Santuari animali: ultimo domicilio o sala d’aspetto per la natura

Animali maltrattati, abbandonati, imprigionati. Negli allevamenti, nei laboratori di ricerca, anche fra le mura domestiche. Sul pianeta sono in tanti a combattere per la loro tutela. Ma per chi opera nei santuari, le case di accoglienza dove questi animali ricevono l’immunità, impegnarsi significa compiere una scelta radicale che potrebbe sembrare nemica del progresso della scienza, della pubblica sicurezza, della salute.

Santuario per scimpanzè | Florida | © Save the Chimps

Qui la vita dell’animale è sacra: si rispetta il suo ciclo naturale, a scapito degli interessi di ogni industria, alimentare, farmaceutica, turistica. E dovrebbero essere luoghi di transizione: l’obiettivo è il ritorno di tutti gli animali (uomo compreso) nel proprio ecosistema originario. Anche se molti animali nei santuari sono destinati a restare ospiti fissi.

Vanilla ‘ sky…

“Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna…! C’era la Luna!” Così Luigi Pirandello nella celebre novella “Ciaula scopre la Luna” descrive la commozione di un minatore che uscendo dalla caverna in un turno differente viene investito dal bagliore d’argento. Ancora più intensa deve essere stata l’emozione che ha travolto Vanilla, scimpanzè femmina di 29 anni, quando sollevando il capo ha visto il cielo fino ad allora sconosciuto.

Come centinaia di suoi simili, Vanilla ha trascorso i primi anni di vita chiusa in una gabbia d’acciaio sospesa sul pavimento senza mai uscire all’aria aperta, all’interno del Laboratory for Experimental Medicine and Surgery in Primates (LEMSIP) di New York, centro specializzato nella ricerca su AIDS ed Epatite B. Nel 1997 il laboratorio è stato chiuso per le accuse di violazione dell’Animal Welfare Act circa i requisiti minimi per l’allevamento di animali per la ricerca; come molti altri primati anche Vanilla è stata trasferita in un rifugio dove ha vissuto da reclusa ancora per molti anni, finché non ha trovato una dimora adeguata nel santuario per scimpanzè Save the Chimps, in Florida. Dopo un periodo di adattamento, a giugno 2023 finalmente Vanilla, ormai signora di mezza età, era pronta per trascorrere il resto della vita respirando aria pura e calpestando un prato.

Vanilla non potrà essere introdotta nel suo habitat naturale, per le stesse ragioni che segnano il destino di tanti animali da laboratorio: gli esperimenti a cui vengono sottoposti li trasformano in potenziali vettori di malattie che potrebbero infettare gli omologhi selvatici; nei laboratori spesso vengono fatti accoppiare senza calcolare differenze fra sottospecie che potrebbero sembrare irrilevanti ma che potrebbero sconvolgere la genetica della popolazione che vive nelle foreste. Infine, animali come gli scimpanzè non imparano per istinto a sopravvivere in natura, ma hanno bisogno del tutoraggio di un anziano della loro specie. La cattività sottrae spesso irrimediabilmente la possibilità di apprendere l’autosufficienza. Ecco perché il santuario diventa l’ultima dimora possibile per animali a cui è stato confiscato il passaporto per la vita in natura: qui vengono curati, nutriti e protetti fino alla loro morte naturale, come non saprebbero fare se lasciati in libertà.

Anche la ricerca ha i suoi limiti

Solo una piccola percentuale degli animali da laboratorio ha la fortuna di essere adottata da un santuario. La maggior parte viene sottoposta agli esperimenti fino alla fine. La sperimentazione sugli animali è regolata dalla Direttiva 2010/63 dell’Unione Europea. In Italia sono state applicate, anche se c’è stata una moratoria, ulteriori restrizioni invise agli scienziati: l’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro sostiene che questi limiti stanno provocando una migrazione di ricercatori all’estero e, per chi resta, difficoltà nella programmazione di esperimenti che richiedono tempi lunghi. In ogni laboratorio deve comunque essere rispettata la cosiddetta regola delle 3R: replace, verificare se esiste un metodo alternativo, reduce, ridurre per quanto possibile il numero di animali su cui lavorare, refine, minimizzare stress e dolore alle creature.

