Il futuro dell’eolico: in alto mare

Pronti, partenza, via alla gara per la turbina eolica offshore più grande del mondo. Al momento è made in China, e a partire dal 2024 in 25 anni potrebbe stoccare 1,6 milioni di tonnellate di CO2: prodotta dalla MingYang, si chiama Myse 16.0-242 ed è alta 263 metri, con pale lunghe 118 metri.

Myse 16.0-242 | © Mingyang Smart Energy

Con un’area di rotazione di 46.000 mq, l’equivalente di sei campi da calcio, produrrà 80.000 megawattora annui che alimenteranno oltre 20.000 case. Con questi numeri ha sottratto il primato della cugina americana Haliade-X, installata nel 2019 nel porto di Rotterdam. E dall’alto di questa mega turbina la Cina, ad oggi il maggior produttore di energia eolica del mondo, seguito da Stati Uniti, Germania e India, guarda lontano, dimostrando che il futuro di questa energia rinnovabile è in mare. D’altra parte la Cina è stata l’ago della bilancia dell’aumento dell’energia eolica a livello globale, facendola scattare al secondo posto delle fonti rinnovabili, dopo l’idroelettrico. Secondo Il Global Wind Report 2022, nel 2021 la Cina ha rappresentato l’80% della capacità eolica offshore aggiunta in tutto il mondo: un traguardo di crescita che l’Europa ha conseguito in tre decenni.

Myse 16.0-242 | © offshorewind.biz
I pro e contro dell’alto mare

Parchi eolici sono in aumento nei mari di tutto il mondo, in genere collocati lungo zone costiere ad alta densità di popolazione: in mare aperto il vento, non incontrando ostacoli, è più forte e più stabile, e questo permette di produrre molta energia in minor tempo, riducendo lo stress a cui sono sottoposti i rotori quando l’aria soffia a intermittenza. E lo sviluppo della modalità “galleggiante” ha favorito l’estensione anche nelle acque più profonde dove inabissare la base di una pala eolica è più complicato. Uno svantaggio risiede nei costi di lavorazione e di manutenzione: le onde, la salinità dell’acqua ed i venti molto forti possono danneggiare le turbine, la cui riparazione comporta un rallentamento della produttività maggiore rispetto agli impianti onshore a causa della difficoltà di trasporto dell’attrezzatura in alto mare.

“Se, come prevedono tutti i report internazionali, il costo dell’eolico offshore calerà ancora – commenta il chimico Simone Angioni nel suo libro “Con la giusta energia” (Gribaudo Editore) – e se saremo in grado di produrre dei sistemi di accumulo dell’energia sufficienti per diminuire l’intrinseca variabilità di questa fonte primaria, allora è probabile che l’eolico crescerà esponenzialmente nei prossimi anni.”

Parco eolico offshore | Foto di Nicholas Doherty | unsplash

I detrattori delle rinnovabili a sole e vento portano avanti l’assunto che la produzione non è programmabile perché è condizionata dal tempo che fa. A dare una mano oggi sono previsioni metereologiche sempre più attendibili. Per sapere se e a che ora utilizzare il surf possiamo consultare in ogni istante il comodo sito Wind Finder; ma per garantire una produzione costante di energia eolica, ci sono veri e propri atlanti del vento che elaborano i dati raccolti dagli istituti di climatologia nell’arco di anni, e che consentono di capire dove conviene installare un impianto eolico. Ventosità, temperatura, densità dell’aria, direzione del vento, e icing, ossia la formazione di ghiaccio che rende meno efficace una turbina: tutti questi fattori vengono rapportati per scegliere il luogo più adatto. E se è vero che il vento è più intenso e frequente di notte (soprattutto in mare) e nei mesi più freddi, il mix ideale sarebbe quello che combina eolico e fotovoltaico: quando le pale di giorno e nella bella stagione girano più lentamente, i pannelli solari compensano la flessione di potenza. Ma in fase di transizione occorre ancora una fonte di energia di supporto che intervenga nei momenti di calo o di arresto: ad oggi la più quotata è il gas.

