Cappadocia, sulle strade secondarie

Queste sono avventure non proprio di viaggio, queste sono quelle che perdono l’identità di avventura nel senso più tradizionale della parola, che capitano quando decidi di vivere qualcosa di irrazionale, di non programmato.  Qualcosa che ti penti di avere intrapreso perché non avevi nessuna altra alternativa. 

Zara la cucciola bastarda adottata, che ho portato a Kalkan sulla costa turca, ha concluso la quarantena di quattro mesi e sta aspettando che la vada a prendere per portarla in Italia.

Dai 16 chili di 4 mesi fa è passata a pesare 32 chili; quando trovi un cane per strada non sai cosa diventerà, ma se il padre è il maschio che ancora vedo nel villaggio di Orthaisar dove l’ho trovata, é destinata a crescere ancora, devo fare in fretta prima che la gabbia in cui viaggia nella stiva dell’aereo, le vada stretta.

Ho perso ogni voglia di viaggiare, recentemente. Quando mi muovo vedo solo scempi, brutte case, brutti paesi, cartelloni di pubblicità cretine, sporcizia infiltrata in ogni pietra divelta per la strade, immensi campi coltivati e deserti invece di foreste naturali. Vorrei rimanere a casa, senza uscire. Ma poi mi sforzo e lo faccio soprattutto per i cani della Cappadocia.

VISCHIO

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Il paesaggio è fatto di distese aperte, catene di montagne che non conosco, paesi che si stendono oltre: Georgia, Armenia, Azerbaijan, Turkmenistan A volte si riaccende la voglia di viaggiare guardando la geografia dei posti ma è solo tutto immaginario perché le persone vivono nella stessa prigione del nostro scempio moderno; vivono sotto regimi conosciuti come politici o religiosi, vero, ma con lo scopo subdolo di uccidere il bello, il sacro, tutto quello che fa felice l’anima di un essere umano. E lo fanno seguendo copioni di repressione che si perdono nel tempo.

La curiosità per l’esotico, per il diverso dalla nostra civiltà moderna, per le radici culturali della gente, le ritrovo solo dentro il negozio di tappeti di Murat Bey (l’antiquario) a Urgup. E’ diventata la porta di entrata verso il passato.  E come una radio che trasmette un programma registrato molti anni prima, ‘ascolti’ i pensieri della ricamatrice mentre srotoli gli antichi e costosi tessuti di seta che decoravano letti e pareti delle stanze matrimoniali. Tesse fiori con 5, 6, 8 petali, tulipani, garofani, melograni, foglie di zucche .. la ricamatrice, e li dispone in un disegno minuto e intricato sulla seta lucida. La silk road passava anche di qui. L’effetto finale è così elegante e il lavoro così complicato che forse un giorno saranno tutti promossi a opere d’arte.

Nasce poi la curiosità di sapere come era la casa dove ha cucito, chi le ha insegnato, da dove viene questa tradizione così raffinata che sembra fatta per le stanze di una casa elegante, o una casa povera da rendere elegante.

Ma oltre a questi antichi tessuti e tappeti, e la musica, non rimane molto altro di tramandato.

GOREME

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La Cappadocia dei camini delle fate, rinomata nel mondo, è un’area al centro dell’Anatolia, a nord della Turchia. Nel mezzo della zona ‘archeologica’ sono ubicati quattro villaggi famosi per essere stati scavati nella roccia: Goreme, Urgup, Uchisar e Orthaisar. Gli areoporti più vicini sono Nevsehir e Kaysery, l’antica Cesarea romana.

Stupisce trovare le rovine di Roma in zone così remote. Eppure in un paesaggio desolato e sassoso solcato da vigneti e frutteti sparsi, ogni tanto affiora un pavimento a mosaico di una villa romana portata alla luce per pura coincidenza dalla vanga del contadino. Ma sono le 500 e più chiese cristiane rupestri il grande capolavoro che questa zona custodisce. Costruite, o meglio scavate nella pomice soffice le chiese erano altari alla memoria di Cristo intorno ai quali i cristiani fuggiti dalla Palestina pregavano. I dipinti che raffigurano santi, angeli, martiri della religione cristiana devono essere stati creati con l’intenzione di trasmettere nei secoli quell’originaria forza mistica. Noi li osserviamo dall’alto della nostra epoca atea, e qualcosa bisogna ammettere colpisce nello stomaco, il dubbio che tutte le immagini che illustrano la storia della vita di Cristo non siano ispirate a una leggenda ma a un fatto realmente accaduto.

