Alcune Strategie per eliminare o trasformare sostanze nocive
Come si fa a ridurre le emissioni di CO2? Sono diverse le strategie animali e vegetali che hanno la necessità di eliminare e/o trasformare sostanze nocive come l’anidride carbonica, per cui è difficile individuare un organismo in particolare a cui ispirarci. Nei globuli rossi dei mammiferi, ad esempio, è presente l’anidrasi carbonica, un enzima che agevola la conversione dell’anidride carbonica in sostanze utili come acido carbonico e ioni bicarbonato; nei polmoni questo stesso enzima catalizza la reazione opposta per poter espellere dall’organismo le sostanze in eccesso. Si tratta di reazioni chimiche fondamentali che avvengono in ogni essere vivente, ma che in presenza di anidrasi carbonica sono fino a un milione di volte più veloci. Riuscire a sfruttare questa sostanza è quindi molto importante e la Industrial Lung di Saipem lo ha capito; l’anidrasi carbonica sintetica rende obsolete tutte le tecnologie convenzionali di cattura del carbonio poiché è estremamente rapida e stabile, in più non richiede né produce prodotti tossici. Oggi le aziende possono realmente ridurre il proprio impatto ambientale aggiungendo queste tecnologie direttamente nei punti di emissione post-combustione; qui la CO2 viene estratta per la purificazione e riutilizzata o convertita. Nell’ultimo articolo abbiamo visto che alcune aziende come Calera e ReCARB sono interessate a sottoprodotti simili (CO2 e calore), ma perché limitarci a questo settore?

Dall’industria cementizia ci spostiamo all’industria chimica in generale che, di primaria importanza per l’uomo, consuma globalmente il 25% circa di tutta l’energia utilizzata dalle industrie manufatturiere, con una notevole produzione di rifiuti. I processi chimici convenzionali, infatti, richiedono molta energia e spesso anche temperature elevate in più fasi di processo. Dal mondo vegetale, o meglio, dagli organismi autotrofi, giunge una possibile e famosissima soluzione: la fotosintesi. La New Iridium ha creato delle sostanze organiche in grado di favorire la fotocatalisi, ovvero la chimica indotta dalla luce, che non necessitano di calore o metalli pesanti come catalizzatori. Tutti questi paroloni servono a spiegare come la nuova piattaforma in via di sviluppo, utilizzando solo l’energia luminosa, imiterà la fotosintesi convertendo l’acqua e la CO2 in energia chimica verde.
La Natura ci insegna come purificare l’acqua
Un altro grande problema attuale è la scarsa quantità di acqua pulita e la sua continua riduzione a causa di inquinanti, prelievi insostenibili e della maggiore evaporazione. Da diversi anni è possibile purificare l’acqua con sistemi filtranti ad alto dispendio energetico che, quindi, non risultano affatto efficienti. La Natura in milioni di anni è riuscita a perfezionare dei filtri selettivi ed efficienti in diverse specie viventi.

Aquammodate ha scelto di imitare la tecnica con cui le Diatomee, alghe unicellulari, filtrano l’acqua per estrarre la silice di cui hanno bisogno per costruire il loro esoscheletro. Incorporando delle speciali proteine (le acquaporine) in un materiale stabile e facilmente utilizzabile dall’uomo, il team di Aquammodate ha vinto il secondo premio del Ray of Hope Price 2021 con dei filtri in grado di: produrre acqua ad elevata purezza con un solo passaggio, desalinizzare a qualsiasi scala, rimuovere inquinanti e contaminanti come arsenico, microplastiche e residui farmaceutici.

Sempre parlando di filtri, le balene ci vengono di nuovo in aiuto con il suggerimento di filtri autopulenti che rendono inutile l’impiego di prodotti chimici, combustibili fossili ed energia chimica per separare e purificare le acque reflue. I Baleen Filters Pty Limited forzano l’acqua attraverso una speciale rete che imita i fanoni dei Mysticeti, sempre puliti e privi di depositi organici, rendendo più veloce ed efficiente il processo di filtraggio e riducendo la quantità di reflui che giungono ai corsi d’acqua e al mare senza prima essere stati trattati.
Ma è possibile trasformare un rifiuto in risorsa?
Ovviamente si, e lo sappiamo perché in Natura non esiste nessun sistema lineare. Nel caso dei reflui, ad esempio, essendo l’acqua una risorsa che scarseggia, possiamo riutilizzarli per scopi produttivi? Nelle foreste ci sono milioni di organismi che lavorano in sinergia per decomporre la sostanza organica ed areare il suolo, chiudendo il ciclo della materia e reimmettendo nel sistema i nutrienti necessari alla produzione di nuova sostanza organica.

