La stagione invernale è terminata da poco. I limiti di questo periodo vengono definiti dall’apertura e chiusura degli impianti di sci. Ecco perché una nevicata sul finire dell’inverno sembra un evento fuori copione, mentre invece si tratta di un nuovo inverno, meno duraturo ma più vero. Quest’anno le nevicate non sono state copiose a differenza dell’anno scorso quando a causa dell’emergenza Covid gli impianti sciistici sono rimasti chiusi ed è scesa una quantità di neve impressionante, quasi una beffa della natura per cui la neve ha dominato indisturbata. Pochi i fiocchi caduti, il minimo indispensabile concesso dalla natura.

I boschi apparivano secchi e i prati ansimavano assetati di neve. E improvvisamente la nevicata più abbondante della stagione si è presentata imprevedibile e sconcertante proprio al termine della stagione invernale su tutto l’intero carosello sciistico. In quei giorni mi trovavo in montagna, avendo appena concluso un’intensa stagione di lavoro. Immersa in questo evento inatteso ho percepito un silenzio diverso. Nel giro di due giorni è caduto più di un metro e mezzo di neve, ininterrottamente. Ed era già inizio primavera. Eppure la neve è arrivata in un’atmosfera che già risuona del cinguettio dei primi merli, quando tutta la natura si appresta a risvegliarsi dal torpore invernale. Un evento inaspettato che porta ad una consapevolezza diversa, rispetto a dicembre.
All’inizio dell’inverno ci si aspetta razionalmente una nevicata funzionale agli impianti di sci, alle migliaia di turisti che programmano vacanze in un paesaggio imbiancato, come se la neve dovesse servire ad esaudire i desideri dell’uomo. Invece questa nevicata di aprile è pura, più autentica, più reale, non è attesa da nessuno, non serve a nessuno, anzi la gente della valle si lamenta di questo ritorno di inverno inaspettato che obbliga di nuovo a spalare, ammucchiare e liberare le strade. Incessante scende la neve lenta e costante nella sua bellezza autentica, pronta a saziare i prati, i boschi asciutti e rinsecchiti e a creare un nuovo stupore agli occhi dei bambini. È quasi d’obbligo inoltrarmi in una piccola valle non lontano dal luogo di lavoro per assaporare questa magica atmosfera capace di avvolgere il paesaggio e di rendere tutto inalterato. Una piccola traccia di sentiero si delinea tra gli abeti imbiancati, null’altro.
Avverto un silenzio diverso, disturbato per così dire dai merli e da tutti quegli uccellini che durante l’inverno se ne stavano accovacciati silenziosi al riparo dalle intemperie. Anche la luce è differente, ci si avvicina al solstizio d’estate. Il buio si diffonde verso le nove di sera. Come se questa nuova nevicata volesse far bella figura di sé per consentire al genere umano di ammirarla nella sua semplice veste naturale, funzionale solo alla natura stessa e a null’altro. Cammino lungo la valle ammantata di bianco per circa un’ora, sono le otto di sera, non c’è presenza umana se non una giovane ragazza con i suoi cani. Non ci conosciamo ma capiamo subito di essere due privilegiate, spettatrici solitarie del nuovo inverno. Nell’incontrarci lungo il sentiero non esitiamo ad esprimere altro se non due parole “È una meraviglia”. Proseguo addentrandomi nel cuore del bosco. Nessun altra presenza. So che in zona si aggira un branco di lupi, il che rende l’atmosfera ancora più incontaminata. I rumori degli impianti, degli sciatori vocianti e di tutto il complesso sciistico avevano tenuto lontano questi animali che ritrovano ora il loro habitat in un nuovo silenzio. Anche una piccola baita lungo le piste da sci, adibita a bar durante i mesi passati ed ora sommersa da un’ingente massa di neve sembra gradire questa nuova coperta. Come se prendesse fiato per rilassarsi dopo essere stata presa d’assalto da turisti ingombranti e fastidiosi.

