Che le mappe siano state custodite per secoli come un segreto militare è un fatto che può sorprendere solo la generazione nata con google maps già sul telefono. Prima dei satelliti c’erano uomini che con strumenti sottobraccio, e formule complesse in testa, stilavano un faticoso ritratto del pianeta.
Le mappe erano potere. Di tutte le mappe del mondo, la più accurata e segreta era il Padrão Real, la madre di tutte le mappe: voluta da Enrico il Navigatore veniva costantemente aggiornata. Nel 1500 pendeva dal soffitto della Casa da India nel Palazzo Reale a Lisbona, sorvegliatissima, inaccessibile ad occhi indiscreti. Sulle navi portoghesi arrivavano solo i dettagli copiati da quella matrice segreta.

Nel 1502 un certo Cantino corruppe un ignoto cartografo per farsene fare una copia. Quella copia, presumibilmente accurata, finì a Ferrara, nelle mani del Duca d’Este. Oggi è l’unica copia esistente di quel capolavoro che era il Padrão Real e viene celebrata come la prima mappa moderna. Ma anche come la prima mappa che riporta il Brasile.
Pedro Álvares Cabral
Il 15 febbraio del 1500 Manuele I nomina il trentatreenne Cabral capo della seconda spedizione verso l’India. Ci sono voluti sette mesi, tanto tempo è passato da quando Vasco da Gama è tornato a Lisbona, per organizzare una seconda missione. Le difficoltà incontrate durante il primo viaggio e l’ostilità dei mercanti arabi hanno indotto il re ad armare una potente flotta divisa in due squadre navali. La prima, ai comandi di Cabral, è composta da ben nove naus (caracche portoghesi) e due caravelle con destinazione Calicut. La seconda squadra, composta da una caracca ed una caravella, si fermerà a Sofala, in Mozambico. A bordo ci sono 1500 uomini, tra i quali 700 soldati. Per finanziare un’impresa del genere Manuele I si è servito dei soldi dei banchieri fiorentini. I fiorentini non sono nuovi a questo genere di interventi finanziari, hanno già sostenuto i viaggi di Colombo, la Spagna ed ora il Portogallo. Il giovane Cabral ha poca esperienza come militare e navigatore, ma la sua nomina serve ad appianare le dispute tra le famiglie nobili e la casa reale. Sarà affiancato da comandanti illustri, come Bartolomeo Diaz, Diogo Diaz, e Nicolau Coelho, che era con da Gama nel primo viaggio. Non c’è da Gama. Agli occhi di re Manuele I, Vasco aveva fallito nel tornare senza un trattato con lo Zamorin di Calicut. Per la missione Cabral riceverà 10.000 cruzados, l’equivalente di 35 chili d’oro. Lo scopo è firmare un accordo commerciale e costruire una base in India.

Scoprire il Brasile mentre si va in India
La flotta parte da Lisbona il 9 marzo del 1500, scivolando lungo il fiume Tago, oggi attraversato dal ponte Vasco da Gama. Accede all’Atlantico con la marea buona e punta verso l’arcipelago di Capo Verde. Approda a São Nicolau tredici giorni dopo e in piena tempesta. Una delle navi è danneggiata ed è costretta a rientrare a Lisbona. Ma da Capo Verde Cabral prende una rotta insolita. Invece di andare verso sud, come ha fatto Vasco da Gama prima di cercare il vento aprendo ad ovest, punta subito verso sud-ovest. Nel 1499, un anno prima, sull’altro lato del mare, gli equipaggi spagnoli tra i quali un fiorentino, certo Amerigo Vespucci, avevano osservato una lunghissima, infinita costa che si stendeva verso sud-est. Avevano incontrato la foce del fiume Orinoco e risalito un ramo del Rio delle Amazzoni. La costa proseguiva, ma chissà fin dove, forse ben oltre la linea di Tordesillas, un meridiano arbitrario, frutto di un accordo sulla spartizione del mondo tra Spagna e Portogallo, che segnava il confine tra le rispettive aree di influenza. Gli spagnoli avevano molto da esplorare nelle zone in cui si erano insediati, dovevano ancora scoprire il Messico, e non avevano intenzione di fare un favore ai portoghesi scoprendo terre che sarebbero a loro spettate.

