La più grande migrazione sul pianeta

Sulla terraferma la più grande migrazione, in termini di biomassa, è considerata quella che avviene lungo un tratto della Rift Valley, una faglia che attraversa il continente africano dal Sinai fino in Mozambico. Tra il Kenya e il cratere di Ngorongoro, in Tanzania, milioni di erbivori transumano ogni anno alla ricerca di pascoli seguendo il ritmo del monsone. Ciò che invece accade ogni giorno negli oceani, per numero di individui, massa totale e distanze percorse rispetto alle dimensioni corporee, è una impresa senza paragoni con ciò che accade sulla terra.

Copepodi – larve di gamberetti – larve di granchio | Plancton | © Christian Sardet | wired.com

Tra il giorno e la notte, in mare, migliaia di miliardi di esserini, molti dei quali non più grandi di un millimetro, percorrono fino a novecento metri verticalmente con una cadenza imposta dalla luce solare. Se tutti quegli individui fossero esseri luminosi, un osservatore dallo spazio vedrebbe gli oceani pulsare mentre il pianeta sta ruotando. Il fenomeno era noto già dal 1945, quando i sonar delle navi militari iniziarono a registrare quello che sembrava un improbabile innalzamento e abbassamento del fondale marino nelle ventiquattro ore. L’impiego di strumenti e mezzi sempre più accurati permise ai ricercatori di capire che si trattava di milioni di pesci, soprattutto pesci lanterna, che seguivano gli spostamenti verticali del plancton. Molto presto potrebbero occuparsene i sensori dei satelliti.

Il vagabondo

Plancton, dal greco antico πλαγκτόν, sta per vagabondo. Ne fanno parte uova, larve, alghe, batteri, esseri unicellulari, piccoli crostacei, meduse, salpe e ctenofori. Questi vagabondi dei mari, fino a non molti anni fa, erano considerati esseri il cui destino e azioni erano dettati dalle correnti. Si credeva che la loro mobilità ridotta, o le loro piccole dimensioni, li rendessero inadatti a cercare volontariamente cibo e partner per la riproduzione. Esseri sbandati, quindi, per una larghissima parte destinati a diventare cibo per altre specie. Le scoperte più recenti ci descrivono un’altra storia, a cominciare dalla frequenza e dal raggio degli spostamenti. Si scopre che, come dei pendolari, molte specie di plancton vanno su e giù nella colonna d’acqua ogni giorno, coprendo distanze migratorie da record per le loro dimensioni. Le centinaia di chilometri percorse ogni anno da uno gnu di 200 kg diventano risibili davanti ai 900 metri affrontati ogni giorno da un essere di pochi milligrammi. Miliardi di larve e piccoli crostacei affrontano uno sbalzo di pressione fino a 90 atmosfere e di temperatura fino a 20°C obbedendo alle fondamentali regole della sopravvivenza.

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Fitoplancton nel Golfo di Aden | Yemen | © Nasa.gov

Il fitoplancton di cui si nutrono ha bisogno di luce, che in mare arriva al massimo a trecento metri di profondità. Con il favore della notte molte specie di zooplancton si spostano verso la superficie, dove l’oscurità le protegge dai predatori. Questa migrazione pendolare avviene ad ogni latitudine, anche all’interno dei circoli polari, dove d’estate e d’inverno la differenza tra il giorno e la notte può risolversi in un breve barlume, o in luce diurna incessante. Sapere chi sono, questi organismi, è complicato. L’odierna tecnologia sonar e satellitare può seguire gli sciami, ma non individuare le specie che li compongono. Per osservarli occorrono sonde che prelevano campioni d’acqua e fauna in profondità, sottomarini dotati di luci rosse, che in mare come in un safari notturno non disturbano troppo gli animali. Per carpire questi segreti al mare gli scienziati dell’istituto di ricerca dall’acquario di Monterey (MBARI) hanno spedito un ROV (sottomarino a guida remota) nei fondali di Catalina, isola al largo della California, per osservare la migrazione verticale dello zooplancton.

Migrazione verticale del fitoplancton | © nature.com

Dalle analisi dei dati sembra che lo zooplancton sia capace di programmare questi viaggi dal fondo verso la superficie e viceversa, organizzandosi in sciami secondo meccanismi ancora sconosciuti. Lo studio dello zooplancton e della sua ecologia equivale all’investigare le fondamenta della rete alimentare degli oceani, ma la sua osservazione e comprensione richiede tecnologia avanzata e la messa a punto di un network che connetta scienziati ed enti di ricerca a livello globale. Tutto questo è traducibile in enormi investimenti. Molti di questi fondi potrebbero però arrivare dagli stanziamenti per il contrasto all’emergenza climatica.

