Corsari barbareschi IV parte – Trecento anni di incertezze dopo Lepanto

È il 24 agosto 1571 e i messinesi assistono ad una sorta di prodigio che rende la città inquieta. Il mare è fitto di navi, navi da guerra. Sono cristiane, e questo li rassicura, ma non ne avevano mai viste così tante. Sono più di duecento, le navi grandi, con a bordo 65.000 uomini tra rematori e soldati.

Il loro comandante è Don Giovanni d’Austria figlio di Carlo V d’Asburgo e fratellastro di Filippo II re di Spagna. Il suo sbarco a Messina resta così impresso che un anno dopo gli dedicano un monumento. Nei secoli a venire celebreranno l’evento con cavalli, armature tirate a lucido e una regata storica. Nutrono i messinesi, e non solo, in quel comandante e nella sua flotta una speranza: la fine delle incursioni barbaresche.

La battaglia navale di Lepanto tra la Lega Santa e i Turchi nel 1571 | Antonio de Brugada

Mentre Don Giovanni d’Austria sbarca tra mille onori un altro uomo, sempre a Messina, sale a bordo arruolato.

È Miguel de Cervantes, fuggito in Italia perché ricercato dalle autorità spagnole dopo un duello finito male. È stato raccomandato, de Cervantes, da un amico di famiglia, Alvaro de Sandes comandante militare di Napoli. La flotta è quella della Lega Santa, una coalizione militare voluta da Venezia, che fornisce la metà delle forze in campo, e promossa dal Papa Pio V. Nell’altra metà delle forze ci sono uomini e navigli dell’Impero di Spagna, che include Napoli e la Sicilia, i Cavalieri di Malta, la Repubblica di Genova, il Granducato di Toscana con l’Ordine di Santo Stefano, il Ducato di Savoia, Il Ducato d’Urbino e il Ducato di Parma.

Salpano da Messina il 16 settembre per distruggere la flotta ottomana.

Venezia, Cipro e il casus belli

Dopo la caduta di Bisanzio è Venezia la porta d’Europa verso l’Oriente. Secoli di commerci e di contatti lo hanno impresso nell’architettura dei suoi palazzi, delle sue basiliche. Venezia, come Genova, ha fatto i conti sin dall’inizio con territori minuscoli e sanno che un porto può valere più di migliaia di leghe di terreni.

Veneziani e genovesi hanno imparato che una pletora di isole e di basi commerciali marittime, dalla Dalmazia all’Egeo, possono diventare le chiavi di intere economie e leve geopolitiche per la loro posizione strategica. Una di queste isole è Cipro, la più vasta delle isole dell’Egeo. Più vicina al Libano, all’Egitto e alla Terra Santa di quanto lo sia alla Grecia, l’isola è stata prima bizantina e poi araba, poi miracolosamente araba e bizantina insieme per trecento anni. A suon di colpi di stato Cipro diventa un regno crociato e in seguito territorio di proprietà dei Templari che sono costretti a venderla al cavaliere francese Guido di Lusignano.

Nel 1489 Caterina Corner, di famiglia dogale e vedova di re Giacomo II, discendente di Guido da Lusignano, abdica in favore della Repubblica di Venezia. Nel luglio del 1570 Mustafa Pasha, bosniaco cristiano rinnegato, assalta Cipro con 60.000 armati. Papa Pio V e Venezia organizzano immediatamente la flotta ma gli ottomani hanno il vantaggio del tempo. Mentre le navi della Lega Santa stanno ancora navigando verso Messina cadono Nicosia e Famagosta.

Marcantonio Bragadin, Capitano del Regno di Cipro, dopo una strenua resistenza viene fatto prigioniero. Verrà scuoiato vivo in pubblico per una sua risposta sprezzante agli invasori. A bordo della flotta in navigazione nessuno dei comandanti sa cosa sta succedendo a Famagosta. Sanno che Cipro è un territorio strategico e che non si tratta della solita incursione di pirati. La minaccia è seria.