Mediterraneo, presto culla di civiltà eolica?

Sono prodotte dalla cinese MingYang le 10 turbine al largo del porto di Taranto, che rappresentano il primo parco eolico del Mediterraneo: realizzato dall’italiana Renexia, dovrebbe alimentare il fabbisogno annuo di 60.000 persone. Con questo affare la società cinese ha raggiunto il suo primo traguardo europeo, probabilmente in vista di una colonizzazione dei venti di tutto il vecchio continente.

Eolico a Taranto | © Lifting & Transport International Srl

Da parte sua Renexia si propone di creare a Taranto una filiera dell’eolico che dia opportunità di crescita alle aziende italiane. Nella sua agenda la collocazione nel canale di Sicilia del primo parco eolico galleggiante del Mediterraneo: 190 torri non infisse ma ancorate ai fondali marini, che sulla carta produrranno una quantità di energia tale da consentire la chiusura di tre centrali climalteranti.

E sono sempre di più i progetti di impianti eolici galleggianti sottoposti da diverse aziende italiane all’attenzione del Ministero dell’Ambiente e dello Sviluppo Energetico: tra il 2021 e il 2022 ci sono state richieste per un totale che supera i 25 GW. Il vento del sud è quello più gettonato: i progetti prevedono pale eoliche nei mari di Puglia, Molise, Sicilia e Sardegna, e sottolineano tutti le grandi potenzialità di rilancio dell’economia e dell’occupazione locale.

Secondo il rapporto “Renewable Capacity Statistics 2022”, elaborato dall’ Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili – IRENA, nel 2021 nel mondo la capacità di generare energia eolica è aumentata del 13%. In Italia si contano 900 parchi eolici in 400 comuni, con la Puglia in testa, seguita da Sicilia, Campania e Basilicata, per quantità di energia prodotta. Nel 2021 il tasso di crescita delle nuove installazioni è stato del 13%, un punto in meno rispetto all’anno precedente, ma ora il vento di mare è sempre più appetito dalle piccole e grandi aziende, e secondo gli esperti la creazione di nuovi parchi offshore ed il potenziamento e aggiornamento degli impianti che hanno più di 15 anni potrebbe favorire un significativo avanzamento del nostro Paese verso la decarbonizzazione.

Parco eolico offshore
Il vento del no

L’impatto acustico e visivo è molto inferiore rispetto ai parchi eolici terrestri, se le turbine sono alloggiate a decine di km dalla terraferma, come previsto ad esempio per le 90 torri galleggianti che Odra Energia installerà al largo della costa del Salento, fra Porto Badisco e Santa Maria di Leuca. L’azienda ha presentato uno studio paesaggistico secondo il quale le pale più vicine alla costa appariranno alte 1,4 cm, orientate trasversalmente per ridurne la visibilità. Ma le amministrazioni locali non si fidano di quella che per ora è una simulazione virtuale, e l’intero progetto è stato bollato come “ecomostro”, per la ricaduta negativa che avrebbe sul turismo di una delle coste più suggestive d’Italia.

Nella progettazione di un impianto eolico lo studio del paesaggio è fondamentale: a terra bisogna cercare di collocare le turbine secondo schemi precisi, evitando la cosiddetta disposizione “a selva”, e individuare aree non troppo vicine ai centri abitati o a siti di interesse naturalistico ed archeologico; in mare le pale anche se distanti possono contrastare con uno scenario da cartolina. La verticalità della turbina eolica ha una doppia valenza: consente di occupare meno spazio dei pannelli fotovoltaici, ma la rende percepibile anche da molto lontano. Indubbiamente, rispetto alle distese di pannelli solari, la pala eolica può sedurre gli occhi con la sua slanciata essenzialità, e forse un giorno guarderemo con ammirazione le turbine allineate all’orizzonte dei nostri mari considerandole valore aggiunto al paesaggio, come alcuni casi di architettura “alta” industriale. Ma oggi, è comprensibile anche la diffidenza degli assessori e dei cittadini dei comuni punta di diamante del turismo marino italiano, che si chiedono che effetto avranno le distese di pale eoliche sulle albe e i tramonti in riva al mare.

