Per guarire dalla crisi energetica il Ministero della Transizione Ecologica italiano spinge per un’alimentazione diversificata. E l’integratore chiave della dieta, almeno per i prossimi dieci anni, dovrebbe essere il GNL, metano liquido che arriva in parte da oltreoceano con i cargo protagonisti di una nuova “guerra fredda”. Quella del gas. E lungo tutto il Paese si snoda la ‘ola’ del “no al rigassificatore”: perché è inutile, dannoso, pericoloso.

Le vie del gas, liquido
Un brindisi di Natale 2022 va alla notizia dell’esperimento riuscito di fusione nucleare in California: si è accesa una piccola stella di luce a energia pulita ed economica, anche se dovremo aspettare qualche decade per un utilizzo commerciale. Intanto il treno della crisi climatica corre verso il 2050, l’ultima fermata dove tutti i membri dell’UE dovrebbero aver tagliato il traguardo emissioni zero. Abbiamo meno di trent’anni per decarbonizzare l’Europa. Ad oggi il colore della transizione energetica è blu metano
Mentre prosegue in tutta Europa la ricerca per rendere più efficienti le rinnovabili, è il GNL la fonte di alimentazione emergente, capace di rubare la scena al greggio ed al carbone, e ridisegnare l’atlante energetico globale.
Fino al 2021 il 40% del gas importato in Italia è arrivato dalla Russia nell’entry point di Tarvisio, capolinea del gasdotto TAG (Trans Austria Gas), il restante da Algeria, Libia, Qatar, Azerbaijan, Olanda e Norvegia. Ora che il rubinetto russo è quasi chiuso, è aumentato il giro di quello algerino. Ma non è bastato. Per compensare l’Italia sta aprendo le braccia alle metaniere statunitensi, anche se il prezzo del GNL americano, molto richiesto anche in Asia, è ancora troppo alto. Ed è alto, secondo Leonardo Bellodi, autore di “Gas e potere” (edizioni Luiss University Press) non solo perché le navi metanifere devono attraversare gli oceani, ma perché “…la crescita esponenziale del traffico di cargo accentua i rischi nei choke point (i colli di bottiglia marittimi) perché vulnerabili a interruzioni dovute a vari fattori che possono bloccare il passaggio delle navi: pirateria, conflitti regionali, incidenti, eventi metereologici estremi e terrorismo.” Inconvenienti che non rischia il gas che viaggia nelle condotte.

E il GNL potrebbe arrivare anche da Egitto, Tanzania, Mozambico, paesi dal fragile equilibrio sociopolitico, e dal Qatar, di cui L’Italia è già cliente, un paese dove il sistema giudiziario si basa ancora sulla Sharia, la “legge di Dio”.
Sta all’Europa, in questa ottica ancora molto lontana dalla programmata autonomia energetica, decidere da quale punto cardinale dipendere. Oppure, come suggeriscono alcuni esperti di geopolitica, optare per un più cauto mix energetico, senza affidarsi ad un fornitore prevalente. Eppure l’UE sembra voler sostituire con il metano compresso in arrivo dagli Stati Uniti tutto il gas finora acquistato dalla Russia. Per farlo occorre una rete molto più estesa di rigassificatori, gli impianti che ritrasformano il metano liquido nel gas che viene poi trasferito nella rete di distribuzione. Molti paesi europei, come Germania, Grecia, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, hanno deciso di attivare nuovi rigassificatori.

Anche l’Italia, che per ora ne possiede tre: un impianto terrestre a Porto Venere, in Liguria, un’isola artificiale a Porto Viro in Veneto, e un rigassificatore galleggiante, detto anche FSRU (Floating Storage and Regasification Unit) al largo di Livorno. E il nostro MITE ha preso accordi con la SNAM, la società che in Europa gestisce i principali corridoi energetici, per l’installazione di rigassificatori FRSU in altre località italiane.
Ma come funzionano? Il gas metano, una volta estratto dal giacimento, viene liquefatto con un processo di raffreddamento che ne riduce di oltre 600 volte il suo volume; in questo modo è più agevole trasportarlo nelle navi cisterna fino a destinazione, dove un terminale, generalmente collocato ad una certa distanza dalla costa lo trasforma nuovamente in gas con il calore, facendolo passare attraverso tubi immersi nell’acqua marina. Un gasdotto di collegamento, interrato o aereo, consente infine la distribuzione del metano a livello nazionale. I terminali più gettonati al momento sono proprio le FRSU, navi di grandi dimensioni in grado di stoccare e rigassificare, ancorate al largo o in banchina.