Topo da laboratorio | © Rama

Ma esistono metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali? Per gli approcci di valutazione del rischio, oltre ad un utilizzo controllato di animali, esistono anche altre soluzioni: test di laboratorio condotti su cellule o tessuti animali attraverso tubi, flaconcini e piastrine (in vitro), o eseguiti mediante simulazioni al computer (in silico), o la tecnologia ancora in fase di studio degli organs-on-a-chip, un compromesso fra esperimento in vitro e dal vivo, che prevede una coltura cellulare in 3D che simula un intero organo o insieme di organi su cui testare nuove terapie. E da sempre, l’auto-sperimentazione umana, come racconta Silvia Bencivelli in “Eroica, folle e visionaria. Storia di medicina spericolata.” (Bollati Boringhieri. 2023). Un esempio: il biologo Jan Purkinje, nato in Boemia nel 1787. “Si calcola che abbia condotto 35 auto-esperimenti correttamente documentati, e questo è un po’ un record. – commenta Bencivelli – Diventò uno degli scienziati più importanti di tutta la storia della medicina legando farmacologia e fisiologia, cioè la ricerca sugli effetti delle sostanze e quella sul funzionamento del nostro corpo. La sua intuizione sulla non riproducibilità degli effetti sull’essere umano attraverso esperimenti animali non era del tutto campata per aria…”

© nationaltigersanctuary.org
Al sicuro da sguardi e clima molesti

Un santuario in regola dovrebbe offrire, oltre a cibo e cure, uno spazio adeguato allo specifico comportamento dei suoi ospiti. Nei santuari per animali selvatici ed esotici ad esempio non dovrebbe essere consentito l’accesso al pubblico, o quantomeno evitato il contatto diretto. I falsi santuari si riconoscono proprio dall’opportunità per i visitatori di interagire in modo giocoso con animali abituati ad una sana distanza dagli esseri umani. Come accade nell’Elephant jungle sanctuary di Chiang Mai in Thailandia, dove le famiglie si divertono ad imboccare e fare il bagno ai pazienti pachidermi. O nel National Tiger Sanctuary in Missouri: nato per dare una casa alle tigri “bisognose”, propone fra le tante opzioni un tour a cavallo in cui è possibile vedere da vicino 24 grandi felini nel giro di un’ora. Bisogna riconoscere che accudire (e soprattutto saziare!) una colonia di grossi felini comporta una considerevole spesa: i safari rappresentano un grande supporto alle finanze di questi centri, anche se in molti casi sorge il dubbio che i serrati calendari di visita diventino lo scopo dell’attività, e non il mezzo per recuperare animali in difficoltà, e che gli ospiti a quattro zampe non siano stati salvati, ma allevati appositamente per l’esposizione.

I santuari accolgono inoltre animali la cui fragilità si manifesta pienamente durante i fenomeni di meteorologia estrema. Per questo nei santuari che accolgono specie selvatiche è necessario predisporre strategie e strutture di emergenza adeguate. In un santuario degli Stati Uniti sono state collocate vere e proprie “panic room” anti-uragano per scimpanzè: casette particolarmente solide con una riserva di cibo e acqua dove, finché non torna il bel tempo, si accomodano anche i membri dello staff, separati dalle scimmie tramite gabbiotti. Nel santuario di Chimp Haven, in Luisiana, quando si avvicina un tornado campanacci e un grande disco arancione sono per gli scimpanzè i segnali per radunarsi negli spazi interni.

