Quello che poteva sembrare un inizio di stabilità si trasforma in un incubo. Dopo la Reconquista le rotte e le coste del Mediterraneo diventano le più insicure del pianeta. I corsari barbareschi dominano un mare chiuso e due di loro si spartiranno il suo controllo. Uno dei due è una donna, una regina del Marocco.

La sovrana libera e indipendente
È il 2 gennaio 1492 e gli eserciti di Castiglia e Aragona conquistano Granada, in Andalusia, dopo quasi otto secoli di colonizzazione musulmana. Chiunque non voglia convertirsi al cristianesimo, ebreo o musulmano, verrà deportato. Tra le persone espulse c’è una bambina che probabilmente si chiama Aisha. Non sappiamo quanti anni ha, forse sette forse soltanto un anno.
Il suo profilo psicologico da adulta farà pensare ad un ricordo nostalgico dell’Andalusia, ma potrebbe anche averlo assorbito dai racconti dei genitori e di altri moriscos, profughi musulmani come lei. La madre, Lala Zohra Fernandez, è una cristiana convertita all’Islam, una rinnegata. Il padre, Moulay Ali ibn Rashid è un discendente di Abd al-Salam ibn Mashish, un ‘uomo santo’ sufi che vanta il lignaggio del Profeta. Aisha, chiamiamola così, è dunque un’aristocratica.
Fugge con la famiglia a Chefchaouen, città sulle alture a sud est di Tangeri. Qui Aisha ha il privilegio di avere tra i suoi insegnanti Abdallah al-Ghazwani, scienziato teologo e filosofo, lui stesso un morisco. Intelligente e ambiziosa, domina alla perfezione il castigliano e il portoghese e all’età di 16 anni sposa Sidi al-Mandri II, di 30 anni più anziano di lei, governatore di Tétouan, una città vicina. Anche lui è un esule andaluso. Le tribù locali non vedono di buon grado i moriscos.

I nuovi arrivati hanno usi e costumi diversi e ci sono scontri, ma il padre di Sayyda riesce a dialogare con le tribù. Bisogna ricostruire Tétouan che ancora versa in rovina dopo il terribile assalto degli spagnoli avvenuto quasi un secolo prima, nel 1400. I rifugiati andalusi danno una mano, tirano su le mura esterne ed una grande moschea. Anche Al-Mandri II, il marito di Aisha, sogna di ritornare nella sua casa in Andalusia e muove guerra agli spagnoli.
Alla sua morte, come da contratto matrimoniale, Aisha diventa la governatrice di Tétouan con il titolo di Sayyida al-Hurra: la sovrana libera e indipendente. Regna in un momento non facile per il Marocco. Il Nordafrica non dispone di ingenti riserve di materie prime e come la colonia di Granada è in declino da tempo, da quando Bartolomeo Dias aveva aperto nuove rotte commerciali lungo le coste africane, rendendo la penisola iberica sempre meno dipendente dalle carovane che dal Niger portavano mercanzie verso l’Europa. Inoltre, Vasco da Gama è arrivato in India e Colombo ha scoperto le Americhe.
L’intero sistema economico del mondo musulmano teme il collasso. Sayyda al-Hurra trova una finestra di opportunità nell’incentivare la ‘guerra da corsa’ in un Mediterraneo che su tutte le sponde sta trasformando la sua economia di scambi in una economia di guerra. Sayyda al-Hurra arriverà a spartire il controllo del Mediterraneo con due personaggi la cui fama, per non dire della ricchezza e del potere, non sarà superata neanche da un Henry Morgan.


I Barbarossa
Sono due fratelli, i barbarossa: Aruji (o Oruç) e Hizir. Il padre di entrambi, Yakup Ağa è un cavaliere ottomano, un uomo d’armi. La madre, Katerina, è una greca cristiana rinnegata, vedova di un prete ortodosso. Hanno quattro figli in tutto, nati intorno all’ultimo quarto del XV secolo a Lesbo, isola greca che Yakup Ağa ha strappato ai genovesi. Lasciato il mestiere delle armi, si dedica alla produzione e al commercio di vasellame. Gli affari vanno bene, tanto che compra una nave per distribuire i suoi prodotti. Anche se Hizir diventerà il più famoso e il più potente, è Aruji, con gli altri due fratelli, ad abbracciare subito l’attività marinara.
Un giorno, mentre è al comando della nave del padre al largo del Libano, subisce un assalto dei Cavalieri di San Giovanni. Uno dei fratelli, Ylias, resta ucciso e la nave è catturata con tutto il suo carico. Secondo alcune fonti Aruji finisce incatenato per due anni ai remi di una galea, secondo altre in un carcere a Bodrum, allora porto cristiano. La leggenda, sostenuta da alcune cronache ottomane, narra che Hizir accorre a liberarlo. In ogni caso Aruji riesce a fuggire dalla prigionia e i due fratelli insieme abbandonano il commercio e si danno alla pirateria. Per prima cosa cercano basi sicure dalle quali lanciare scorrerie.
Nel 1503 si installano a Djerba, dove il sultano di Tunisi offre loro impunità e riparo in cambio di un terzo del bottino. Catturano, a Lipari, una galea con più di 400 soldati spagnoli a bordo. Razziano navi e insediamenti a Capo Passero, e poi Alicante, e a Diano Marina in Liguria, e poi Minorca, Pantelleria, Malaga, Reggio Calabria, l’Elba e Valencia. Al largo di Genova catturano quattro galee. Sultani e Visir li riforniscono di imbarcazioni agili in cambio di una parte del bottino. I due fratelli, agli occhi di molti profughi musulmani, impersonano la vendetta dell’Islam contro gli spagnoli.