Quanto fu intenzionale la rotta smaccatamente verso ovest di Pedro Álvares Cabral è ancora al centro di dispute. C’è chi sostiene che abbia cercato di evitare l’area delle bonacce e che, con un’ennesima, audacissima volta do mar, abbia seguito il vento e la corrente fino a raggiungere la costa del Brasile. C’è chi invece sostiene che quello fu il piano segreto di Cabral per contrastare l’espansione spagnola. Tuttavia, fanno notare gli scettici, le scoperte spagnole erano troppo recenti per essere giunte all’orecchio dei portoghesi. Comunque siano andate le cose nella mente di Cabral, il 21 aprile del 1500 gli equipaggi notano delle alghe e altri detriti. Sono il segno certo della terra vicina. Il giorno dopo scorgono il profilo sull’orizzonte di un monte, che chiameranno Pascoal. Ormeggiano davanti a una spiaggia poco lontana dalla foce di un fiume e le sponde si riempiono di indigeni. Cabral manda con una lancia Coelho ed altri per stabilire un contatto, ma le onde impediscono lo sbarco. Durante la notte una tempesta spinge le navi verso la costa e sono costretti a salpare cercando un approdo sicuro. Trovano riparo a più di venti miglia a nord, in una baia protetta dai coralli, nei pressi dell’odierno Porto Seguro, nello Stato di Bahia. Si presentano subito altri indigeni, arrivano con le canoe, e vengono invitati a bordo. Non conoscono i metalli e sono incantati da due cose: il miele e le galline, che non hanno mai visto. Il 26 aprile 1500 un frate francescano celebra la messa in spiaggia davanti a 200 indios Tupiniquim. È la messa più grande mai celebrata fino a quel momento nel Nuovo Mondo. Ma la missione è l’India. Sei giorni dopo ripartono per riprendere la rotta e Cabral invia una delle sue navi a Lisbona con un messaggio per il re: è stata scoperta una nuova terra e i cartografi confermano che è dentro la linea di demarcazione del Trattato di Tordesillas.

Sulla via per l’India, mentre cercano di doppiare Capo di Buona Speranza, che Bartolomeo Diaz aveva battezzato Capo delle Tempeste, incappano in una violenta burrasca e lo stesso Diaz scompare tra le onde insieme a 380 uomini. Anche Diogo Diaz è disperso, ma riesce a uscirne spingendosi ad est, così ad est che si trova a costeggiare un’isola immensa. È il Madagascar. Diogo sa dell’esistenza di quell’isola, anche se nessun portoghese l’aveva mai vista, lo sa perché ha scrutato alcune mappe degli arabi. E sa anche che lì i musulmani hanno già delle basi. Si ricongiunge col resto della flotta a Ras Asir, nel Golfo di Aden, e proseguono per l’India. La raggiungono il 13 settembre del 1500.
Arrivo a Calicut
Cabral stavolta si presenta con doni più chic, di quelli offerti da Vasco da Gama, e firma un trattato con lo Zamorin che gli concede di costruire un magazzino con degli uffici. Ma a novembre la flotta portoghese, malgrado l’oro che sono disposti a spendere, ancora non ha caricato abbastanza spezie per giustificare il viaggio. Cabral sa esattamente con chi prendersela: a dicembre 1500 sequestra una nave araba carica di spezie. Inaspettatamente, una folla inferocita prende d’assalto la base e massacra 50 portoghesi. Cabral non interviene, ma è convinto della collusione dello Zamorin. Chiede di incontrarlo per una riparazione, ma lo Zamorin non si presenta.
Da ordine alla flotta di bombardare Calicut, i portoghesi confiscano il carico di tutte le navi arabe e poi le incendiano con tutti gli equipaggi a bordo. Si scatena una guerra, l’ennesima tra l’Islam e l’Occidente, combattuta su un altro teatro: l’Oceano Indiano. Cabral fugge a sud e si allea con il reggente Indù di Cochin, altra città sulla costa. Ha le spezie ed un trattato da mostrare al re, e fa rotta verso casa. Ma anche la sua missione indiana paga un dazio pesantissimo: delle tredici navi ne tornano solo cinque. Il re non apprezza. Sa che Calicut è il porto più importante al mondo per le spezie e Cabral, è tornato da lì con in mano una nuova guerra, al posto di un trattato commerciale.
