I corsari barbareschi, al servizio degli Ottomani, seminarono il terrore lungo le coste europee. Lo testimonia il tipico paesaggio del Mediterraneo, un susseguirsi fitto di torri e fortificazioni. C’erano di mezzo il controllo del mare, la caduta degli Arabi e la nascita di nuovi imperi. Vorrei però iniziare non dal principio ma da una vicenda che contiene già tutti gli elementi più importanti della storia: la marineria, i rapimenti, i rinnegati. Questa vicenda vede come protagonista un personaggio noto a tutti, anche ai non appassionati di Storia o di Mare.
Dalla battaglia di Lepanto all’hidalgo geniale
È il 24 ottobre del 1580 e dal carcere di Algeri viene condotto fuori un uomo con la mano sinistra semiparalizzata. Nove anni prima, secondo il suo racconto, s’era beccato un colpo di archibugio che gli aveva reciso un tendine, o un nervo.
Si chiama Miguel de Cervantes e quel colpo gli è stato inferto a Lepanto, durante la famosa battaglia tra la flotta ottomana e quella della Lega Santa, la prima grande battaglia navale vinta dai cristiani. Lui è uno dei 7.874 feriti della sua parte. Curato in un ospedale a Messina, appena dimesso aveva implorato di farsi assegnare il comando di una compagnia, riuscendo nell’intento. Il destino l’aveva portato a bordo della galea Sol.
Mentre navigava nel Mediterraneo occidentale, il rinnegato cristiano Arnaut Mami, un ammiraglio albanese al servizio degli Ottomani d’Algeri, sferrava un attacco. Era il 25 settembre 1575. Arnaut e suo fratello Dali, un corsaro solito a mozzare nasi e orecchie ai prigionieri, catturavano la Sol, il suo equipaggio e altri due fratelli illustri: Miguel e Rodrigo de Cervantes. Rodrigo verrà liberato dopo il pagamento di un riscatto da parte della famiglia, ma i soldi per Miguel non sono nelle disponibilità della famiglia, di modesta estrazione.

Miguel è un comandante, dopotutto, e prima o poi sarebbe stato scambiato. Difficilmente sarebbe stato venduto come schiavo, la mano offesa lo rendeva disabile. Finalmente, dopo quasi cinque anni dalla cattura, i cancelli si aprono. In suo favore è intervenuto un ordine monastico francese, quello dei Trinitari, il cui nome completo è Ordine della Santissima Trinità e Redenzione degli Schiavi. Venticinque anni dopo avrebbe regalato all’umanità il capolavoro della lingua Castigliana, il Don Chisciotte, ma l’ultimo vocabolo nel nome dell’ordine indica un problema. Un problema grave.
Due milioni e mezzo di persone ridotte in schiavitù nel Mediterraneo
In quasi ottocento anni questo è il numero che la maggior parte degli storici ritiene plausibile. Secondo un coro di cronache dell’epoca i corsari barbareschi rapivano soprattutto donne e bambini. Le donne meno attraenti sarebbero state vendute come serve, le altre ai sultani in costante necessità di ampliare i loro harem. I bambini, invece, venivano cresciuti secondo i dettami di un Islam guerriero ed utilizzati per combattere contro le loro etnie d’origine. La presenza di così tante torri lungo tutte le coste, cristiane e musulmane, ci dà la misura dell’incubo. Un incubo senza frontiere. La schiavitù non è un vizio esclusivo dei corsari barbareschi. Siviglia, Napoli, Malta e Venezia sono fiorenti mercati di esseri umani. Tra il XVI e il XVII secolo l’Europa cristiana si avvale della manodopera di 500.000 schiavi. A seguito di diverse incursioni Khayr al-Dīn detto il Barbarossa nel 1537 cattura solo nelle Puglie un totale di 10.000 prigionieri, 15.000 sono gli schiavi liberati dai cristiani dopo la battaglia di Lepanto.