Uomini che volevano incoronarsi re
Nel 1516 il sultano di Algeri li convoca per espellere gli spagnoli che dall’isola fortificata di Peñón de Algier controllano il porto e la baia. Sognano da tempo un territorio tutto loro e l’offerta del sultano sembra l’occasione da non perdere. Un anno dopo, nel 1517, in uno scontro con gli spagnoli Aruji resta ucciso. Hizir prende il suo posto e assume il titolo di Khayr al-Din, il benevolente. Vuole fare di Algeri la base più potente e sicura del Mediterraneo per i corsari della costa barbaresca.
Raggiunge il suo obiettivo nel 1529. Il sultano di Algeri, nel frattempo, lo trovano affogato. Si dice che sia stato Hizir a strangolarlo con le sue mani. Il Barbarossa, ormai l’unico a fregiarsi del nomignolo, è sempre più potente e osannato e nel 1533 assume il comando della flotta dell’Impero ottomano in qualità di ammiraglio in capo. Conquista l’intera Tunisia per i consegnarla ai turchi e Solimano Imperatore lo incorona Sultano Generale. Dalla Tunisia può ricominciare ad assaltare facilmente le ricche coste dell’Italia. Ma Carlo V d’Asburgo, sovrano del Sacro Romano Impero che ha unito sotto di sé i regni di Asburgo e di Aragona, lo stesso monarca che aveva mosso guerra al Papa, non tollera altre incursioni e invia più di 300 navi e 22.000 uomini tra fanti e cavalieri verso Tunisi.
La espugna anche grazie ad Andra Doria, corsaro genovese al suo servizio. Dopo tre settimane di battaglia si contano 10.000 schiavi e 30.000 morti, ma il Barbarossa riesce a salvare la vita e la libertà personale. Tre anni dopo, nel 1538, sconfigge la flotta di Carlo V, dei Cavalieri di Malta, di Genova, Venezia e dello Stato Pontificio nella battaglia di Prevesa, al largo delle coste greche. Il Mediterraneo orientale è saldamente nelle mani di turchi e la flotta ottomana considerata invincibile. Lo sarà per altri 33 anni, fino alla battaglia di Lepanto, ma per ora Khayr al-Din, il Barbarossa ha il controllo di quel vasto specchio di mare.

Il Mediterraneo occidentale è nelle mani di Sayyida al-Hurra
Torniamo indietro, al 1515, anno in cui accadono due fatti importanti nella vita di Sayyida al-Hurra. In quell’anno Sidi al-Mandri II, il sovrano consorte, passa a miglior vita e lei sale al potere senza ostacoli: la popolazione di Tétouan è composta da tanti esuli andalusi, abituati a vedere una donna come monarca e Sayyida s’occupa già da tempo delle faccende di Stato.
Nello stesso anno i portoghesi occupano Ceuta, sulla costa marocchina e i commerci vitali tra Ceuta e Tétouan sono interrotti. La monarca entra in contatto con i fratelli Barbarossa, i più noti corsari sulla piazza. Alcune fonti suggeriscono che la flotta di Sayyida al-Hurra sia stata organizzata secondo precise indicazioni di Aruji e Khayr al-Din ma sappiamo veramente poco di lei, dei pensieri che attraversavano la sua mente. Se gli archivi conservano ammirate elegie ai Barbarossa, anche da parte dei suoi nemici cristiani, non ha la stessa fortuna Sayyida al-Hurra.
I relatori occidentali del XVI secolo non la definiscono isterica solo perché il termine è più tardo. Le cronache islamiche su di lei sono scarse, così scarse che molti storici ipotizzano un tentativo di cancellazione, dopo la sua caduta, di documenti che testimoniano la ripresa, la sicurezza economica e il potere di cui Tétouan gode sotto il suo governo. Non sappiamo neanche se Sayyida al-Hurra abbia mai condotto personalmente un assalto in mare. L’iconografia occidentale ci restituisce ritratti di una donna torva, a bordo di una qualche nave ma non esistono prove documentali della presenza di Sayyida su un ponte durante una campagna navale. Sappiamo che è estremamente capace nel configurare le flotte secondo il tipo di missione, nel pianificare incursioni.


Una di queste missioni riguarda Gibilterra, un promontorio che la Regina Isabella ha definito La chiave di Spagna. Si suppone sia Sayyida al-Hurra ad organizzare l’incursione perché è con lei che poi negozia la Spagna per il riscatto dei prigionieri. Il suo piano è creativo, concepito nei dettagli. La prima mossa è quella di infiltrare, in abiti occidentali, dei rinnegati per studiare le difese e il grado d’allarme in città. Gli infiltrati registrano una Gibilterra serena, completamente ignara. In una notte del novembre 1540 la flotta si avvicina approfittando del buio prolungato.
L’attacco è previsto all’alba. Al levarsi del sole le agili navi corsare sbarcano gli uomini, che scaramucciano subito con la piccola guarnigione a difesa della rocca. Iniziano le razzie ed i rapimenti, poi la fuga prima che i rinforzi riescano a raggiungere il porto. Una scena che si ripete da anni lungo tutte le coste del Mediterraneo. Tuttavia, sull’episodio sopravvive un aneddoto significativo. La notte precedente le sentinelle a guardia della rocca avevano individuato delle navi. Al “chi va là” qualcuno aveva risposto in perfetto castigliano. Le sentinelle non sapevano che a bordo di quelle navi nel buio c’erano dei rinnegati.