Santuario animale | Luisiana | © Chimp Haven
Nella vecchia anti-fattoria…

È stato l’attivista statunitense Gene Baur ad avviare nel 1986 Farm Sanctuary, una rete di santuari per animali reduci dagli allevamenti intensivi che ha fornito un modello ai vari centri sorti fino ad oggi in tutto il mondo. Con un obiettivo coraggioso: porre fine alla cosiddetta “agricoltura animale” e diffondere l’alimentazione vegana a livello globale. Per convincere i fan di costine e cheesburger Farm Sanctuary sta cercando di dimostrare che anche animali come mucche, polli e maiali possono soffrire di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), la patologia che emerge quando il soggetto è stato esposto a sofferenza fisica ed emotiva di grande intensità. Provare che animali ed esseri umani elaborano il dolore allo stesso modo dovrebbe modificare le abitudini alimentari e indirizzare verso una nuova interazione basata su ascolto, osservazione e comprensione delle creature che da sempre sono giudicate non come individui ma come fabbriche di uova, latte, carne, lana.

Diverse le storie dei rifugiati presso questo genere di santuari: possono essere animali sfuggiti causalmente all’allevatore (caduti da camion in corsa, scappati durante un incendio), a volte portati da fattori che, avendo negli anni stabilito un rapporto affettivo con i propri maiali o bovini, hanno rinunciato a macellarli ma non possono tenerli, oppure acquistati da privati per sottrarli ad un destino certo.

E poi ci sono i sequestri di animali maltrattati effettuati dalle forze dell’ordine in collaborazione con le associazioni protezionistiche. Ermanno Giudici, ex Presidente dell’Ente Protezione Animali di Milano, insieme ai corpi di polizia ha eseguito numerosi salvataggi, come quello della “fattoria degli orrori” nella campagna milanese: una mandria di vacche che viveva denutrita e ammassata nella sporcizia è stata ricollocata in tre cascine, e solo i bovini meno in salute sono stati accolti da un santuario. “Per essere trasportati e trasferiti, tutti gli animali da reddito (suini, bovini, ovini, caprini, etc.) necessitano di un’autorizzazione rilasciata dall’autorità sanitaria. – dichiara Giudici, che descrive molte delle sue incursioni nel libro “Cani, falchi, tigri e trafficanti” (Sperling&Kupfer, 2020). E oltre i ricorrenti abusi in allevamenti intensivi, Giudici ha portato allo scoperto storie di ordinaria follia anti-animalista: animali esotici rinchiusi in cantina (dal bradipo al pitone), in piccoli recinti (tigri, orsi, lupi), o malsani campi di concentramento di cani e gatti spacciati per colonie.

In Italia ci sono molti santuari, autofinanziati, che ospitano animali domestici. Tutti professano l’antispecismo: animali ed umani devono godere degli stessi diritti, no alla mercificazione e allo sfruttamento di tutte le creature. Alcuni fanno capo alla Rete Animali Liberi, ed hanno nomi simpatici come “Capra libera tutti”, “Nelloporcello”, “Palle di lana”. E “Progetto cuori liberi”, in provincia di Pavia, dove il 20 settembre di quest’anno i poliziotti, dietro mandato dell’Agenzia della Tutela della Salute locale, hanno sequestrato nove maiali affetti da peste suina africana destinati all’iniezione letale. Oltre a condannare la violenza usata nei confronti dello staff del rifugio, la Lega contro la Vivisezione Italiana ha ribadito il significato di santuario: ultima meta dove l’animale diventa santo, intoccabile. E dove l’isolamento dovrebbe garantire l’esclusione dell’eutanasia anche in caso di malattia contagiosa: secondo i volontari di Cuori Liberi la condanna a morte dei maiali giudicati infetti è stato infatti un esempio di emergenza puramente economica, non sanitaria. Per questo la Rete ha organizzato il 7 ottobre a Milano “Giù le mani dai santuari”, una manifestazione per protestare contro la mancanza di una legge a tutela di questi rifugi, perché gli animali ospitati godano di immunità e non vengano trattati alla stregua di quelli d’allevamento.

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