A Fitzory Island, in Australia, i coralli allevati dai ricercatori si sono riprodotti. L’evento, che i ricercatori chiamano spawning, lascia speranze per il futuro delle barriere coralline.

È il 2005 e a bordo dell’Undersea Explorer c’è un nutrito gruppo di subacquei composto da volontari paganti provenienti da tutto il mondo e da ricercatori delle varie università australiane. Durante il tragitto lungo la Far North Section, la sezione del Great Barrier Reef che corre l’ungo l’orecchio del gatto (tale sembra l’Australia, una testa di gatto) vengono raccolte e studiate cubomeduse, vengono taggati squali tigre e infine si fa una sosta a Heron Island, dove i ricercatori hanno allestito una base molto particolare. In quella base ci sono delle vasche.

Nelle vasche si sta tentando di convincere i coralli a fare lo spawning, cioè ad emettere i gameti, ed a sviluppare le larve che attecchiranno su alcune mattonelle. Sempre sull’isola, ma sott’acqua, i ricercatori armati di mazze d’acciaio piantano dei lunghi picchetti collegati tra loro da cavi. Serviranno a sostenere delle mattonelle dove le larve hanno attecchito. È uno dei primi esperimenti di ripopolamento del reef.
I ricercatori e le università non avevano bisogno di Greta Thunberg per sapere cosa sarebbe successo alle barriere coralline, lo sapevano da molto prima che l’emergenza climatica raggiungesse i titoli di giornale. Sapevano che il riscaldamento dei mari era un processo inesorabile già iniziato.

Da quel primo tentativo sono passati diciassette anni durante i quali per il clima s’è fatto ben poco, e pochi sono i coralli che da quel rudimentale esperimento sono arrivati sani ai nostri giorni. La Undersea Explorer non esiste più, ma il know how non è andato perduto ed il concetto di Citizen Science si è espanso, non solo in Australia. Purtroppo, tra il 2014 e il 2017, due ondate di calore riconducibili al fenomeno de la Niña distruggono migliaia di chilometri di barriera corallina. Particolarmente colpita è la far North Section, lo documenta Chasing Corals, un film realizzato da un team di subacquei e ricercatori che vince il Sundance Festival. Alla sfida degli scienziati che tentano di ripopolare le barriere se ne aggiunge un’altra: ripopolarle non più con dei coralli qualsiasi ma con dei coralli capaci di resistere al cambiamento climatico.

I coralli forti di Fitzroy Island
Situata a circa tre miglia nautiche dalla costa del Queensland, l’isola sorge all’interno della Grande Barriera Australiana. Fu scoperta da James Cook nel 1770, durante il suo primo viaggio. La posizione, a sedici gradi sud dall’equatore e all’interno dell’ampio sistema, espone le sue acque poco profonde a temperature elevate. Nonostante ciò, alcuni coralli appartenenti al genere delle acropore sono miracolosamente sopravvissuti. Molto probabilmente quegli individui contengono geni capaci di far fronte al drammatico cambiamento. Operatori turistici e subacquei locali hanno una intuizione: aiutare quei coralli a moltiplicarsi per ripopolare il reef. La manodopera, come insegnano le precedenti esperienze, c’è ed è individuabile nella comunità subacquea che è sempre felice di poter dare una mano per salvaguardare l’ambiente che gli è più caro.

Serve però un metodo semplice, un sistema che un volontario subacqueo possa far funzionare con poche istruzioni ricevute sul campo. Il più semplice di tutti è quello degli innesti, un metodo che ricorda vagamente quello delle talee, anche se il paragone è improprio visto che i coralli non sono affatto piante. Consiste nel prelevare alcuni rametti di coralli resistenti e farli sviluppare in un ambiente favorevole e controllato per poi trapiantarli sulle zone danneggiate del reef. Il 17 dicembre del 2017, con il benestare dell’Autorità del Parco Marino della Grande Barriera Corallina, parte il Reef Restoration Project, progetto pilota sostenuto dalla Reef Restoration Foundation. A Welcome Bay, uno specchio di mare poco profondo e al riparo da onde e altri eventi atmosferici, vengono piantati dei telai. Nasce la nursery, come amano chiamarla gli addetti ai lavori, un ambiente favorevole e controllato dove far sviluppare i cloni dei sopravvissuti. Di quei rametti saranno in pochi a farcela. Molti di loro, per lo shock sbiancheranno e verranno attaccati dall’alga, un’alga non simbionte, ma quelli che arriveranno a completare il ciclo riproduttivo saranno capaci di prosperare in un ambiente sempre più difficile.