La battaglia

Le galee della Lega Santa attraversano lo Ionio e il 6 ottobre raggiungono la greca Sami, nei pressi di Cefalonia. Don Giovanni d’Austria sa che la flotta turca attende nel Golfo di Patrasso e il 7 ottobre decide di ingaggiarla a Lepanto. Forse conosce già le debolezze della flotta ottomana, che è superiore solo di qualche unità, forse vuole solo indovinarle e manda all’attacco sei galee.

Sceglie le galee veneziane, quelle meglio armate, e costringe le agili navi ottomane a manovrare di conseguenza. Scopre, oppure ne ha solo conferma, che le cannoniere veneziane hanno una portata ed una capacità di fuoco superiori. Il vantaggio dell’artiglieria cristiana, che conta 1815 cannoni contro i 750 delle agili navi ottomane, è schiacciante. A metà battaglia i turchi realizzano di avere un numero di munizioni insufficiente. Alla sera, quando il fumo ed i boati dei cannoni si dissipano, la Lega Santa ha perso solo 13 navi. Gli ottomani contano 50 navi distrutte e metà della flotta catturata dalla Lega Santa.

Le perdite umane sono drammatiche da entrambe le parti. Di 67.000 uomini, tra soldati e marinai ottomani, ne restano uccisi forse 30.000. Dai 7500 ai 10.000 i morti tra le fila della Lega Santa. La flotta ottomana faticherà a riprendersi dallo shock. Le grandi navi varate da quel momento in poi, legni prodotti in fretta e furia, accuseranno problemi strutturali. Molte affonderanno non per i colpi di cannone ma per i colpi del mare.

Mentre Venezia espande il suo Arsenale, gli ottomani si affideranno sempre di più a navigli piccoli e veloci che un qualsiasi cantiere sulla costa barbaresca è in grado di produrre senza avere sorprese sull’affidabilità. Sono le imbarcazioni preferite dai corsari, barche da mordi e fuggi. Forse gli ottomani non possono fare altrimenti o forse intuiscono già che non ci sarà più bisogno di grandi navi cannoniere perché non ci sarà più una grande battaglia come quella di Lepanto. L’Europa si sta disgregando.

I comandanti della Lega Santa | © E. Lessing / Album
Una vittoria psicologica

A Lepanto i membri della Lega Santa raccolgono due nozioni importanti. La prima è che gli ottomani, considerati quasi invincibili in mare, collassano al primo contatto con la tecnologia europea. La seconda è che solo una forte coalizione europea è in grado di sconfiggere gli ottomani. Della seconda non fanno tesoro.

L’Impero ottomano è frammentato ma ha sempre dimostrato nei secoli di sapersi unire meglio dell’Europa contro il nemico comune. La vittoria della Lega Santa ha infuso coraggio ma si dimostrerà futile, provvisoria. Come l’alleanza tra i potentati d’Occidente. Le città europee erigeranno monumenti agli ammiragli protagonisti di Lepanto ma l’ispirazione durerà poco.

Gli ottomani, giorno dopo giorno, superano la crisi successiva alla sconfitta traendo vantaggio dalle innumerevoli dispute interne europee. Possono ancora contare sul sostegno della Francia. Carlo V, del Sacro Romano Impero, ha abdicato in favore di Filippo II e l’ascesa di quest’ultimo al trono, e la successione dei Paesi Bassi, scatenano rivolte in Olanda che si trasformeranno in un secolo di guerre. L’Europa del nord è ancora in fiamme dalla Riforma, per lo scontro fra protestanti e cattolici, e continuerà a bruciare fino in Inghilterra. Le innumerevoli dispute, se ci soffermiamo nei dettagli, si espandono come un frattale.

