L’American Corn Belt verso la Pluricoltura

Il paesaggio agricolo: tra mito rurale e fredda realtà

Le campagne sono state da sempre un luogo caro all’immaginario comune, rappresentate come territori vergini dal caos cittadino, campi colorati dove contadini e visitatori possono respirare aria pulita e guardare gli animali pascolare, mentre ci si rilassa al sole e si ristabilisce il contatto con la natura.

Coltivazione intensiva di mais

Tuttavia, quest’immagine bucolica combacia sempre meno con la realtà. Negli ultimi decenni – e in particolar modo negli ultimi anni – si è imposto in maniera preoccupante un fenomeno: le monocolture. La tecnica della monocoltura prevede la produzione su larga scala di una singola specie vegetale, riuscendo a massimizzare i profitti. Ciò avviene a discapito delle altre piante e animali, i cui territori sono sempre più ridotti fino a scomparire del tutto, lasciando i campi alla tinta di un singolo colore.

Sia chiaro, le monocolture sono nate ben prima degli anni 2000 (il fenomeno è nato con la colonizzazione dell’America), ma la logica capitalistica industriale ha dato un impulso sconsiderato a queste pratiche.

È soprattutto negli Stati Uniti che si può osservare questa tecnica in tutta la sua efficiente freddezza. Qui, per migliaia e migliaia di chilometri si estende la cosiddetta American Corn Belt. Sconfinati campi di mais dominano il paesaggio, mentre trattori e falciatori sono continuamente all’opera per seminare e raccogliere tonnellate di chicchi di mais.

Monocolture di mais
Siamo quel che mangiamo

Perché proprio il mais? Numerose sono le ragioni. Innanzitutto è una pianta resistente e facile da coltivare. Inoltre, da ogni raccolto si ricava moltissimo cibo. Ma la ragione più importante è la quantità di settori in cui lo si può utilizzare. Può, infatti, essere impiegato come mangime per tutti gli animali, e in più si può andare anche oltre la semplice industria gastronomica: le sue proprietà fisico-chimiche lo rendono adatto ad essere implementato nell’industria farmaceutica e addirittura militare attraverso processi che mirano a isolarne le componenti utili a livello chimico per un loro riutilizzo (specialmente per produrre etanolo e combustibili).

Insomma, il mais è il candidato ideale che si incastra perfettamente negli ingranaggi della macchina industriale, creando una sinergia su più livelli, semplificando passaggi e accelerando i tempi, e nell’industria si sa: il tempo è denaro. Ogni secondo risparmiato, sono soldi in più nelle casse dei produttori.

Allevamenti intensivi di suini | © IAPL Italia

Malgrado negli ultimi due secoli abbiamo assistito a un’incredibile moltiplicazione delle scuole di pensiero attorno l’industria alimentare – dai vegani ai crudisti – sembra che il peso di tonnellate e tonnellate di cibo poggi su questo minuscolo chicco giallo. Sembra non esserci scampo, se la celebre frase di Feuerbach “siamo quel che mangiamo” è vera, allora potremmo tutti assimilarci, malgrado le diverse etichette, in consumatori di mais.

Sebbene le monocolture abbiano preso piede in molti Paesi come USA e Germania, in Italia non hanno trovato lo stesso spazio. Come spiegato da Michael Pollan ne “Il dilemma dell’onnivoro”, questo lo si deve soprattutto a una cultura del cibo che affonda le sue radici nel profondo vissuto della popolazione, impedendo che si sacrifichi la qualità delle materie prime – che da sempre ha caratterizzato l’Italia – in favore della quantità di produzione. Nonostante la Ferrero sia riuscita ad avviare monocolture di noccioleti, specialmente nella zona della Tuscia, le proteste da parte di contadini e piccoli proprietari, unite agli stessi cittadini, impediscono che il fenomeno prenda le dimensioni che è possibile osservare in America.

Mais
Di bocca in bocca

Alla base di una buona salute c’è sempre stata una dieta ricca e variegata. Ogni cibo ha proprietà specifiche e tutte sono importanti per il nostro organismo. Questo vale anche per gli animali di cui ci nutriamo. Se un maiale si nutre con un solo alimento, la sua salute ne risentirà, e la sua carne sarà meno sana da consumare. Questo è uno dei motivi per cui comprare carne al supermercato oggi è sconsigliato.

Il mangime degli animali provenienti da allevamenti intensivi è costituito principalmente da mais di bassa qualità, che grazie ai grassi contenuti fa ingrassare l’animale più velocemente, accelerando i tempi per l’abbattimento. Come detto, la povertà della sua dieta ha ripercussioni sulla sua salute, e le industrie cercano di ovviare a questi problemi attraverso gli antibiotici.

Allevamento suino | © Greenpeace

Quando mangiamo carne non mangiamo soltanto quello che c’è nel nostro piatto, ma anche ciò di cui l’animale si è nutrito, è da lì che deriva la sua qualità. Quindi un animale che ha avuto accesso a ciò che la natura ha messo a disposizione per la sua crescita, risulterà più forte e sano rispetto a un animale che ha trascorso la sua breve vita consumando esclusivamente del mais prodotto industrialmente e imbottito di antibiotici (senza contare il livello di sofferenza che è costretto a subire). Di conseguenza, anche la nostra dieta ne risentirà.

Per Michael Pollan è da rintracciare qui l’origine dei problemi di salute che affliggono l’America, patria degli allevamenti intensivi e dei fast food. Basti pensare che nel 2018 sono state prodotte, solo negli USA, 392.450.840 tonnellate di mais. Di queste, solo una percentuale minima è stata direttamente consumata.

Hamburger nei Fast food americani | © monsterburger.it
Gli squilibri ambientali

Com’è facile immaginare, le conseguenza della logica industriale compromettono anche il benessere del pianeta. Innanzitutto, le monocolture non sono ambienti salubri. Così come gli animali, anche le piante hanno bisogno di sostanze nutritive specifiche, che possono ottenere attraverso concimi e cure particolari. I campi di monocolture – con tutto il lavoro che deve essere svolto in una singola giornata per coprire interamente sconfinati ettari di terreno – non sono affatto il luogo in cui simili cure possono essere prestate. Le piante sono trattate con pesticidi che rilasciano sostanze tossiche nell’atmosfera – le stesse che poi ingeriremo.

Fast food a base di carne

Inoltre, l’espansione di questi giganteschi campi comporta la distruzione della biodiversità locale, compromettendo interi ecosistemi.

Dai paesaggi ai nostri corpi, fino al benessere dell’intero pianeta: le monocolture sono una seria minaccia. La logica che sottostà a queste tecniche è quella della produzione industriale, che mira alla semplificazione, all’omogeneizzazione totale nel nome dell’efficienza. Ma per quanto l’uomo insegua il sogno di rendersi indipendente da essa, non potrà mai imporle i suoi ritmi senza che questo abbia ripercussioni anche sulla sua vita. La natura segue un ritmo lento, scandito da cicli che si susseguono in fasi con tempi ben precisi, che nulla può alterare. La strada da percorrere per un reale progresso è quella della collaborazione che ci conduce alla comprensione di questo tempo ciclico, e al nostro posto all’interno di esso, non al di sopra.

Allevamento di suini | © Reuters

La speranza è mantenuta viva dalla resistenza di molte aziende agricole locali che praticano ancora le pluricolture, conducendo studi su un altro fenomeno che forse potrà indirizzarci sulla giusta strada: il biosequestro

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