Fitoplancton
Il libero arbitrio del fitoplancton

La base di ogni rete alimentare, in mare come nei pascoli, sono le piante. Lo zooplancton si nutre di fitoplancton. Gli scienziati si sono chiesti come il fitoplancton reagisca alla transumanza dei colleghi del regno animale, e quindi alla possibilità di essere predati. Larve e piccoli crostacei sono ovviamente in grado di spostarsi intenzionalmente nelle tre dimensioni, ma in acqua ci riescono anche gli organismi unicellulari dotati di ciglia o flagelli, come amebe e dinoflagellati, ed i cianobatteri che modificano la loro forma. Le diatomee, invece, possono spostarsi solo verticalmente nella colonna d’acqua grazie al metabolismo che controlla la percentuale di grassi all’interno del vacuolo, un organulo cellulare. Torniamo alla ricerca. Per verificare una risposta alla predazione gli scienziati della Washington State University hanno creato un habitat ideale per dei dinoflagellati (fitoplancton) in due vasche alte un paio di metri stimolando i movimenti verticali accendendo e spegnendo luci artificiali. In una vasca, quella di controllo, i dinoflagellati reagivano alla luce esattamente come al ciclo giorno e notte. Nell’altra vasca erano stati immessi anche dei copepodi, loro predatori naturali. In quest’ultima vasca i dinoflagellati iniziavano a nascondersi più in profondità durante la notte artificiale, cercando di mettere delle distanze tra loro e i predatori. L’esito dell’esperimento suggeriva che il fitoplancton fosse in grado di adattarsi alla presenza di nemici nella stessa vasca. Ciò che i ricercatori non sono ancora in grado di stabilire è come il fitoplancton, dominato essenzialmente dal suo metabolismo, possa intraprendere un comportamento così sofisticato. La risposta a questa domanda aprirebbe nuovi orizzonti sull’ecologia dei mari. Le correnti marine, sostiene uno studio dell’Università di Kiel, da sole non sarebbero sufficienti a trasportare dalle profondità i nutrienti di cui la vita marina ha bisogno. La risposta, di nuovo, sarebbe nel fitoplancton che nella sua migrazione verticale non solo sostiene la vita negli oceani ma svolgerebbe un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio.

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Sapphirina copepoda | Plancton | © Sharif Mirshak, Parafilms, Montreal | wired.com

Carbonio che affonda

Gli oceani hanno contribuito alla mitigazione del clima più delle foreste, assorbendo calore in eccesso e CO₂, ma come ce ne siamo accorti è storia molto recente. Negli anni Novanta uno degli enigmi per i ricercatori era il basso livello di carbonio negli strati superficiali del mare rispetto all’atmosfera. Secondo la legge di Dalton un liquido a contatto con una miscela di gas, come per esempio l’atmosfera, dovrebbe assorbire percentuali identiche dei gas che la compongono. Secondo i dati raccolti dai ricercatori, dalla superficie del mare mancava una sostanziale percentuale di carbonio. Mancava anche tenendo conto dell’attività del fitoplancton che, come le foreste, assorbe carbonio durante il giorno e ne rilascia una buona parte di notte. Il carbonio ovviamente non spariva, veniva trasportato da qualche altra parte. Artefici di questo furto provvidenziale, si scoprì in seguito, erano dei piccoli pesci e lo zooplancton. Nutrendosi di notte di alghe ed altri esseri capaci di fotosintesi, lo zooplancton rimuoveva il carbonio dalla superficie per trasportarlo sul fondo del mare sotto forma di cibo per altre specie, come i pesci, o sotto forma feci. E di carcasse alla fine del ciclo vitale. Questa ed altre scoperte hanno contribuito a consolidare tra gli scienziati la convinzione che proprio il mare abbia assorbito la maggior parte del carbonio in eccesso, in parte acidificandosi e in parte catturandolo, per poi spedirlo sul fondo. Dove resterà a lungo se non verrà disturbato da attività umane, come il deep-sea mining o la pesca a strascico su alti fondali. E non solo.

Pesce lanterna

Gli investimenti e le licenze rilasciate per la pesca industriale ai pesci lanterna (ne abbiamo parlato in ‘Lo sfruttamento dei pesci lanterna e le incognite sul clima) potrebbero incrinare questo meccanismo fragile che sequestra il principale agente dell’emergenza climatica ammortizzandone gli effetti. In un futuro non troppo lontano, grazie ai sensori laser di satelliti in grado di scandagliare la superficie per una ventina di metri in profondità, potremmo davvero vedere i mari pulsare in un rendering digitale. E chissà che qualcuno se ne innamori, come la mia generazione si è innamorata dei coralli.

Bioluminescenza | Foto di Trevor Mckinnon – unsplash.jpg

 

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