Forse non è Chipango
In Italia e in Spagna, grazie a un cartografo ed esploratore fiorentino, un certo Amerigo Vespucci, sta circolando una nuova idea: le terre che gli spagnoli e i portoghesi stanno esplorando non sono una propaggine insulare dell’Asia, ma appartengono ad un continente a sé stante. Il Vespucci lo battezza Mondus Novus, nuovo mondo. Continuerà ad esplorare, ma stavolta con i portoghesi, i quali non solo possono permettersi di battere la costa del Brasile, ma hanno decisamente gli equipaggi migliori. Il ritratto del pianeta Terra si delinea sempre più chiaro agli occhi di chi è ben informato, ma per tracciare una rotta che congiunga Occidente e Oriente navigando verso Ovest, ci vorranno un Imperatore, i soldi dei banchieri fiorentini ed un altro navigatore portoghese: Ferdinando Magellano. Uno disposto ad affrontare un viaggio a dir poco allucinante.

Fino alla fine del Nuovo Mondo
È il 21 ottobre del 1520, giorno di Sant’Orsola delle Undicimila Vergini, e nell’emisfero sud è primavera. I conquistadores spagnoli sono già entrati a Tenochtitlán, la capitale azteca. Magellano non può saperlo, la sua flotta ha lasciato la Spagna nell’agosto del 1519 e probabilmente non gli interessa: ha appena doppiato un capo che ha battezzato Capo Virgenes per entrare in uno dei posti meno accomodanti del pianeta Terra. Ha a che fare con escursioni di marea di dieci metri e con correnti che strappano le ancore, a trovare un posto dove metterle, in un sistema di fiordi che sembra un labirinto. Magellano ha servito Francisco de Almeida, viceré dell’India, ha partecipato alla conquista di Malacca, è stato gravemente ferito in battaglia in India e in Marocco. Ma nessuna delle sue esperienze è paragonabile a quel viaggio.
Ha iniziato a studiare cartografia e navigazione astronomica non ancora ventenne. A trentasei, dopo decine di viaggi e battaglie è entrato in contatto con un anziano astronomo, astrologo e cartografo, un certo Ruy Falerio, un uomo convinto dell’esistenza di un passaggio verso ovest a sud del Rio de la Plata. Lui e Falerio hanno insistito con il re Manuele I per una nuova missione esplorativa: trovare una rotta per l’India verso Ovest. Ma su Magellano grava il sospetto di aver intrattenuto rapporti d’affari con gli arabi. Magellano, stufo di non ricevere più incarichi da anni, s’è trasferito a Siviglia, accolto dal sovrano ‘sul cui regno non tramonta mai il sole’. È Carlo V d’Asburgo, capo del Sacro Romano Impero, re di Castiglia e Siviglia, arciduca d’Austria, principe di Borbone e dei Paesi Bassi. Il monarca che negli anni a venire si scontrerà col Papa e saccheggerà Roma.
Gli equipaggi sono ormai convinti che quel viaggio sia un suicidio. Ha già affrontato un ammutinamento, nella baia di San Julian nell’aprile 1520. Un ammutinamento risoltosi nel modo più cruento e pochi giorni dopo ha perso la Santiago in un naufragio. Così scrive il vicentino Antonio Pigafetta, attendente di Magellano:
“Stessemo in questo porto, el quale chiamassemo porto de Santo Giuliano, circa di cinque mesi, dove accaddettero molte cose. Acciò che Vostra illustrissima signoria ne sappia alcune, fu che, subito entrati nel porto, li capitani de le altre quattro navi ordinarono uno tradimento per ammazzare il capitano generale: e questi erano el vehadore de l’armata, che se chiamava Gioan de Cartagena, el tesoriero Alovise de Mendoza, el contadore Antonio Cocha e Gaspar de Casada. E squartato el vehador da li uomini, fu ammazzato lo tesoriero a pognalade, essendo descoperto lo tradimento. De lì alquanti giorni Gaspar de Cazada per voler fare un altro tradimento, fu sbandito con un prete in questa terra Patagonia. El capitano generale non volle farlo ammazzare perchè lo imperatore don Carlo lo aveva fatto capitano. Una nave, chiamata Sancto Iacopo, (la Santiago) per andare a descovrire la costa si perse. Tutti gli uomini 7 si salvarono per miracolo, non bagnandose.”

