio di crediti di emissioni. Lo scopo è quello di avvantaggiare le economie in transizione o sviluppo e le industrie virtuose.

Gli Stati Uniti firmano con Clinton e si ritirano con il suo successore, G.W. Bush. Ma il protocollo per entrare in vigore ha bisogno dell’adesione di almeno 55 paesi che insieme producano il 55% delle emissioni e gli Stati Uniti da soli emettono il 29% dei gas serra. Il Protocollo di Kyoto diviene effettivo nel 2005 con la firma di Cina e India, che vengono però esonerate da obblighi in quanto non responsabili dell’accumulo storico di gas serra nell’atmosfera. Il 2015 é l’anno dell’Accordo di Parigi, ma stavolta il presidente USA è Obama, e 145 paesi si impegnano a contenere l’aumento delle temperature medie globali non oltre i 2 C°, e possibilmente entro 1,5 C°, rispetto al periodo preindustriale. Trump, nel 2019 si ritira dall’accordo, ma non riesce a sabotarlo: anche senza gli USA restano 180 paesi che insieme emettono più del 55% dei gas serra globalmente.

G-20

Ore prima della Cop, al G-20, i ‘Grandi della Terra’ annunciano di aver accettato all’unanimità la soglia di 1,5 C° come limite massimo al riscaldamento del pianeta, seguendo i suggerimenti degli scienziati del clima. Ma l’India annuncia che la neutralità delle emissioni potrà raggiungerla nel 2070 e non nel 2050, mentre l’ultimo rapporto IPCC sostiene che il 2050 potrebbe essere già troppo tardi.

Greta Thunberg a Glasgow | © EPA
Jet, delegati e manifestanti

Il viaggio di Greta Thunberg a New York, due anni fa in barca vela, era l’unico paragone possibile. Ma il Daily Mail, che ha pubblicato per primo le foto dei jet con a bordo le delegazioni, e i CEO che vogliono salvare il pianeta con oboli miliardari, ha dimenticato di citarla, nella classica dialettica di chi è antisistema quanto anti-Greta. Vero è che le delegazioni sono numerosissime e da Roma a Glasgow su rotaia ci vogliono 22 ore, con tutti i problemi di sicurezza che avrebbe comportato un treno stracolmo di passeggeri tra i più appetibili bersagli del pianeta per il terrorismo.

È il primo novembre e Boris Johnson, arrivato in jet privato anche lui, fa gli onori di casa. Ma la scena, all’apertura dei lavori, è subito di due persone che irrompono con due interventi toccanti. Meriterebbero di essere riascoltati ogni volta che ci chiediamo chi siamo e dove andiamo come specie, ogni volta che ci domandiamo quali siano le conseguenze umanitarie del riscaldamento globale.

Sono gli interventi di David Attenborough, il volto dei documentari naturalistici della BBC, e quindi dei documentari tutti, e di Mia Mottley, Primo Ministro di Barbados. Il primo, scientifico e intensamente motivante nel descrivere come la civiltà si sia sviluppata durante un periodo di 10.000 anni di stabilità climatica, stabilità che noi abbiamo manomesso.

Qui il testo del discorso in Italiano: https://claudiodimanaoblog.blogspot.com/2021/11/cop26-il-discorso-di-sir-david.html

L’altro è un appello accorato, drammatico, da parte di una delle tante nazioni aggredite dalla crisi climatica, al punto di rischiare la cancellazione dei raccolti, ma anche delle terre emerse e quindi di intere civiltà e tradizioni, dell’esistenza stessa delle identità come popoli.

2 -11: stop alla deforestazione entro il 2030

Quello che sembra un successo senza precedenti, un accordo firmato da 147 nazioni, compresi Brasile e Indonesia, ha fatto insorgere gli ambientalisti, che s’aspettavano una moratoria con effetto immediato. O al massimo entro la fine del 2022.

Nella stessa giornata Stati Uniti e Unione Europea s’impegnano a ridurre le emissioni di metano. A parità di energia prodotta libera meno gas serra del petrolio e del carbone. Ma è di per sé il gas serra più potente di tutti: circa 80 volte più potente della CO2 a parità di peso. Viene disperso nell’ambiente dai processi di estrazione e raffinazione del petrolio, soprattutto con la controversa attività di fracking. Inoltre, lo scioglimento del permafrost sta diventando una pericolosa via d’uscita di questo gas, prima imprigionato dal ghiaccio, nell’atmosfera, un danno difficile da quantificare.

Permafrost, Siberia | © stihi.ru
4-11: proposta di stop alle centrali a carbone entro il 2040

Cina, Usa, Australia e India non firmano. Sul carbone, la più dannosa di tutte le fonti fossili, l’unica bozza timida e insufficiente resta quella del G-20, dove tutti, Cina compresa, si impegnano a non finanziare centrali a carbone fuori dai loro confini. Niente altro. La Cina, durante i colloqui, raggiunge il recod di estrazione del carbone: quasi 12 milioni di tonnellate al giorno. Gli serve per produrre acciaio, dice. L’acciaio si fa col carbone e il 50% della produzione mondiale, proviene dalla Cina. Ma anche i pannelli solari, il 70%. I governi firmano per tagliare fondi pubblici alla ricerca petrolifera all’estero, ma in casa possono continuare a fare qualsiasi cosa.