Parco eolico offshore | Foti di Carl Raw | unsplash

A risentire della presenza dei giganti eolici offshore, secondo molti gruppi ambientalisti, è soprattutto l’ecosistema marino: le pale in movimento creano inquinamento acustico che può compromettere le abitudini degli uccelli, oltre a comportare un rischio di collisione, fattori che potrebbero indurre intere specie ad abbandonare la zona causando un impoverimento faunistico importante. Una rilevante perdita di biodiversità potrebbe verificarsi anche sotto il mare, soprattutto nella fase di insediamento dei pali (un minore impatto si avrebbe con le turbine galleggianti), anche se, in effetti, una volta installate le fondamenta possono diventare scogliere artificiali pullulanti di vita, al pari delle piattaforme di perforazione. E l’intero parco eolico può diventare un utile ostacolo al traffico di imbarcazioni, creando una sorta di zona franca per i pesci.

Nei mari del Regno Unito è in atto ECOWind, un programma di studio degli effetti dei parchi eolici offshore sull’ecosistema marino, in combinazione con altri fattori di stress come la pesca, l’acquacoltura e l’inquinamento. Il resoconto nel 2025. Ma in Italia anche secondo Legambiente non c’è più tempo da perdere: i parchi eolici marini sono un volano per la transizione energetica, rallentata per troppi anni da diverse organizzazioni ambientaliste che, battendosi anche contro i combustibili fossili, rischiano di apparire incoerenti.

Turbine eoliche con pale di abete rosso scandinavo | © Modvion
Pale fai-da-te anche in Europa

Rinnovabili non significa automaticamente indipendenza energetica: le nuove tecnologie pulite, come le turbine eoliche, si basano sull’utilizzo di metalli e componenti che acquistiamo dalla Cina, come il nichel e le terre rare, la cui estrazione tra l’altro inquina terra e acque. E da anni l’Italia ha delocalizzato sempre in Cina gran parte della produzione delle turbine. L’emancipazione si può raggiungere cercando materiali più abbondanti e meno impattanti sull’ambiente, e promuovendo filiere più corte. Dobbiamo quindi confidare nelle nuove leve dell’ingegneria europea affinché progettino soluzioni a Km quasi zero. Meglio ancora se ecosostenibili.

L’azienda svedese Modvion | © Modvion

L’azienda svedese Modvion propone nientemeno che turbine eoliche con pale di abete rosso scandinavo, nome tecnico LVL (Laminated Veener Lumber), un materiale che per la sua leggerezza rispetto all’acciaio rende più facile costruire, trasportare e assemblare un aerogeneratore. La manutenzione è più agile: non ci sono bulloni da controllare periodicamente perché i moduli sono incollati fra loro, e un rivestimento di vernice impermeabile protegge il palo dall’umidità. E quando la turbina viene smontata, dopo circa 25 anni di vita, il legname viene riciclato. Sono invece rivestite dello stesso tessuto delle vele da barca le pale eoliche prodotte dal team di ACT Blade, capitanato dall’italiana Sabrina Malpede, con sede in Scozia ma in programma di trasferire l’azienda in Italia, non a caso accanto al porto di Brindisi, protagonista di molti progetti di parchi eolici: più leggere, queste pale hanno anche una forma più allungata per aumentare il raggio di cattura del vento. La danese Vestas ha invece dichiarato l’impegno nella realizzazione di turbine riutilizzabili al 100%, attraverso un “riciclaggio chimico” dove la resina viene scomposta nei suoi elementi base e poi rigenerata.

Pale eoliche prodotte dal team di ACT Blade | © ACT Blade
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