Ora Magellano è lì, nel fiordo inesplorato che porterà il suo nome, su una caracca da 100 tonnellate, la Trinidad. E zoppica sul ponte. È il lascito delle ferite ricevute in battaglia. È in uno degli incubi peggiori dei marinai. Navigano lentamente a vista solo di giorno, tra muri di roccia, costretti ad ormeggiare a terra o tra banchi di sabbia che, con la marea, emergono o affondano all’improvviso. Procedono sondando il labirinto con due navi per volta alla ricerca di una via d’uscita. Trovano una grande baia, ma col calar del sole si fermano e ormeggiano. Alle prime luci dell’alba Magellano invia la San Antonio e la Concepción, le due più agili, ad esplorarne il lato opposto. La sua Trinidad e la Victoria restano all’ancora. Cala di nuovo la notte e col buio sopravviene una tempesta. Appena fa giorno salpano le ancore. Hanno paura di perderle, o di schiantarsi per un cambio improvviso di vento e di marea. Intanto le due navi in avanscoperta non possono tornare indietro, il vento le costringe a proseguire. I loro comandanti si ritrovano in un fiordo, non ne vedono la fine e temono di essere finiti in trappola. Proseguono a denti stretti finché l’insenatura non sbocca in una baia, e poi in un ampio canale che si biforca. Tornano due giorni dopo per riferire le loro scoperte a Magellano, che muove l’intera flotta nel punto in cui le due navi erano giunte. È novembre e Magellano è davanti al solito dilemma, logorante: quale dei due bracci? Incarica la San Antonio e la Concepción, di esplorare il canale verso sudovest, mentre lui, con la Trinidad e la Victoria, si dirige verso nordest. Sfila silenziosamente sotto picchi innevati in lontananza, poi incontra un fiume di sardine. Sa che è un ottimo segno. Getta l’ancora in un ormeggio sicuro e ordina alla Victoria di risalire quel fiume di pesci. L’equipaggio esegue. Risale lo stretto finché non sbocca in mare aperto. È un mare dal respiro ampio. Non c’è dubbio, quello è un altro oceano. Dopo tre giorni, la Victoria torna con la notizia. Magellano scoppia in lacrime. Aveva desiderato quel momento con tutto sé stesso, tanto che chiamerà quell’ultimo lembo di terra ‘Cabo Deseado’. Le due navi tornano indietro per ricongiungersi con le altre, ma le trovano. Le attendono nel punto prestabilito per quattro giorni. Magellano non può sapere che Álvaro de Mezquita, suo cugino e comandante della San Antonio, è stato pugnalato e gettato in catene dal pilota, un certo Estêvão Gomes, e che la nave sta già facendo rotta verso la Spagna. Non può sapere che la Concepción s’è persa nel labirinto per cercarla.

Invia di nuovo la Victoria e fa piantare due bandiere su due alture. Ai piedi di esse i marinai depongono due pignatte contenenti le lettere con gli ordini. Ed un consiglio: ‘Nel caso non trovaste lo stretto, portatevi a sud, a 71 gradi nell’Antartico: in questa stagione navighereste sempre di giorno.’ La Concepción finalmente raggiunge il resto della flotta e il 28 novembre affrontano, finalmente, l’oceano.
Viaggio allucinante
Magellano lo chiamerà Pacifico, quell’oceano, per la sua calma. Ma né lui né nessun altro a bordo ha idea di quanto sia grande. E vuoto. Le acque poco lontane dalle coste del Cile sono ancora pescosissime, ricche di sardine, di pesci volanti e di lampughe, ma man mano che s’inoltrano nel cuore del più grande spazio blu del pianeta, il pescado inizia a scarseggiare. E così i viveri e l’acqua dolce. L’acqua è gialla e putrefatta e i biscotti sono invasi dai vermi. Quello che resta dei biscotti odora dell’orina dei topi.
“Li sorci se vendevano mezzo ducato lo uno e se pur ne avessemo potuto avere.”
Mangiano il cuoio che protegge gli alberi dallo sfregamento delle sartie. Lo lasciano in ammollo in mare per cinque giorni, per ammorbidirlo. I marinai hanno le gengive gonfie, crescono sopra i denti e sanguinano. Quasi tutto l’equipaggio è colpito dallo scorbuto. Ne muoiono 19. Dopo 3 mesi e venti giorni di navigazione, finalmente raggiungono delle isole, oggi parte di Tuamotu e Kiribati. Pigafetta le descrive come disabitate e prive di sorgenti d’acqua dolce, circondate da squali ma ricche di uccelli marini e altre specie delle quali riescono a nutrirsi. Magellano le battezza ‘Isole Infortunate’. Il 6 marzo del 1521 giungono a Rota, isola delle Marianne, ma non riescono ad ormeggiare. Hanno successo a Guam, un giorno e mezzo dopo. I Chamorro, gli abitanti, giungono in massa con delle canoe e si riversano bordo. Si prendono tutti gli oggetti che a loro piacciono e poi fuggono. Rubano una lancia con una destrezza sconosciuta perfino agli europei. Magellano e i suoi non possono comprendere che quelle genti ignude non hanno il concetto di proprietà. Per rappresaglia bruciano il villaggio e sette nativi vengono uccisi. Poi si riprendono la lancia.