La partecipazione è entusiasmante
In cinque anni, tra subacquei e ricercatori, si avvicendano sull’isola che conta meno di 50 abitanti più di 60.000 persone. Vengono impiantati 30 vivai, o aree di accrescimento, capaci di accogliere e far sviluppare un centinaio di coralli l’uno. Il resort e il camping si popolano di volontari, così come i traghetti che in poco meno di un’ora collegano Fitzroy con Cairns. Nel 2018 vengono innestati i primi coralli sul reef danneggiato. Le operazioni proseguono. Non è difficile attirare volontari su un’isola come Fitzroy, un’isola di origine continentale e non corallina, facilmente accessibile, occupata da una lussureggiante foresta pluviale e circondata da spiagge bianche. I coralli attecchiscono ma i ricercatori si pongono una domanda legittima: questi cloni saranno poi in grado di riprodursi da soli? Di creare altri individui simili, resistenti al cambiamento, e dare un nuovo impulso alle barriere devastate? Il 2022 sembrava un anno più freddo per la Niña, si sperava in un periodo di recupero per i coralli. Invece si verifica un altro evento di sbiancamento di massa. È il sesto registrato nella Storia e il quarto dopo la catastrofe del 2016. Il clima non concede un attimo di tregua.

La perdita
La scala del danno non è paragonabile alle capacità di ripristino. Secondo alcuni scienziati per aumentare la superficie coperta dai coralli sulla Grande Barriera solo dell’1% richiederebbe lo sviluppo di 250 milioni di nuovi coralli. Coralli di grandi dimensioni e che abbiano le giuste qualità di resilienza per non soccombere ai colpi incessanti del clima. Non è solo la bellezza dei un ambiente naturale che sta andando perduto. Alcuni esperti hanno quantificato il valore della Grande Barriera Australiana in 50 miliardi di dollari, un asset capace di generare un indotto 5,6 miliardi di AUD$ ogni anno. Non solo nel turismo che, come abbiamo visto, potrebbe sopravvivere grazie all’entusiasmo di subacquei volontari impegnati in operazioni di monitoraggio e ripristino. Le barriere coralline, dalla prima all’ultima, ospitano il 25% delle specie marine e a loro volta sono delle nursery, dei vivai che accolgono al loro interno almeno il 20% delle specie oceaniche durante il loro accrescimento, creando un ambiente tridimensionale in grado di nutrirle e proteggerle dai predatori nel periodo più critico della loro esistenza. L’impatto della scomparsa delle barriere coralline sulla pesca mondiale sarebbe devastante.

Il miracolo
Esattamente cinque anni dopo il lancio del progetto, i ricercatori di Fitzroy Island assistono ad un evento atteso, ma per il quale nutrivano poco ottimismo. È notte e la luna piena è appena tramontata e sul reef appare una nebbiolina fumosa. È lo spawning. I coralli stanno rilasciando uova e sperma che si incontreranno per dar vita a nuove larve. Le larve attecchiranno sul substrato ed inizieranno a costruire altri coralli. Gli scienziati accorrono per investigare e non hanno dubbi, si tratta delle acropore innestate sul reef e che ora avevano raggiunto il metro di diametro. Intervistato dal The Guardian Azri Saparwan, biologo marino della Reef Restoration Foundation, ha descritto l’evento come “una pietra miliare” sulla via verso il recupero dei coralli. I coralli dell’isola Fitzroy hanno resistito all’ ultimo evento di sbiancamento di massa, ed ora hanno compiuto il passo più importante del loro ciclo vitale: la riproduzione.

Questo non solo prova che i protocolli adottati sono efficaci ma dà una nuova speranza per il futuro delle barriere coralline. Nessun facile entusiasmo, premettono i ricercatori: l’evento di Fitzroy Island è letteralmente una goccia nell’oceano. La Grande Barriera è un sistema composto da almeno 3000 reef, molti dei quali enormemente più grandi della piccola nursery di Welcome Bay. Pochi si fanno illusioni se non si rimuove la causa della moria dei coralli: il cambiamento climatico. Un’operazione di ripristino su vasta scala richiederebbe uno sforzo economico e logistico giganteschi e un impiego faraonico di manodopera. Inoltre, fanno notare gli scienziati, questi interventi potrebbero aiutare i coralli a farcela fino all’inversione di tendenza del clima ma se il pianeta continuerà a riscaldarsi non ci saranno supercoralli che tengano. Resta la buona, ottima notizia per un esperimento riuscito grazie all’intuizione e alla buona volontà di chi ha dedicato tempo, immersioni e conoscenze a questo successo.
- https://rrf.org.au/
- https://www.imperialbulldog.com/2015/04/01/fino-alla-fine-del-mondo-il-primo-viaggio-di-james-cook/
- https://rrf.org.au/spawning-at-fitzroy-island/
- https://www.chasingcoral.com
- https://www.fitzroyisland.com/explore-fitzroy/reef-restoration/
- https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2101985118#:~:text=Spawning%20day%20is%20assumed%20to,the%20new%20moon%20(20)%5D.
- https://www.theguardian.com/environment/video/2022/nov/16/corals-spawn-in-australias-first-offshore-nursery-on-the-great-barrier-reef-video
- https://www.imperialbulldog.com/2017/07/15/chasing-coral-le-barriere-lasciano-senza-fiato/
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