Nasce in Italia il primo dicastero della Transizione Ecologica e Solidale
Nuovo governo, nuovi ministri e, addirittura, un nuovo ministero. Tante novità in poco tempo, ma vediamo subito il principale cambiamento che stravolgerà, speriamo in positivo, la gestione ambientale nazionale, ovvero il super-dicastero della Transizione Ecologica e Solidale istituito da Draghi poco dopo la sua nomina a nuovo Presidente del Consiglio.
Non si tratta semplicemente di ribattezzare il nostro vecchio (non poi così tanto) Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), bensì di reinventarlo ed ampliarlo, sfruttando le esperienze di altri paesi europei. Il primo dicastero per la transizione ecologica è nato in Francia nel 2017, a seguito della fusione di più gestioni, così come è stato per la Spagna e la Svizzera. Quest’ultima, ovviamente, ha la versione più completa in assoluto, il Datec, che riunisce ambiente, trasporti, energia e comunicazioni. A seconda del modello a cui vogliamo guardare, possiamo trovare approcci che puntano sulle fonti rinnovabili e le politiche ambientali statali, come nel caso francese, oppure politiche orientate al problema energetico, come il modello spagnolo.
Da chi prenderà spunto l’Italia? Innanzitutto già sappiamo che i principali dicasteri coinvolti saranno due, il MATTM e il MiSE (Ministero dello Sviluppo Economico), scartando a priori il modello olistico svizzero, ma nulla impedisce una futura annessione di ulteriori ministeri come quello dell’Agricoltura o dei Trasporti. Ora, senza soffermarci subito sul “avrebbero potuto fare di più”, perché questo è sempre possibile, proviamo a ragionare sull’importanza del concetto che sta alla base di questa fusione, ovvero lo sviluppo sostenibile! Finalmente un modello di sviluppo che non si basa sulla dicotomia tra economia e ambiente, bensì sull’unità di queste come due facce ugualmente preziose della stessa medaglia. Una medaglia che l’Italia deve assolutamente conquistare.
Il potenziale del nuovo super-ministero, quindi, è a dir poco altissimo, così come la sua responsabilità in un momento difficile come quello attuale: la pandemia ci ha finalmente aperto gli occhi sulle conseguenze degli squilibri ecologici da noi generati, ed ha lasciato in ginocchio moltissimi Paesi, sia dal punto di vista sanitario che economico. Pare che il nostro Paese abbia finalmente capito che il rilancio dell’economia post crisi non può più prescindere dalle questioni ambientali, proprio in virtù della nuova consapevolezza acquisita, così come non si può prescindere da un ragionamento a lungo termine che consenta di gestire in modo più saggio le risorse attuali, preservando il futuro delle nuove generazioni.
In quest’ottica, l’Italia si sta muovendo verso un Piano Nazionale di ripresa e resilienza che, se in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo, le permetterà di accedere ai fondi che l’Unione Europea ha stanziato per il Programma Next Generation EU. Tra gli obiettivi da raggiungere vi è proprio la transizione ambientale, ovvero un piano completo di interventi necessari a contrastare il cambiamento climatico. Quindi, per poter spendere i 209 miliardi del Recovery Fund, l’Italia dovrà destinarne un minimo del 37% in progetti “green”. Cosa significa? Tutto e niente. Da qui, oserei dire, la crisi di governo che ha visto bisticciare come bambini i nostri politici, tutti interessati alla gestione delle nuove entrate imminenti (prestiti), compresa la fondamentale, poiché condizionale, fetta green.
Ebbene… ora i ragionamenti da fare sono due: Draghi ha riunito i Ministeri di ambiente ed economia perché crede nel loro enorme potenziale e nella loro importanza; Draghi ha fuso i ministeri per buttar dentro il cesto del green più piani di gestione, altrimenti distinti dal tema ambientale, in modo da spendere funzionalmente quel 37% imposto.

I pessimisti, o semplicemente chi conosce la fama dell’Italia nell’ambito della gestione dei fondi green, tenderanno verso quest’ultimo pensiero e, confesso, ci ho pensato anche io. Eppure il personaggio di Draghi e il suo approccio, almeno fino ad ora, è molto diverso da ciò a cui siamo abituati: ora abbiamo un Presidente del Consiglio che ha avuto importanti esperienze presidenziali in Europa, praticamente un altro pianeta rispetto alla politica italiana, soprattutto in campo ambientale; le sue pubbliche dichiarazioni fanno presagire molto bene ed anche i suoi primi passi in questa nuova sfida che è governare il Belpaese; la sua scelta di ampliare il campo d’azione delle politiche ambientali ed affidarne la gestione ad uno scienziato affermato, il fisico Roberto Cingolani che ha una formazione ed un’esperienza di livello mondiale, ci spingono ad essere ottimisti.