Avete cominciato voi

Oggi il record delle emissioni è della Cina, ma la CO2 accumulatasi nell’atmosfera in più di cento anni, non è tutta sua: ha il marchio di fabbrica d’Europa e Stati Uniti. Quello di Cina e India è un punto di vista che trova un ampio, e assai più legittimo, consenso presso i paesi in via di sviluppo.

Vanessa Nakate | © Vogue / DeLovie Kwagala

Ed è per questo che Vanessa Nakate, attivista ugandese di Fridays for Future si è battuta al fianco dei più poveri per sostenere la costituzione di un fondo di risarcimento per i danni climatici. Ecco cosa dirà l’11 novembre:

“Sono qui per dire che non vi crediamo. Sentiamo discorsi grandiosi, ma poi vi vediamo arrivare alla Cop26 con jet privati. Stiamo affogando nelle promesse, non bastano le intenzioni. Sono qui per dire al mondo della finanza e del business: dimostrateci che abbiamo torto. Abbiamo disperatamente bisogno di voi. Provateci che abbiamo torto!”

 

La marcia per il Clima organizzata da Fridays for Future a Glasgow | © Ansa
6-11: Rappresentanti delle tribù indigene

Le vittime della deforestazione aprono, con Greenpeace e altri, una marcia variopinta per le strade di Glasgow, protestando per non essere state inclusi nel summit. Scende in piazza per la prima volta Scientists Rebellion, i cui membri si fanno arrestare dopo essersi sdraiati sull’asfalto.

8-11: Ancora marce, numeri record

Fridays for Future, Extinction Rebellion ed altre organizzazioni continuano a manifestare a Glasgow. Sono almeno 100.000.

9-11: Per Climate Action Trackers il pianeta sta viaggiando verso +2,7 C°

Lo annuncia in pieno summit il CAT, una coalizione di analisti climatici in base ai piani presentati e produce quattro scenari:

  1. Ottimistico: piena attuazione di tutti gli obiettivi annunciati, compresi gli obiettivi net-zero, gli obiettivi vincolanti a lungo termine e i contributi determinati a livello nazionale (NDC): +1,8 C°.
  2. Impegni e obiettivi: piena attuazione degli obiettivi a lungo termine presentati e vincolanti e degli obiettivi NDC per il 2030: +2,1 C°
  3. Obiettivi 2030 soltanto: piena attuazione degli obiettivi 2030: +2,4 C°
  4. Politiche e azioni: Azioni basate sulla politica mondiale attuale: +2,7 C°.
Scioglimento dei ghiacci
11-11: il BOGA

Beyond Oil and Gas Agreement: una iniziativa di Danimarca e Costa Rica per ottenere entro il 2030 il 70% di energia elettrica prodotta da fonti di energia pulita. Regno Unito, Cina, Russia, Germania, Arabia Saudita, India e Stati Uniti non aderiscono. L’Italia aderisce come ‘friend’ e non come partner.

Il bluff della Cina

Nessuno si aspetta un passo decisivo dalla Russia, nella cui economia petrolio, gas e legname costituiscono l’80% delle sue esportazioni. La Cina, invece, tranne il carbone importa tutto. La sua spaventosa fame di energia ha contribuito all’effetto domino sul prezzo mondiale del gas. Ma la Cina è, tra i paesi più avanzati, quello che paga il prezzo più caro di tutti per la deforestazione, l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico. Il nordovest della Cina, quasi un quarto del paese, si sta trasformando in un deserto, mentre il sudest è soggetto ad alluvioni e dissesti idrogeologici.

In numerosi centri industriali, Wuhan compreso, la gente viene spesso confinata in casa per i lock-down da inquinamento atmosferico, e in un sistema di sanità pubblica, dove il peso economico della pandemia non viene scaricato sulle assicurazioni ma sulle casse dello stato, la Cina non può permettersi di voltarsi dall’altra parte. Lo sa bene John Kerry, segretario di stato dell’era Obama, l’uomo politico più influente al mondo sulla causa ambientale, che nel 2014 dichiarò che il dissesto dei mari era un problema di sicurezza globale (ne abbiamo scritto qui: https://www.imperialbulldog.com/2014/07/29/lemergenza-oceani-e-ormai-un-problema-di-sicurezza-globale/) l’artefice dell’accordo con l’Iran sul nucleare, poi ripudiato da Trump. Dopo il colloquio di Kerry con il delegato cinese, Xi-Jiping e Joe Biden si sentono per telefono e Kerry annuncia la collaborazione tra Cina e USA in un percorso di decarbonizzazione.