Tra Urgup, villaggio popoloso e commerciale della zona, e la giunzione con una strada provinciale che porta al vulcano Erciyes (3.917 metri di altezza) c’è una strada di campagna che passa attraverso delle piccole frazioni dove sopravvivono ( e mi stupisco come)  gruppi di cani abbandonati, che sfamo. Se mi chiedo perché lo faccio non so rispondere. Non l’ho mai fatto e non avrei mai pensato che un gruppo di cani mi avrebbe fatto ritornare quasi ogni mese, in un posto così lontano.

Dopo Zara ho adottato altri cani. Ho comprato una casa con un giardino in una zona residenziale di Orthaisar per ospitarli. Ma non fate correre l’immaginazione perché il quartiere è sì residenziale ma costruito da contadini al quale il governo ha dato un pezzo di terra agricolo. Ognuno ha costruito una povera e brutta casa con l’ingegno del pastore che ha vissuto negli accampamenti nomadi dell’Anatolia per secoli e cerca protezione dentro mure solide. Solo quelle greche, sono case antiche, solide e di buona architettura costruite nei villaggi negli anni precedenti la diaspora iniziata nel 1908; ma quelle sono sul mercato ad un prezzo altissimo.

 

La mia casa di 60mq è triste e storta, con infiltrazioni dal tetto, la doccia del bagno che perde, senza riscaldamento, brutta se non più brutta della altre. E allora perché comprarla? Perché i cani possono essere controllati da Hasan che abita nella casa accanto e usa la cucina della casa per cucinargli il cibo. E, hanno un giardino per giocare.

Non tutti i cani che porto a casa sono in salute. Emma ad esempio era pelle ed ossa, pensavo fosse solo una questione di denutrizione invece aveva il cimurro. E’ morta con le convulsioni, l’ultimo stadio della malattia.

Al mattino sono andata a prenderla dal veterinario, era incartata nel suo velo mortuario, leggera come la prima volta che l’avevo presa in braccio.

Aveva nevicato in Cappadocia, la terra era dura e ghiacciata, la vanga non entrava. Poi siamo andati in campagna, alla stalla, che è stato il primo giardino per i cani che ho comprato, e lì abbiamo trovato un terrapieno di terra esposta al sole.

Avere a che fare con gli animali è sempre una questione di vita e di morte, di gioie e di lacrime, di sentimenti che ti attorcigliano lo stomaco. E’ un giro sulle montagne russe dei sentimenti sulle quali sali attrezzata di coraggio disperato.

ORTHAISAR | CANI RANDAGI CHE NON HO TROVATO AL RITORNO

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Shaban abita a Urgup, è un uomo di circa 45 anni, pochi denti in bocca, conosce forse 5 parole di inglese, il resto è a gesti.

Il nostro appuntamento abituale è davanti alla macelleria di Urgup. Mi aiuta a caricare la carne e le cassette di ossa in macchina. Poi andiamo a casa.

La macchina la prendo in affitto dal fratello di Mehmet una delle poche persoe con una buona conoscenza dell’inglese. Lavora nell’albergo dove ritorno ogni mese. All’inizio affittavo la macchina dall’agenzia ma il portabagagli era troppo piccolo per trasportare cibo per 30 cani.

A casa cuciniamo pacchi di pasta che mischiamo con il pane, le uova, l’olio e la carne macinata. Riempiamo circa 20 secchi, carichiamo poi altro pane di scorta, sacchi di cibo secco e poi partiamo.

Ci fermiamo ogni volta che vediamo un gruppo di cani. Shaban non ha paura dei cani, non ha paura di sporcarsi, è un uomo forte. Molti dei cani che sfamo li riconosco, sono gli stessi che ho sfamato il mese prima.

Tra i cani della frazione di Basdere c’è una femmina che mesi fa ha partorito. Le è rimasto un solo cucciolo, lei è di nuovo incinta. Il cucciolo decido di prenderlo e di portarlo a casa al rientro, se rimane per strada prima o poi  un camion lo prende sotto e lo distende sull’asfalto.

Quando guido in Inghilterra, da Londra al Dorset per arrivare a casa, attraverso lunghe strade dritte di campagna e vedo un’ecatombe di animali investiti dalle macchina. L’uso e la dipendenza dalle auto pesanti e veloci sono un terribile contrasto con la vulnerabilità della vita degli animali in natura. Vanno dove c’è il cibo, tornano dove c’è la tana, corrono per inseguire la preda. Noi gli costruiamo una grande strada in mezzo al loro territorio. E il fatto abominevole, questa scarsa generosità nel voler proteggere le altre specie è ormai diventato una norma, lo abbiamo classificato come normale.

