Ecologia urbana: l’inurbamento animale

L’inurbamento animale è un fenomeno in forte crescita

Il fenomeno dell’urbanizzazione, ovvero il processo di formazione o espansione delle città, sta avendo un forte e veloce incremento a livello mondiale. Molti Paesi si stanno sviluppando solo in questi anni, per cui il loro elevato tasso di urbanizzazione non ci sorprende, ma perché anche i Paesi già ampiamente sviluppati continuano tutt’ora, seppur lentamente, ad espandersi? Questo continuo spostamento degli abitanti dalle campagne verso le città, essenzialmente per motivi economici e sociali, va avanti da decenni e viene chiamato inurbamento. Le aree urbane italiane, ad esempio, ricoprono circa il 7% del territorio nazionale, ma ogni giorno vediamo cantieri periferici che allargano i confini cittadini per soddisfare la richiesta di abitazioni, uffici o servizi. Insieme agli umani, però, si stanno spostando anche alcune specie animali che hanno trovato nelle zone urbane un rifugio più conveniente. Perché solo alcune? E quali?

Un piccione cerca refrigerio in una fontana

Cominciamo col chiarire che qualsiasi città, in quanto ambiente antropico, sarà sempre un luogo innaturale dove trovare un animale; la cosiddetta fauna urbana che oggi conosciamo consiste essenzialmente di invertebrati, ma ci sono anche alcune specie di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi del subphylum Vertebrata. L’inurbamento di queste specie può essere avvenuto o con modalità passiva o attiva: nel primo gruppo annoveriamo tutte le specie alloctone/aliene introdotte dall’uomo, ma anche quelle autoctone il cui territorio si é venuto a trovare all’interno o al confine delle zone urbane; nel secondo gruppo, invece, possiamo trovare specie molto adattabili che intenzionalmente hanno preferito colonizzare gli ambienti urbani rispetto a quelli naturali.

Facendo un bilancio tra il numero di specie autoctone e alloctone, purtroppo, il vantaggio numerico pende sempre per le seconde; questo avviene perché il contesto urbano è in continuo mutamento e la fauna locale, ben adattata ad uno specifico ambiente (specie specialiste), non riesce a competere con la fauna aliena, molto spesso più adattabile (specie generaliste). Per quanto riguarda l’aspetto temporale, invece, è bene distinguere l’inurbamento stabile da quello stagionale; nel primo caso abbiamo specie che scelgono le città per ogni fase del loro ciclo vitale, compresa quella riproduttiva, mentre nel secondo caso troviamo specie che solo in determinati periodi dell’anno, ad esempio l’inverno, sono avvantaggiati dall’habitat urbano. È bene precisare, infine, che le specie strettamente domestiche non rientrano nella fauna urbana vera e propria, poiché le loro interazioni con l’ambiente sono limitate e fortemente alterate dall’uomo.

Storni sui cieli di Roma / © Vincenzo Pinto-AFP
L’ecologia urbana nuova branca che studia il fenomeno

Tutte le dinamiche biologiche, ecologiche ed etologiche che legano l’ambiente cittadino alla sua fauna vengono analizzate da una nuova branca di studio: l’ecologia urbana. Perché ci interessa tanto? Ovviamente perché l’ecosistema urbano è il nuovo habitat preferito dell’uomo e, pertanto, è bene conoscerne ogni caratteristica, positiva o negativa che sia.

Per avere un’idea più chiara e lineare, immaginiamo di osservare l’intero processo di urbanizzazione e inurbamento che avviene in un ipotetico luogo X. Qui l’ambiente naturale ha un’elevata biodiversità poiché molto vario, ovvero ricco di ecosistemi differenti (boschi, radure, zone umide, spiagge ecc) che ospitano specie altamente specializzate; nelle aree di connessione tra i diversi ecosistemi (ecotoni), il numero di specie presenti è ancora maggiore poiché, oltre alla somma delle comunità confinanti, si aggiungono altre specie, meno esigenti, facilmente adattabili alle costanti variazioni degli ambienti di transizione.

Un riccio in cerca di cibo

In questo scenario dobbiamo ora introdurre l’uomo che, oltre a sfruttare le risorse naturali presenti, andrà ad alterare drasticamente l’ambiente naturale per creare le condizioni a lui più comode: una città. A partire dal primo disturbo, ovvero con le prime modificazioni degli habitat, tutte le specie più esigenti (specialiste) in grado di spostarsi abbandoneranno il luogo X in cerca di un nuovo territorio; le specie meno vagili, invece, dovranno adattarsi al nuovo ambiente o morire, estinguendosi localmente. Pochissime specie, purtroppo, sono in grado di rispondere positivamente a cambiamenti così repentini; tra queste ci sono le cosiddette specie plastiche (generaliste) che sono già naturalmente predisposte a vivere in ambienti che cambiano di frequente. Per quanto riguarda i mammiferi, il Riccio europeo (Erinaceus europaeus), l’Istrice (Hystrix cristata), la Volpe (Vulpes vulpes) e il Tasso (Meles meles) ne sono alcuni esempi, ma c’è un limite a tutto e la loro sopravvivenza in zone urbane e suburbane è possibile solo quando gli habitat non sono stati ridotti troppo, ovvero quando viene garantita la superficie minima di territorio.