Il giro del mondo in due anni
Nessun navigatore portoghese verrà odiato in patria più di Magellano. Manuele I lo vuole morto ed ha messo su di lui una taglia. E ora che è andato a portare la sua esperienza, e chissà quanti segreti, a Carlo V, il re è ancora più convinto che abbia trafficato illecitamente coi Mori. In Spagna le cose non andranno meglio. Manca un anno e mezzo all’arrivo della San Antonio, la nave ammutinata da Estêvão Gomes. L’equipaggio intero, compreso suo cugino, questi sotto tortura, testimonierà contro Magellano per atti di crudeltà e di infedeltà all’Imperatore. Ma questo, Magellano, non può minimamente immaginarlo. Per lui, la San Antonio, è dispersa. E nel frattempo mette piede alle Molucche, le agognate Isole delle Spezie.
Il 10 settembre del 1522, dopo due anni di viaggio, la Victoria approda a Sanlúcar de Barrameda, in Spagna. Ci vorranno altri quarant’anni prima che Mercatore metta tutti d’accordo su come ‘spianare’ un globo su un foglio di carta, e altri duecento prima che vengano fabbricati dei cronografi adatti all’ambiente marino, gli unici strumenti possibili per stimare con precisione la longitudine, ma la missione di Magellano ha già aperto una via epocale. Le esplorazioni ed i commerci a venire si baseranno su ciò che Magellano ha dimostrato: ‘la volta’ del pianeta via mare è possibile. Da allora in poi si baseranno tutti sulle sue carte. A Sanlúcar de Barrameda arriva solo la Victoria, ai comandi del basco Juan Sebastián Elcano, uno degli ammutinati graziati da Magellano, riabilitato dopo cinque mesi in catene. La Trinidad e la Concepción sono andate perdute. E così l’80% degli equipaggi. E Magellano, non è sulla Victoria.
Come Cook
È andata che alle Filippine Magellano convince il Rajah Humabon, signore di Cebu, a convertirsi al cristianesimo e pagare tributi e fedeltà alla Spagna, promettendo la protezione dell’Imperatore. Ma Lupulapo, principe di Mactan, non vuole assoggettarsi, non ha intenzione di trattare. Magellano e i suoi sbarcano su una spiaggia rocciosa, con l’acqua che arriva alle cosce e si trovano davanti 1500 indigeni armati, organizzati in tre falangi. Rinnovano l’invito, ma in cambio ricevono frecce. Le navi e le lance sono ormeggiate lontano dalla riva e gli archibugi e i quadrelli di balestra non sono efficaci da quella distanza. Magellano ordina di non sparare, ma i suoi non odono, e finiscono le munizioni. Allora ordina l’incendio del villaggio per spaventare gli indigeni, ma quelli s’inferociscono ancora di più e vengono sotto urlando, armati di sassi e di lance. Mirano alla carne lasciata scoperta dalle armature.

Colpiscono Magellano con una freccia avvelenata ad una gamba e lui ordina la ritirata. Mentre indietreggia, faccia al nemico, viene colpito da una lancia e lui la estrae e la usa contro l’attaccante. Si trova solo con pochi uomini davanti a decine di armati e prova ad estrarre la spada, ma non ci riesce perché un’altra freccia l’ha colpito al braccio. Allora si volta per essere sicuro che i suoi siano al sicuro a bordo e cade faccia in giù, sotto innumerevoli colpi, nel mare che lo accoglie per sempre.
“Spero in Vostra signoria illustrissima che la fama di uno sì generoso capitano non debba essere estinta ne li tempi nostri. Fra le altre virtù, che erano in lui, era lo più costante in una grandissima fortuna che mai alcuno altro fosse al mondo: sopportava la fame più che tutti gli altri, e più giustamente che uomo fosse al mondo carteava e navigava, e, se questo fu il vero, se vede apertamente, niuno altro avere avuto tanto ingegno nè ardire di saper dare una volta al mondo come già quasi lui aveva dato.”
Antonio Pigafetta.
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- https://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Tordesillas
- https://www.imperialbulldog.com/2015/04/22/come-un-dio-inatteso-james-cook-il-terzo-viaggio/