È in arrivo un bastimento…
Questa la mappa dei futuri rigassificatori italiani. A Ravenna nel 2024 comincerà a lavorare un vascello gasiero lungo 300 metri, a 8 km dalla costa, quindi lontano dagli occhi dei cittadini; mentre quello di Porto Empedocle in Sardegna, al momento in fase di valutazione di impatto ambientale, dovrebbe essere alloggiato nell’area portuale, secondo i Beni culturali troppo vicino alla zona archeologica; in Calabria il progetto è di un rigassificatore nella parte industriale del porto di Gioia Tauro, all’esterno del canale; un terminal di rigassificazione è previsto anche nel porto Canale di Cagliari.
È però nella provincia di Livorno, che il fronte anti-GNL ha alzato più forte la voce: nonostante il Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani abbia già firmato l’autorizzazione al posizionamento della FRSU Golar Tundra nel porto di Piombino, il Comune ha contestato il progetto di un contenitore di 180.000 mc di gas all’interno di un porto dove ogni giorno transitano traghetti turistici e pescherecci, oltretutto a breve distanza da case ed uffici.

Sul caso Piombino è stato realizzato anche un instant – documentary “L’Italia oltre la legge” , a firma del giornalista Max Civili, che focalizza una malcelata preoccupazione dei piombinesi, quella che il rigassificatore dimori nel golfo molto più dei tre anni e nove mesi annunciati da SNAM: perché per quella che dovrebbe essere un’ operazione a breve termine è stato speso oltre mezzo miliardo di euro? e perché è stata realizzata una costosa doppia tubatura dal porto alla rete di distribuzione nazionale, se poi dovrà essere smantellata? I cittadini di Piombino temono che il rigassificatore diventi parte del paesaggio a tempo indeterminato, anche perché l’emergenza energetica di questi mesi potrebbe allungarsi oltre le previsioni.

Le FRSU rappresentano un investimento impegnativo: SNAM ha pagato 350 milioni di dollari la Golar Tundra, e 400 milioni la BW Singapore destinata a Ravenna. Soldi che per gli oltranzisti dell’energia potevano essere spesi nella ricerca su eolico e fotovoltaico. E per chi ragiona invece sul “qui ed ora”, come Leonardo Bellodi, l’Italia sta rinunciando all’indipendenza energetica a causa delle nostre “non scelte”: abbiamo detto no al nucleare, abbiamo ostacolato la costruzione del gasdotto TAP che fa arrivare gas da un paese diverso dalla Russia, oggi diciamo no ai rigassificatori.

Gassificatori, zona pericolo?
SNAM ha dichiarato che le sue navi sono dotate di strumenti di rilevazione delle perdite, e di sistemi di emergenza, anche se, in quanto combustibile, il metano deve essere maneggiato con cautela. In Italia a nessuno piace l’idea di avere un titanico conteiner di gas galleggiante ancorato al porto.
Ma il GNL è davvero così pericoloso? Il metano non è di per sé tossico: diventa dannoso quando durante la combustione sottrae ossigeno. E per il suo potere riscaldante è un protagonista dell’effetto serra.
Quello che temono i cittadini delle città portuali come Piombino, oltre alle perdite di gas nell’aria, è soprattutto il pericolo di esplosione.
“Il rischio per chi abita nei pressi dell’impianto esiste, anche se la probabilità di incidente è molto bassa. – spiega Mario Pagliaro, chimico dell’Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del CNR – “Ma il gas naturale in grandi quantità è un potente combustibile che esplodendo è capace di creare autentica devastazione. Ricordiamo che il rischio è la composizione fra probabilità e magnitudo del rischio. Quest’ultima è elevatissima. “
Insomma, sarebbe auspicabile alloggiare i rigassificatori ad una distanza di sicurezza dal centro abitato, proprio come chiedono i piombinesi.
Le perdite di gas nell’atmosfera sono inevitabili durante i processi di liquefazione e rigassificazione, ma sono molto limitate, dal momento che, continua Pagliaro: “È interesse di chi vende così come di chi compra il prezioso gas naturale, che questo non venga disperso prima, quando viene caricato sulle navi, e poi, quando viene rigassificato.”

In realtà è il mare a pagare di più la presenza del rigassificatore, che lavorando rilascia sostanze chimiche, e nella fase di decompressione del metano raffredda troppo rapidamente le acque danneggiando l’ecosistema marino.
È in cantiere una normativa comunitaria sulla sicurezza dei rigassificatori. Ce lo conferma James Turitto, esperto dell’organizzazione ambientale Clean Air Task Force: “L’UE attualmente sta discutendo una legislazione che richiede alle compagnie di monitorare l’inquinamento da metano dai loro impianti. Per ora di fatto non esiste. Abbiamo strumenti e tecnologie per ridurre questo tipo di impatto ambientale, ma abbiamo bisogno di regole più stringenti che includano il rilevamento delle perdite e gli sfiati di gas ogni mese, e che tutti gli stati dell‘UE concordino su standard comuni. L’Unione Europea è indietro rispetto a paesi come gli Stati Uniti, il Canada, la Nigeria, che hanno tutti annunciato una migliore regolamentazione per il metano alla COP 27”.
Finalmente ho capito di cosa si tratta, grazie al Suo approfondito lavoro di ricerca dietro all’articolo. Complimenti!