L’inviato presidenziale degli Stati Uniti per il clima John Kerry parla col Presidente Joe Biden | © Erin Schaff

Si può leggere come l’ennesima, inconsistente dichiarazione di buoni propositi ma è anche vero che prima dei traguardi ci sono strade, scelte di percorso. Ed è da questi due ‘villains’ soprattutto che il mondo s’aspetta un segnale forte. Gli Stati Uniti hanno un problema mostruoso di uragani sul versante atlantico e di siccità nell’ovest del paese. Stati Uniti e Cina sanno entrambi che non può continuare così. L’Europa, la più virtuosa tra i due, in termini di percentuali globali, non fa una bella figura con le emissioni pro-capite.

12-11: Non c’è un accordo

Il summit è finito, ma non c’è ancora un accordo e i lavori proseguono. John Kerry prende il sopravvento sulle trattative, ma la sua mediazione è fallimentare. I lavori continuano finché Alok Sharma, presidente della Cop26 quasi scoppia in lacrime: ‘I apologize, I am deeply sorry’ dichiara davanti ai delegati. ‘Mi rendo conto che non farà tutti contenti, ma dobbiamo proteggere questo pacchetto nel suo insieme’. Si sente in colpa per il suo paese d’origine, l’India, che ha sabotato, insieme alla Cina, un accordo quasi concluso sul carbone, imponendo di stralciare il termine ‘abbandono’ per sostituirlo con ‘diminuzione’. Si sente tradito da Boris Johnson, il suo capo di governo, sul sostegno ai paesi che soffrono la crisi climatica.

Solo pochi giorni dopo, le scuole e le università di Delhi, India verranno chiuse per l’aria irrespirabile.

Vanessa Nakate ha twittato la sua delusione per la mancanza di un Loss and Damage Fund, un risarcimento per i danni climatici, nel patto di Glasgow:

“C’è stato quasi un momento di svolta per il Loss And Damage: è sembrato, per un breve momento di speranza, che a Glasgow i leader potessero finalmente impegnarsi a istituire un fondo internazionale LossAndDamage per aiutare i paesi vulnerabili che stanno già perdendo così tanto a causa della crisi climatica. Ma nelle ultime ore, gli Stati Uniti, l’UE e il Regno Unito hanno stralciato il concetto di ‘fondo’ dal testo della decisione della COP, annacquandolo. I paesi ricchi chiaramente non vogliono pagare per i costi che stanno infliggendo alle nazioni più povere. Come ha detto Nicola Sturgeon, che ha appena reso la Scozia il primo paese al mondo ad impegnarsi per un fondo Loss And Damage: “La finanza è la chiave, non come atto di carità ma come atto di riparazione”.

 

La Scozia è dunque l’unico paese che ha stanziato un fondo di risarcimento di almeno un milione di sterline all’anno, contro i 100 miliardi richiesti. Mentre la spesa militare mondiale si attesta intorno ai 2000 miliardi di dollari. La Svizzera ha apertamente criticato l’accordo sul carbone come inaccettabile. Kerry si dichiara comunque ottimista.

C’è ormai un consenso unanime sulla gravità della situazione, afferma, nessuno ha confutato 1,5 C° come limite massimo. In effetti, a parte l’Arabia Saudita e alcuni stati del Golfo, nessun governo tenta più di ridimensionare il problema e l’opinione pubblica mondiale è dello stesso avviso, malgrado Facebook il cui algoritmo ha permesso alle tesi negazioniste di sovrastare la visibilità dei post di Cop26 e dei dati scientifici, ormai condivisi dal 98% degli scienziati. Si può serenamente affermare che ogni negazionismo sul clima è frutto di miliardi di dollari spesi dalle industrie dei fossili, soldi spesi in bot, pubblicità e disinformazione prezzolata. Ma è un investimento fallimentare.

Quello che sta succedendo oggi nel mondo, per chi non se ne sia accorto, è paragonabile solo al ’68: una rivolta generazionale contro un’eredità insostenibile. Insostenibile tanto per noi umani quanto per le specie che popolano questo pianeta.

 

Sir David Attenborough | © Sam Barker/BBC

Sulle teste dei delegati che si allontanano pesano le parole di Sir David Attenborough nel suo discorso di apertura:

“Si tratta di questo: le persone che vivono oggi, le generazioni a venire, guarderanno questa conferenza e considereranno una cosa: quel numero (le parti di carbonio ndr) ha smesso di crescere ed ha iniziato a calare grazie agli impegni presi qui? Ci sono tutte le ragioni per credere che quella risposta potrebbe essere sì. Se lavorando separati siamo una forza abbastanza potente per destabilizzare il nostro pianeta, sicuramente lavorando insieme siamo una forza capace di salvarlo. Nella mia vita ho assistito ad un terribile declino, nelle vostre potreste assistere ad una meravigliosa guarigione. Quella speranza disperata, signore e signori, delegati, eccellenze, è il motivo per cui il mondo vi sta guardando. Ed il motivo per cui siete qui.”

 

 

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