L’alta frammentazione che caratterizza il tessuto urbano è uno dei principali ostacoli che limita la presenza di specie diversificate, poiché le risorse indispensabili alla sopravvivenza non sono sufficienti. Nelle aree periferiche delle città, se le condizioni ambientali lo permettono, è possibile osservare i mammiferi summenzionati, poiché le connessioni tra i vari frammenti di habitat residui sono più frequenti: filari alberati, parchi urbani, siepi, campi coltivati o incolti. Riducendo la stazza dell’animale, ovviamente, possiamo ridurre anche l’estensione del territorio a lui necessario, per questo motivo, anche in centro città, sempre se le condizioni ambientali minime sono idonee (parchi e giardini, vasche ecc), possiamo incontrare anche altre specie autoctone come Biacchi (Hierophis viridiflavus), Natrici (Natrix sp.), Lucertole (Podarcis sp.) e Gechi (Tarentola mauritanica), tra i rettili più comuni, o qualche anfibio come la Rana verde (Pelophylax sp.) e il Rospo smeraldino (Bufotes viridis).

Lucertola

Ricapitolando, a questo punto si sono estinte localmente un gran numero di specie autoctone altamente specializzate, mentre poche altre, quelle più plastiche, si sono adattate, chi meglio e chi peggio, al nuovo ambiente urbano. Ma le difficoltà di questi reduci più adattabili sono tutt’altro che finite, poiché devono imparare ad affrontare i problemi dati dal forte disturbo dell’uomo e delle sue attività; tra queste vi è la competizione per le risorse (territorio, cibo, acqua) con le nuove specie introdotte artificialmente, mai viste prima e spesso ben più avvantaggiate per la loro natura generalista. Come potete ben immaginare, ora, il numero di specie autoctone si andrà a ridurre ulteriormente, a vantaggio dei nuovi arrivati.

Fattori ambientali favorevoli all’inurbamento animale

La città che sorge nel luogo X, ormai, è ben sviluppata e presenta fattori ambientali marcatamente diversi da quelli dei vicini ambienti naturali; questi risulteranno favorevoli o sfavorevoli a seconda dell’ecologia delle singole specie. Il primo fattore che possiamo analizzare è quello climatico, ed in particolare una differenza di temperature medie che si aggira tra i 2 e i 3 °C in più; attività umane e albedo ridotta generano un’inversione termica che trasforma le città in isole di calore. Questo aspetto risulta particolarmente attrattivo per specie come lo Storno, la Tortora dal collare o il Pettirosso che, durante le stagioni fredde, preferiscono svernare negli ambienti urbani piuttosto che migrare in regioni più distanti (inurbamento stagionale). Un’altra finestra di temporanea utilità si apre per le specie che in primavera scelgono di nidificare in città, dove la disponibilità di siti di nidificazione è alta, così come l’eterogeneità degli habitat, mentre è basso il numero di predatori e inesistente l’attività venatoria. Esempi di questa categoria possono essere i Balestrucci e i Rondoni, le Cince in genere, il Codirosso e, più di recente, il Colombaccio. Non è un caso che le specie elencate appartengano tutte alla classe Aves, poiché gli uccelli sono forse gli animali che presentano un più evidente processo di inurbamento; tra le ipotesi più comuni vi è, ovviamente, la loro grande vagilità (capacità di spostamento), ma anche il loro naturale imprinting per il sito di nidificazione (creano il nido in habitat simili a quelli in cui sono nati).

Un falco pellegrino a Lipsia, Germania / © ANSA-DPA – Sebastian Willnow

Il Falco pellegrino è un esempio piuttosto curioso, poiché in natura è solito nidificare lungo le falesie di nuda roccia che assomigliano molto ai grattacieli di alcune metropoli; qui, infatti, viene spesso ritrovato e monitorato. Altri fattori, poi, sono risultati così vantaggiosi per alcune specie, da rendere le città abbastanza attrattive da far stanziare stabilmente il Gabbiano reale, il Merlo, la Taccola, il Piccione domestico e tanti altri animali, anche non pennuti, come il Topo e il Ratto, alcuni Pipistrelli ed una miriade di specie invertebrate quali Ragni, Scolopendre, Scarafaggi, Zanzare, Zecche e Pulci ecc. Considerando che le attività biologiche degli animali sono legate al ciclo circadiano, ovvero all’alternanza delle ore di luce e buio, la prolungata illuminazione artificiale aumenterà il tempo utile all’approvvigionamento di cibo di alcuni di loro; alcuni Pipistrelli, come l’albolimbato, hanno imparato a cacciare vicino ai lampioni dove, con il minimo sforzo, trovano un gran numero di prede attirate dalla luce. Per chi sa adattarsi, quindi, possiamo dire che le città rappresentano dei grandi serbatoi di cibo a km (e fatica) 0, ma a riuscirci sono bene poche specie.

Pipistrelli / © Joel Peters

I fattori che escludono la maggior parte delle specie preesistenti sono: frammentazione degli habitat, competizione con specie aliene, trappole ed altri pericoli di origine artificiale, disturbo antropico (presenza umana, rumore, inquinamento) e nuovi predatori, elevata competizione intraspecifica per l’alta densità di individui.

Tirando un po’ le somme vediamo come, da un punto di vista ecologico, l’urbanizzazione e l’inurbamento animale hanno un forte impatto negativo sulla biodiversità, poiché distruggono o modificano gli habitat preesistenti, portando all’estinzione locale un gran numero di specie specialiste e favorendo solo un piccolo numero di specie generaliste, perlopiù di origine aliena. Tutto questo altera le comunità biologiche locali, banalizzandole e riducendole, secondo dinamiche che distorcono il concetto di selezione naturale e che assomigliano di più ad una insensata e nociva selezione artificiale.

Nei prossimi articoli approfondiremo alcuni aspetti di questo crescente fenomeno di portata mondiale.

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