Dissesto idrogeologico: aprire l’ombrello quando il sole ancora splende

Disastro Emilia Romagna: la pallacorda delle responsabilità e degli incarichi fra Governo, amministrazioni locali e Protezione Civile, le kafkiane lungaggini burocratiche, e la sottovalutazione del rischio rallentano la messa in sicurezza di un paese dove, secondo il Rapporto ISPRA 2021 sul dissesto idrogeologico 6,8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni.

Alluvione in Emilia Romagna | © ANSA
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Potrebbe essere lo striscione lungo la maratona verso l’atteso riparo dei danni provocati dalle catastrofi ambientali nel nostro Paese. Perché lungo lo stivale si aprono cantieri troppo tardi e a disastro avvenuto, mentre latita la cultura della prevenzione.

Investire nel futuro non piace: forse perché le eco-cassandre profetizzano l’imminente collasso del pianeta, o perché col sostegno della statistica un’altra inondazione come quella dell’Emilia Romagna capiterà non prima di 80 anni? È così che il carrello trabocca di medicine contro il mal di alluvione, frana, terremoto, da assumere quando interi comuni sono in ginocchio, mentre si spende poco o niente per gli interventi strutturali: quelli più impegnativi, che non aggiustano soltanto, ma trasformano per garantire la sicurezza di persone e infrastrutture.

La terapia della ricostruzione, prescritta oltretutto in ritardo, non giova nemmeno alla salute del portafoglio Italia: la Regione Emilia Romagna ha presentato al Governo una stima di quasi 9 miliardi che occorrono per ricostruire gli argini dei fiumi, le strade e gli edifici, ma anche per riabilitare le imprese e le aziende agricole danneggiate. Un conto che andrebbe saldato velocemente, per intervenire prima delle piogge autunnali che ormai sono temute come i cicloni tropicali: e mentre i primi 200 milioni erogati come fondo per le emergenze sono stati già spesi, molte amministrazioni locali non hanno saputo attendere il via libera del tavolo esecutivo del Ministero della Protezione Civile, e hanno aperto cantieri non autorizzati. Quello che vorrebbero fare anche i singoli cittadini per rendere di nuovo agibile la loro casa: ma se i rimborsi statali dovessero arrivare in ritardo, o mai? Un dilemma che sta affliggendo molte famiglie in Emilia Romagna, e c’è chi nel dubbio potrebbe arrendersi e fare i bagagli.

Cittadini di Faenza abbandonano le loro case | © AP Photo | Luca Bruno – Associated Press | LaPresse

Anche il Ministro della Protezione Civile Nello Musumeci ha ribadito che “Bisogna portare la cultura della prevenzione.” E come strumento di supporto ha dato il via alla sperimentazione del sistema IT-alert: tutti i telefoni cellulari presenti nell’area geografica a rischio ricevono un messaggio, con un suono di notifica speciale, che informa di una calamità naturale imminente o in corso. L’Emilia Romagna è fra le prime regioni ad essere testate. Per la prossima volta: che potrebbe succedere con largo anticipo. L’Italia è ancora molto giovane, geologicamente parlando, e ha l’abitudine di cambiare il suo aspetto con terremoti, frane, eruzioni, alluvioni. Ma nell’epoca Antropocene gli interventi umani hanno modificato ulteriormente la faccia del Paese, accelerando la cadenza di questi fenomeni.

Una sfera di cristallo sempre più limpida

Le alluvioni sono fenomeni naturali impossibili da prevenire? Vero: è scritto anche nella Direttiva europea 2007/60/CE, che subito dopo afferma che alcune attività antropiche e i cambiamenti climatici aumentano sia la probabilità di accadimento sia l’inasprimento dei danni. Se un’alluvione come quella in Emilia Romagna un tempo poteva verificarsi ogni 200 anni, secondo i climatologi l’intervallo potrebbe essere ormai molto più breve.

Il riscaldamento terrestre ha inciso sul modo in cui le precipitazioni si distribuiscono nello spazio e nel tempo: piogge più intense e concentrate che causano piene rapide ed improvvise. Ecco perché in Romagna sono caduti 5 miliardi di metri cubi di acqua in due eventi ravvicinati e nel giro di poche ore. E sono rimbalzati su un terreno secco, inaridito dalle ultime annate di siccità ma anche da un uso improprio: coltivazioni intensive che impoveriscono il suolo, sovrapascolamento che distrugge la vegetazione e compatta il terreno con il calpestio animale, abbattimento degli alberi che trattengono il manto superficiale, la mancata manutenzione delle zone montane a causa dello spopolamento. Senza dimenticare il consumo di suolo: secondo l’ultimo rapporto ISPRA, in Italia vengono coperti di cemento due metri quadrati al secondo, diminuendo inesorabilmente la capacità di infiltrazione dell’acqua. E rubando spazio anche per l’alloggiamento di nuove casse di laminazione, quelle grandi vasche o serbatoi che regolano il flusso dei corsi d’acqua e che avrebbero potuto, almeno in parte, domare le piene. Questo lo stato dell’arte dei bacini di contenimento dell’’Emilia Romagna: delle 23 casse che dovevano essere realizzate o completate con finanziamenti dal 2015 ad oggi, 12 sono state ultimate, 9 non sono ancora in funzione, 2 lavorano parzialmente. (Fonte: Il Resto del Carlino). Tutte insieme dovrebbero trattenere 80 milioni di metri cubi di eccedenza idrica; l’1,6 % rispetto a quella caduta questa primavera dal cielo. E 23, ironia della sorte, è anche il numero dei fiumi esondati.