A Besdere, nel villaggio, è preferibile non andare il venerdi quando gli uomini vanno in moschea a pregare e all’uscita stanno seduti sui muretti ad oziare, a guardare quello che succede nel crocevia di un villaggio di 600 anime dove di solito non succede assolutamente niente. La noia e la donna straniera che scarica secchi di cibo per i loro cani dalla macchina, è la miccia per un grande confronto.

Inizia come un’alterco con Shaban, poi contro di me. Non ci vuole la padronanza della lingua per capire che si sentono infastiditi e mi stanno buttando fuori dal villaggio. Ma prima di andarmene gli dico che dovrebbero vergognarsi per come tengono i loro cani e questi sono cani turchi non cani italiani, sono loro che si devono prendere la responsabilità, io vengo dall’Italia per sfamarli. Servo il rimprovero con teatralità, con l’anima latina che gesticola, che grida, che si scompone e si appassiona, ‘Shock and Awe’…  prima che si riorganizzino in una nuova ondata di censure, ho dato da mangiare agli ultimi cani.

Shaban è spaventato e cerca di chiudermi in macchina. Vola un ‘fuck you’ in direzione del  capo villaggio che ha aizzato tutti. Il significato lo capiscono anche a Besdere tanto che l’uomo ritorna indietro per chiedermi di ripetere quello che ho detto.

In macchina Shaban mi dice, a gesti, che è meglio non tornare a Besdere nei nostri prossimi giri,  sorrido.

Il giorno dopo all’appuntamento con Shaban c’è una donna Kadher, alleluja parla l’inglese, vive localmente e ha raccolto dalla strada 15 cani. Lei e Nurai, che ne ha 40, sono le grandi paladine.

Mi vogliono accompagnare a Besdere con la polizia perché è ingiusto quello che è successo.

La polizia è un miraggio che non si materializzerà mai, ma le due donne e Shaban si prendono la vendetta contro il capovillaggio. Ma poi c’è l’epilogo.. il capovillaggio ci guida dove c’è una femmina, con tre cuccioli, abbandonata il giorno prima lungo il ciglio della strada. La carichiamo a bordo e poi in un gesto di sfida e ancora vendetta mi spinge nel bagliaio della macchina un altro cane, una femmina dalla taglia ‘enorme’.

Come per dire .. ‘se ami i cani svuota le nostre strade…’

La mia partenza è tra due giorni, sto sentendo lo stress. Adottare un cane è paragonabile alla rivoluzione che provoca la nascita di un figlio. Devi cambiare le tue abitudini, ti devi preoccupare di dargli quello che gli serve. Improvvisamente mi trovo con 6 cani in più ( avevo già adottato Tania una giovane femmina alla quale i pastori hanno tagliato le orecchie)), perdipiù in un paese dove nessuno vuole cani, dove nessuno li ama, e dove la logistica improvvisamente diventa complicatissima perché pochi hanno la macchina considerato il costo e le tasse.

Il giorno della mia partenza la grande femmina che mi avevano spinto nel bagagliaio, Fiona, scappa. Kadher attraverso il suo network riesce a ritrovarla e a lasciarla dal veterinario perché sanguina.

Al momento ho puntellato tutte le emergenze per un altro mese e non perché avessi fatto un piano infallibile, solo per come il destino ha giocato le sue carte… Ed è questa vulnerabilità al destino quando mi muovo attraverso avventure emotive mio malgrado, quando prendo delle decisioni messa alle strette, che mi ha veramente stressato.

Puoi abbandonare sul ciglio della strada una femmina con i cuccioli? puoi abbandonare per strada un cane che scopri l’indomani avere un tumore?

Si certo… il panico ti fa pensare cose irrazionali del tipo scaricarli dove li avevi trovati. Ma poi ? … passi gli anni sperando che arrivi una vita migliore, l’Eldorado, ma sei invece come gli altri, convenzionale, abitudinario, egoista, incapace di deformare i tuoi sacrosanti spazi e tran tran. Finchè ti trovi con le spalle al muro, obbligata dai cani.

E’ gratificante sapere di non essere uguale al ‘turco del villaggio’ o di avere la mentalità del ‘turco del villaggio’,   … evoluta, almeno in questo, fino ad accettare il fatto che essere compassionevoli sia meglio che essere egoisti, perché poi una soluzione si trova sempre. Ci stringiamo un poco in giardino, cuciniamo un altro pacco di pasta e alla fine domani nessuno deve ritornare per strada.

 

 

 
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