Nel 1067 ad Annaba, in Algeria, i Cavalieri di Santo Stefano ne catturano così tanti in un solo assalto, ben 1500, che devono venderne una parte a Cagliari per non inflazionare il mercato. Il ritratto dell’epoca non è un quadro allegorico del Rinascimento ma un chiaroscuro drammatico, dalle ombre cupe di un Caravaggio. O di una tragedia elisabettiana.
Com’era iniziato tutto
Lo stile delle costruzioni, i vocaboli marinareschi e innumerevoli termini marinari ancora in uso nel Mediterraneo, ci ricordano la presenza araba sulle nostre coste. Archi, cupole, giardini e piscine interni. Arabeschi, algebra, astronomia. I primi strumenti di navigazione. Una medicina più avanzata di quella europea dell’epoca. Una visione platonica dell’universo. Era questo il lascito degli arabi dopo ottocento anni di occupazione, di guerre ma anche di lunghe pause d’integrazione.
Nel XIII secolo Federico II regnava dall’Europa del sud, circondato da saggi cristiani, ebrei e musulmani e l’Islam nutriva il mondo del suo rinascimento. Non c’è bisogno di andare all’Alhambra a Cordoba per capire cosa fosse successo lungo le sponde del Mediterraneo prima del 1492, anno della Reconquista, quando gli arabi furono cacciati dai territori di Spagna. Paradossalmente la loro sconfitta apre un periodo di guerre e guerriglie marinare senza precedenti.
Costantinopoli era caduta quarant’anni prima in mano ai turchi Ottomani e il declino degli arabi, raffinati filosofi e matematici, lascia un vuoto ed apre le porte a una macchina bellica, altrettanto islamica ma così ben organizzata che li avrebbe lentamente fagocitati per far fronte ai comuni antagonisti: i regni europei cristiani. A loro volta in guerra tra loro per il predominio sul continente. Nasce un nuovo impero, un impero tecnologicamente avanzato che si avvale di abili marinai, i corsari.

Agilità contro potenza
I corsari ottomani e le marine militari cristiane disponevano di imbarcazioni affinate intorno alle loro esigenze. Le navi cristiane erano state progettate ed armate per affondare i vascelli nemici e prendere i porti a suon di artiglieria pesante. I corsari barbareschi invece non avevano nessuna intenzione di affondare le loro prede, miravano a impadronirsene o razziarle. Le loro imbarcazioni erano quindi più leggere, più agili e manovrabili di quelle dei loro antagonisti.
Alcuni storici descrivono le flotte cristiane come vere città galleggianti. I soldati a bordo di quelle galee non toccavano un remo. Vogare era mansione riservata ai pochi buonavoglia, rematori stipendiati, ma soprattutto ai forzati. E agli schiavi. Tra soldati e rematori una galea poteva ospitare fino a 500 uomini. Questo gran numero di persone richiedeva spazio, per loro e per il cibo e l’acqua di cui avevano bisogno. Altro spazio lo richiedevano gli innumerevoli cannoni, le loro polveri e le munizioni. Il tonnellaggio cresceva a dismisura. Tutte le navi da battaglia, cristiane e ottomane, disponevano di vele, ma s’affidavano principalmente ai rematori. La battaglia esigeva una capacità di manovra che all’epoca solo i remi potevano garantire. Le navi dei corsari barbareschi, partendo da un altro concetto, erano armate al massimo di un paio di falconetti, pezzi d’artiglieria leggeri incapaci di un affondamento ma micidiali per gli equipaggi con le loro rose di vetri e pallottole. Ai remi non c’erano schiavi o galeotti, ma gli stessi uomini che sarebbero entrati in azione spada in pugno. Erano navi veloci in grado di sfuggire alle pesanti galee e di condurre fulminei arrembaggi. Il pescaggio ridotto consentiva loro di spingersi fin quasi alle spiagge, dove gli armati sbarcavano senza l’ausilio delle lance per compiere rapide incursioni sui villaggi costieri.

Gettando i semi della pirateria moderna
Tra pirati e corsari c’era una fondamentale differenza: i primi appartenevano a bande che agivano in proprio, i secondi beneficiavano dell’approvazione e del sostegno legale di un regno o di un impero. La lettera di corsa autorizzava a depredare le navi ed i porti nemici per conto della corona di turno. Erano corsari Francis Drake, il Barbarossa e lo stesso Andrea Doria, per conto di Elisabetta I, di Solimano il Magnifico e di Carlo V rispettivamente. Gli assalti dei corsari della costa barbaresca seguivano tutti lo stesso schema: arrembaggio o sbarco improvvisi, saccheggio, rapimenti, fuga veloce. Tecnica replicata dai colleghi dei Caraibi e poi dai pirati, corsari e altri marinai regolari che avevano deciso di mettersi in proprio.
Preferivano anche loro navigli agili, barche con un pescaggio minimo che permettevano di nascondersi nelle lagune di mangrovie. Dobbiamo aspettare la dichiarazione di Parigi del 1856 per un bando concreto alla pirateria e alla guerra da corsa. Garantire la sicurezza delle vie commerciali era il presupposto che rese Roma grande, e spietata con chi non si adeguava. L’Impero Ottomano non aderì subito al trattato. Fu costretto a farlo da una presenza ormai insostenibile di navi militari anglo-francesi nel Mediterraneo. Per quattrocento anni i corsari barbareschi tempestarono i mari e le coste. Tuttavia, se c’è un angolo di storia che suscita sorprese anche in noi moderni e genera personaggi leggendari è proprio quello che riporta i fatti delle genti di mare. La prima corsara donna, per esempio, fu una regina del Marocco. Si chiamava Sayyida al Hurra. Era, ovviamente, musulmana.
(Segue)