La big picture, invece, ci consegna una rivalità inconciliabile: quella tra Francia e Spagna. Di dinastia francese era Giacomo II re di Creta. Francese era la classe dominante sull’isola. Caterina Corner era stata costretta ad abdicare in favore di Venezia dopo innumerevoli tranelli e tentativi di colpi di mano cui non riuscì più a far fronte. Mentre l’Europa brucia all’interno, l’Impero Ottomano resta sostanzialmente coeso e felice. La vittoria a Lepanto ha restituito all’Occidente quella sicurezza che era stata messa in dubbio ma l’Europa che sta arrivando è quella descritta dal Manzoni. Non sono i turchi gli artefici dei quadri più drammatici del romanzo, sono gli europei stessi.

Filippo II in un ritratto di Rubens del 1628
Il dopo Lepanto

Gli ottomani non hanno più intenzione di lasciarsi trascinare in un grande scontro frontale e si concentrano su assalti ed arrembaggi. Mentre la guerra in mare tra le potenze europee raggiunge anche le sponde opposte dell’Atlantico, le incursioni dei corsari barbareschi in Mediterraneo si intensificano.

Francia, Spagna, Inghilterra e Olanda, in una sorta di tutti contro tutti, bruciano uomini e navi a vantaggio dei corsari barbareschi, lasciando affondare ogni possibilità di indebolire definitivamente l’Impero ottomano. Che nel 1663 ne approfitterà per bussare alle porte di Vienna. I corsari di Algeri razziano villaggi e città del Devon e della Cornovaglia. Nel 1640 a Penzance catturano e inducono alla schiavitù sessanta persone tra uomini donne e bambini. Quarantacinque anni prima erano stati gli spagnoli a bruciare gli insediamenti di Paul, Newlyn, Mousehole e la stessa Penzance durante il saccheggio di Mount’s Bay.

Nel 1685, centoquattordici anni dopo Lepanto, il capitano ed esploratore britannico John Narborough attacca le navi in porto a Tunisi per estorcere al reggente un trattato che imponga la rinuncia alla pirateria. Nel 1715, ben due anni dopo il trattato di Utrecht che impegna tutte le potenze europee ad accordarsi sulle successioni e a trovare un equilibrio tra le forze in campo i banchieri danesi fondano la ‘slavekasse’, una sorta di assicurazione obbligatoria contro i rapimenti in mare. In sostanza, un fondo per pagare i riscatti. Gli ottomani sono ancora una potenza e la pirateria è ancora un problema. Così come lo è la schiavitù.

Galea veneziana | The Collectioner
Il trattato di Parigi

È il 1856 e la Russia ha perso la Guerra di Crimea contro l’Impero Ottomano, sostenuto – stavolta – dalle maggiori potenze europee nell’intenzione di mantenere gli equilibri. Tra gli stati intervenuti al fianco degli ottomani ci sono la Francia, l’Inghilterra e il piccolo Regno di Sardegna che in quegli anni incarna un’Italia ancora da fare. Nelle clausole del trattato c’è il bando totale alla guerra da corsa, ai privateers. L’impegno viene accettato da tutti i paesi firmatari, tra i quali l’Impero Ottomano. Inizia un percorso che sanziona la pirateria sotto tutte le sue forme.

Sul piano di una nuova visone del mondo quella scelta avrà sviluppi inimmaginabili. Lo Zar Alessandro II si renderà conto che la divisione tra le classi sociali è stata una delle cause della catastrofica performance dell’Impero Russo. Questa convinzione lo porterà a varare riforme come l’abolizione della servitù della gleba.

Il Regno di Sardegna, a sua volta, raccoglierà il credito ed il sostegno internazionali che cercava per affrontare la seconda guerra d’indipendenza in Italia ma, soprattutto, il trattato di Parigi colpirà la fonte primaria del commercio degli schiavi per le nazioni occidentali e per l’Impero Ottomano. Nessuno potrà più estrarre schiavi dal mare come risorsa. Nove anni dopo, la vittoria degli unionisti contro i confederati renderà illegale sul suolo degli USA la fonte di energia più abominevole nella storia dell’umanità: la schiavitù.

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