Secondo il Presidente dell’Ordine dei Geologi Emilia Romagna Paride Antolini, piuttosto che concentrarsi sulle casse di espansione, è ora di prendersi seriamente cura dei fiumi che le attività antropiche hanno reso sempre più stretti e ingombri di detriti.

Rottura degli argini | © James Thompson

Questi gli interventi preventivi che potrebbero rendere i corsi d’acqua a prova di alluvione: allargamento delle golene, i terrapieni che si trovano fra riva ed argine; rafforzamento e distanziamento degli argini; pulizia dell’alveo fluviale. In città, costruire ponti a una sola arcata, silos sotterranei di contenimento, nuovi edifici senza cantine e primo piano sopraelevato. In montagna, fossi rivestiti e manutenzione di bosco e sottobosco.

C’era una volta #italiasicura

Maggio 2014: viene istituita a Palazzo Chigi la “Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche”, in breve #italiasicura, che dura solo quattro anni sotto il Governo Renzi e Gentiloni. L’obiettivo è attivare senza troppe firme e controfirme cantieri in tutta Italia per opere di mitigazione e prevenzione del dissesto idrogeologico, semplificando la burocrazia. Chiusa dal Governo Conte 1, viene sostituita dal piano Proteggi Italia con sede al Ministero dell’Ambiente, che viene a sua volta bocciato dalla Corte dei Conti perché sembra non risolvere il problema della frammentazione delle piattaforme e delle procedure di spesa. Per l’Emilia Romagna, come per il resto dell’Italia centro nord, #italiasicura aveva ottenuto un prestito di oltre 150 milioni della Banca Europea per gli investimenti. Prestito bloccato dal Governo entrante.

Ecco il parere dell’economista Mauro Grassi, che insieme al giornalista e politico Erasmo De Angelis ha diretto #italiasicura, e che ora entrambi al timone della Fondazione Earth and Water Agenda EWA.

#italiasicura può essere riattivata?

Il nome, la tipologia di unità di missione, le modalità organizzative di #italiasicura non sono un “totem”. Si può fare diversamente. L’importante è che ci sia a livello centrale un soggetto forte di coordinamento in tema di Prevenzione, dipendente dal massimo livello di Governo, la Presidenza del Consiglio. Un soggetto che sappia sviluppare conoscenza, che sappia programmare, che sappia seguire l’iter realizzativo delle opere attraverso un monitoraggio attivo, e che sappia sbloccare eventuali inerzie. In questo modo è possibile aumentare il volume di risorse dedicate alla prevenzione. Tali risorse vanno moltiplicate per cinque o sei volte quelle attuali.

Secondo Lei perché in Italia la cultura della prevenzione ancora non decolla?

Perché richiede una “macchina Stato”, in tutte le sue articolazioni territoriali e istituzionali, più organizzata. Nella Emergenza si reagisce ad un evento. Nella Prevenzione si deve agire prima degli eventi. E questo paga molto meno anche dal punto di vista del consenso politico. Se un evento non accade grazie alla mia opera di prevenzione chi se ne accorge? Negli Stati Europei, quelli più avanzati, le “macchine dello stato” sono più efficienti e organizzate e i rischi naturali sono meno diffusi sui territori. Su 700.000 frane in Europa oltre 500.000 sono in Italia. Abbiamo tanti fiumi a carattere torrenziale capaci ognuno di creare danni. Insomma l’Italia è un territorio a maggiore pericolosità e, anche a causa di politiche territoriali non sempre adeguate, a maggiore rischio. Va detto che le risorse che lo Stato ha messo a disposizione per la prevenzione sono molto basse rispetto al livello di danni che la mancata prevenzione ha causato e causa al Paese.

Mancano forse le figure chiave al tavolo delle decisioni, riguardo un settore come la sicurezza di interi comuni? Scienziati, ingegneri, tecnici…

No, le figure tecniche non mancano. Certo nei Comuni, specie in quelli piccoli, non esistono. Ma queste politiche vanno gestite a livello di Stato, Regioni e Autorità di Bacino e non a livello comunale. E poi c’è il ricorso al “mercato” delle professioni, che in Italia va migliorato e qualificato, da attivare solo nelle situazioni di necessità: una tradizione che non sempre appartiene alle nostre pubbliche amministrazioni.

Qual era la formula vicente di #italiasicura?

C’era l’intento di costruire e rafforzare una “comunità attiva” per la prevenzione nel Paese. Fatta di istituzioni, di tecnici, di ricercatori, di professionisti e di opinione pubblica. Questo è il vero strumento di “pungolo” alla politica per mettere in Agenda il tema della prevenzione. Che altrimenti resta in fondo agli obiettivi dei Governi. Ma era anche particolarmente fluida la comunicazione fra centro e periferia. Le istituzioni dialogavano di continuo. E cooperavano, a prescindere dai colori delle maggioranze, per raggiungere gli obiettivi. Una programmazione che deve durare per almeno venti anni ha bisogno di questa cooperazione e di questo sforzo collettivo per il raggiungimento degli obiettivi.

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