Questo silenzio particolare avrà breve durata, solo un paio di giorni. Il calore del sole ad aprile inoltrato la fa da padrone. Un antico proverbio della tradizione contadina recita “Sotto la neve pane, sotto l’acqua fame”. Questo a significare che quando la neve cade e rimane un po’ di tempo sul terreno non porta altro che benefici e fertilità. Questa precipitazione è una formidabile e fondamentale riserva idrica per il terreno. Sciogliendosi lentamente dà la possibilità a quest’ultimo di assorbire l’acqua per intero. E l’assorbimento idrico è nettamente superiore a quanto avverrebbe se la stessa acqua arrivasse al suolo sotto forma di pioggia. Un vantaggio diretto molto evidente nei terreni in pendio dove l’acqua generalmente scivola via. Sui suoli in piano, invece, consente una percolazione profonda che in questo modo permette di evitare anche i ristagni idrici, spesso provocati dalle forti precipitazioni piovose. La neve è per la terra una manna dal cielo, almeno così la consideravano i vecchi e saggi contadini di un tempo. Un fenomeno atmosferico in grado di proteggere il territorio dal rischio idrogeologico: assorbita completamente dal terreno, la neve non si scarica nei torrenti e non provoca i danni delle piogge intense. Il graduale rilascio di acqua nel suolo lo rende più soffice e di conseguenza molto più accogliente per le coltivazioni. Ma non solo, la neve presenta una certa percentuale di aria nella sua composizione che finisce col servire da isolante. Funge, quindi, da coperta impedendo al gelo di intaccare le radici delle piante. Ho proseguito il cammino fino al termine della vallata e poi sulla scia degli ultimi sprazzi di luce e del buio incombente sono ritornata a casa.
Uno sguardo diverso
La funivia con la sua cabina colorata è sospesa in aria, immobile. Finalmente è terminato il suo incessante andirivieni su e giù. Sembra una nuova spettatrice in questo ambiente quasi irreale. Il turismo invernale è scomparso, la sua sagoma incisa contro il cielo sembra infastidire questa nuova atmosfera di silenzio. Dopo due giorni di nevicata è il sole ad avere la meglio, ben presto i fiocchi di neve si sciolgono in fretta. Le temperature primaverili si impongono con una intensa sensazione di calore. L’inverno improvviso si dilegua, nuovi silenzi tra le montagne anche se picchierellati dallo sgocciolio di ogni fiocco di neve.

Una nuova passeggiata tra i boschi è indispensabile per carpire tutto ciò che la stagione turistica ha appiattito o nascosto. Fiori, silenzi, animali riemergono non tanto dal letargo ma da un’atmosfera in cui imporsi finalmente nella loro abituale dimensione di silenzio. Un cavallo mi aspetta per un’escursione sul costone della valle, un animale con cui condividere una perfetta sintonia man mano che ci addentriamo nel bosco. Mentre sui prati la neve appena caduta si scioglie velocemente, nel bosco l’ombra degli abeti rallenta la fusione del manto nevoso, anzi in alcuni punti Il sentiero è addirittura ghiacciato. Il cavallo procede con notevole energia e possenza, anche se di tanto in tanto si mostra impaurito a causa delle profonde pozzanghere che si sono create improvvisamente per lo scioglimento della neve.

Ha difficoltà nell’affondare in queste nuove isole d’acqua intorpidita mostrando qualche momento d’esitazione. Una sensibilità proverbiale quella dei cavalli, capaci di affrontare senza timore luoghi impervi e di percepire rischi e pericoli. Scomparsi gli sciatori che affollavano piste di ogni difficoltà, una pace incredibile regna tutt’intorno. La natura si riappropria del suo territorio, del suo ambiente. Arrivo in cima al pendio della montagna, il cavallo si riposa dopo una lunga ed estenuante salita e insieme ammiriamo l’ambiente circostante e ci godiamo questo nuovo momento. I boschi alle pendici del mondo alpino riacquistano la loro sacralità. Un ambiente in cui non esiste competizione. Gli alberi sono legati tra loro dalle cosiddette reti micorriziche: le loro radici comunicano attraverso i funghi micorrizici che le colonizzano, consentendo lo scambio di anidride carbonica, acqua e nutrienti. I funghi estraggono dalle radici degli abeti gli zuccheri che non sono in grado di produrre da soli e in cambio trasportano acqua e nutrienti alle radici e oltre, di albero in albero.
Ai lati del sentiero nuovi fiori addobbano il bosco. Riconosco che in tanti anni di frequenza in montagna non ne avevo mai notato la presenza, un invito ad osservare e capire che ogni volta ci offre la natura. Ogni terreno, ogni versante, ogni singolo giorno consente condizioni adatte solo ad alcuni tipi di fiori. Mi ritengo pertanto fortunata di poter osservare in quel preciso istante una pianticella con un fiore che ammiro per la prima volta. Si tratta del farfaraccio bianco (Petasites albus) appartenente alla famiglia delle compositae, una pianta erbacea, rustica, con numerosi capolini bianchi.