Insomma, non vogliamo essere né prevenuti né ciecamente fiduciosi, quindi è bene soffermarci tanto sul potenziale di un grande cambiamento positivo, quanto sui rischi di un disastroso arretramento delle politiche di tutela ambientale.
Pensiero positivo
Tra le prime dichiarazioni di Draghi vi è proprio il tema ambientale e l’intenzione di renderlo una colonna portante della sua politica: “Io vedo l’ambiente come il motore trasversale di tutte le politiche del mio governo, in linea con quanto chiede l’Europa”. Durante la sua replica nel dibattito sulla fiducia al Senato, inoltre, parla di sviluppo sostenibile come “un concetto alla base della giustizia tra generazioni” e, pertanto, “dell’impegno ad inserirlo in Costituzione”. In questi termini la decisione di creare il Ministero della Transizione Ecologica e Solidale appare estremamente sensato e coerente, soprattutto se ci saranno riforme utili a snellire gli iter autorizzativi che oggi appesantiscono i progetti di economia verde. Molte associazioni ambientaliste, tra cui WWF, Legambiente, Greenpeace, hanno ben accolto il discorso di insediamento dell’ex presidente della Bce: “Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane”.
Una grande e positiva ambizione che non ha precedenti e che, speriamo, si trasformi in atti concreti. La determinazione di Draghi è piuttosto nota per i suoi trascorsi, ed in particolare per le sue parole “whatever it takes”, pronunciate nel 2012 in riferimento alle azioni necessarie a salvare l’euro dopo la crisi finanziaria globale. Oggi la nuova sfida, ben più importante, è proprio la transizione ecologica che potrà essere portata avanti con successo solo grazie ad un titanico sforzo comune. Tra i cittadini più interessati alla coerenza del nuovo PCM troviamo i giovani, ovviamente, poiché il loro futuro dipenderà dalle azioni presenti; in particolare gli attivisti del movimento Fridays for Future chiedono a Draghi, con le sue stesse parole, un “whatever it takes” per il clima, di cui abbiamo bisogno tanto quanto un vaccino o una florida economia.
Insomma, dovranno cambiare molte cose, a partire da tutti quei modelli di crescita il cui sviluppo non è in linea con gli obiettivi europei. Tra questi vi è il modello di turismo italiano che, prima della pandemia, riusciva a generare il 14% dell’indotto annuale, ma a discapito della tutela e della conservazione delle risorse sfruttate; la soluzione di Draghi, quindi, è la sua rimodulazione verso un turismo sostenibile, proprio grazie all’aiuto del 37% dei soldi del Recovery Fund. In questa fetta di oltre 77 miliardi di euro, quindi, rientreranno interventi a tutto tondo grazie alla generalità ed alla trasversalità dell’aspetto ambientale o, come piace definirlo, green; tutto ciò che non è compreso nella voce di spesa verde, invece, sarà comunque soggetto ad un dettagliato piano di impatto ambientale.
Timori
E se la fusione del MATTM col MiSE comporterà un privilegio del secondo a discapito del primo? E se lo scopo di fondo è semplicemente quello di tingere di verde delle politiche altrimenti non comprese nella fetta appositamente dedicata alle spese green? Queste ipotesi sono state fatte soprattutto nei primi giorni successivi all’annuncio di questa grande novità ministeriale, ma hanno cominciato a perdere credibilità con le incoraggianti dichiarazioni che Draghi ha continuato a rilasciare sul tema ambientale. Persino io comincio ad escludere la possibilità che questa manovra sia servita da escamotage, però un certo timore continuo ad averlo: ben venga ampliare il concetto di sostenibilità ambientale a più settori, andandoli ad inglobare nel pacchetto di politiche verdi necessarie, ma allora questo 37% dedicato non risulterà misero per fronteggiare tutte queste spese aggiunte? Energia, mobilità, turismo, ecc sono tutti aspetti essenziali da considerare nella transizione ecologica, ma non possono sostituire la ricerca e le politiche puramente tecnico-ambientali che vanno a tutelare le aree protette, la biodiversità, le risorse naturali in genere e tutto ciò che vi è legato. Ad esempio, cosa si deciderà per il business della caccia? E dello sci? Saranno avviati progetti di riqualificazione del territorio?
Tra aspettative e timori, insomma, siamo tutti in trepidante attesa di vedere il nuovo governo passare dalle parole ai fatti, speriamo, con coerenza e successo. Nessuno pensa sia facile, ma ciò non vuol dire che sia impossibile.
Ciao Marianna, la creazione di questo nuovo dicastero è stata sicuramente una bella idea. Il tuo articolo, come sempre molto interessante, aiuto a capire meglio in cosa consiste. Grazie.
Articolo interessante e sapiente, da divulgare! Complimenti Marianna