Il compostaggio, il trattamento dei liquami e dei reflui sono le tecniche utilizzate dall’uomo per raggiungere lo stesso obiettivo, ma con maggiori costi e risultati mediocri. Il Biolytix BioPod, un nuovo sistema bioispirato, è invece in grado di convertire reflui e liquami in acqua di irrigazione di alta qualità, utilizzando gli stessi protagonisti che operano in Natura, ovvero i Vermi tigre per triturare e diversi microrganismi per purificare.

Cambiamo punto di vista e passiamo dalle fasi di smaltimento e recupero a quelle produttive. Anche in questo settore ci sono diversi problemi, soprattutto legati all’eccesso, e quindi agli sprechi, ed alla insostenibilità del sistema lineare che caratterizza la maggior parte dei nostri cicli produttivi. Fino al 40% del cibo coltivato si deteriora prima di poter essere consumato, determinando una perdita di risorse preziose, sia alimentari che economiche. Pensando al mondo naturale, è la buccia la migliore soluzione per proteggere la parte interna della frutta e ridurne la disidratazione o la decomposizione. Mele, pere, arance, lamponi, fragole, zucca, melanzane, rose… non esiste vegetale che non protegga i suoi frutti (o falsi frutti o infruttescenze o frutti indeiscenti ecc) con uno strato più o meno sottile di cuticola.

Apeel, della Apeel Sciences, è uno strato di buccia artificiale, ma commestibile, simile in tutto e per tutto a quello naturale che aiuta a rallentare il processo di ossidazione e perdita d’acqua negli alimenti. Risparmiare milioni di dollari e milioni di tonnellate di cibo è sicuramente un interesse di portata globale, soprattutto nell’ottica degli obiettivi dell’Agenda 2030 che prevedono, tra le altre cose, di combattere la fame nel mondo e di adottare una forma responsabile di produzione e consumo.
La grande produzione di beni, non solo alimentari, e il loro trasporto nella catena produttiva, porta alla necessità pratica di impacchettare la merce. Il materiale più economico sul mercato è quello scelto dal 99,9% delle aziende, e questo è la plastica in tutte le sue formule (e forme). Il polistirolo, ad esempio, è un componente diffusissimo del packaging che avvolge i prodotti venduti, che invade le strade, che inquina i mari e che uccide gli animali. Negli ultimissimi anni, finalmente, l’inquinamento da plastica ha catturato l’attenzione dell’uomo, o almeno di alcuni uomini che stanno cercando di ridurne la produzione e gli impieghi. Le bioplastiche ormai compongono la maggior parte dei prodotti usa e getta utilizzati in Europa, e non solo. La velocità di diffusione di questo nuovo materiale, però, non è sufficiente perché spesso ci sono problematiche relative alla loro idoneità a determinati impieghi. Il polistirolo sembra essere tra i prodotti più difficili da rimpiazzare (o da voler rimpiazzare), ma ora non è più così.

Il Mushroom Packaging è un nuovo sistema di confezionamento composto da micelio, l’apparato vegetativo dei funghi, e da frammenti di canapa; questo materiale è facilmente modellabile e personalizzabile, oltre che isolante, resistente all’acqua e, soprattutto, compostabile. Come mai il micelio? Perché la rete di filamenti che lo compone è in grado di assorbire acqua e nutrienti dall’ambiente circostante ed è in grado di unire saldamente diversi materiali grazie alla capacità di fondersi insieme per aumentare il proprio volume.
Arriviamo all’ultima strategia che ispira l’uomo e che, se applicata ad ogni sistema, potrebbe davvero cambiare le sorti del mondo. Sto parlando della simbiosi, ovvero dei rapporti reciprocamente vantaggiosi che si instaurano tra due o più organismi, concorrendo al perfetto funzionamento degli ecosistemi naturali. Non è difficile, a parer mio, immaginare una partnership, anzi, una simbiosi industriale in cui gli scarti di un’azienda vengono sfruttati come risorsa da un’altra azienda. Lo abbiamo visto, infatti, con Calera e New Iridium, ma pensando in grande si può organizzare un intero sistema che potrebbe avvicinarsi molto ad un (eco)sistema industriale circolare. Diverse aziende di trasformazione, un’azienda di trattamento dei rifiuti e il Comune di Kalundborg partecipano a Industrial Symbiosis, utilizzando reciprocamente i reciproci residui o sottoprodotti tra cui energia, acqua e materiali.

Sradicare dalle nostre menti il modello di sviluppo lineare, in favore di quello circolare, sarebbe l’unico modo per ottenere davvero risultati veloci in questa transizione verso un mondo più sostenibile che, per ora, esiste solo nei pensieri di pochi ottimisti e sognatori.
Ciao Marianna, anche la seconda parte è molto interessante. Come nella prima parte, ci sono tante idee che tu hai descritto con la solita competenza. È sempre un piacere leggere i tuoi articoli. Soprattutto quando parli di tematiche ambientali. Grazie.