Fu Dioscordide Pedanio, medico botanico e farmacista greco che esercitò a Roma ai tempi di Nerone, a classificare per primo queste piante col nome di Petasites, riferendosi alle grandi foglie simili al petasos, un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori di quel tempo. Si tratta di una pianta neofita rizomatosa, cioè una pianta perenne erbacea che porta le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presenta organi aerei e le gemme si producono in organi sotterranei chiamati rizomi. La famiglia, cui appartiene è la stessa delle comuni margherite che si vedono costellare i prati alpini.
Mi rifaccio alle lettere elementari sulla botanica scritte da Jean-Jacques Rousseau a Madame Delessert, nobildonna francese che si rivolse al filosofo poiché voleva insegnare alla giovane figlia a riconoscere le piante. Queste lettere forniscono le conoscenze basilari per sapersi orientare nella vastità del mondo vegetale, e vengono appunto denominate elementari perché Rousseau con tutta la maestria e la chiarezza di grande pedagogo si rivolge alla piccola Madelon per insegnarle a identificare la maggior parte dei fiori che crescono intorno a lei. L’osservazione non si arresta al dettaglio. Rousseau insiste più volte sull’alto significato conoscitivo ed etico della contemplazione disinteressata. Nella lettera sulle Composite o Asteracee, il filosofo invita la piccola ad osservare le margherite.

Questo fiore così piccolo e grazioso è in realtà composto da due o trecento altri fiori tutti perfetti: vale a dire ognuno con una sua corolla, un suo germe, un suo pistillo, suoi stami, suoi semi. L‘abitudine comune è quella di considerarlo un unico esemplare. Si tratta infatti di un fiore aggregato o a capolino. Osservandolo si può notare che le foglioline bianche di sopra e rosa di sotto, che formano una sorta di corona intorno alla margherita stessa, e che appaiono tutt’al più come tanti piccoli petali, sono in realtà dei singoli fiori. Considerando l’intera margherita come un singolo fiore così come il farfaraccio, sarà dunque appropriato assegnarle il nome di fiore composto. Per formare un fiore composto non basta un’aggregazione di numerosi piccoli fiori, ma occorre che una o due parti della fruttificazione, calice o ricettacolo, siano ad essi comuni, cioè abbiano tutti lo stesso elemento, e nessuno il suo separatamente. Ancora una volta un piccolo fiore si mostra nel suo incanto. L’ancestrale legame con la natura e l’umana esigenza di amare ogni forma di vita sono alla base di un modus vivendi che può condurre alla sopravvivenza della specie umana.
Nell’incontro con la natura l’uomo si sottrae alla decadenza morale e intellettuale, aprendosi al rapporto immediato con il Sé e con le cose. Rousseau infatti insiste più volte sull’alto significato conoscitivo ed etico della contemplazione disinteressata: bellezza e ordine del mondo vegetale creano attrazione. Solo nella contemplazione della natura è possibile raggiungere la pienezza interiore, una concordanza tra finito e infinito e un senso di comunione con l’ordine e le virtù dell’universo.
Quel silenzio particolare di un nuovo inverno sia pur di breve durata accompagna la fioritura del farfaraccio bianco che ho incontrato e conosciuto.
L’escursione a cavallo sul costone della montagna è giunta al termine, ringrazio accarezzandolo il cavallo che mi ha accompagnato e riparto appagata verso nuovi silenzi in un mondo infinito tutto da scoprire.
Sempre bello leggerti!
Nanni
Graaaaaazie Nanni
Grazie cara Patrizia
Pace assoluta è la prima cosa che mi viene in mente leggendo quest’ ultimo reportage di Chiara. La purezza della montagna si ristabilisce dopo il periodo turistico invernale, forse un po’ innaturale per questi luoghi ma così importante per l’economia locale. È un difficile equilibrio tra esigenze economiche e preservazione naturale. La sfida del mondo moderno…la speranza è che prevalga il buonsenso…
Grazie Claudio , la pace della natura è tutto
Bellissimo, questa Chiara Bau non sbaglia un colpo, sembra di vivere all’interno dei suoi racconti
Grazie cara Luisa
Bravissima come sempre… articolo davvero sorprendente ed emozionante!!! Complimenti!!!!