Il salmone è un pesce tanto pregiato quanto facile da conservare e la sua richiesta sui mercati internazionali è in crescita esponenziale. Gli allevamenti in acquacoltura consentono di risparmiare lo stock selvatico ma non senza rischi per l’ambiente. In Islanda qualcosa è sfuggito di mano in modo forse irreparabile. La portata degli eventi prefigura una catastrofe già da tempo annunciata.

Una domanda in crescita verticale
Le odierne tecnologie di acquacoltura permettono l’allevamento anche di specie anadrome, ovvero che migrano dal mare ai fiumi per riprodursi. Tra queste specie c’è il Salmo salar, o salmone dell’Atlantico. L’Islanda, una nazione storicamente votata alla pesca, ha iniziato ad allevare salmoni su scala industriale con aziende che adottano la tecnica delle reti aperte, una modalità di acquacoltura che sfrutta le correnti marine per il necessario ricambio d’acqua. Dal 2014 in poi la produzione di salmone d’allevamento islandese cresce come la domanda: in modo esponenziale. Dalle 4.000 tonnellate del 2014 la produzione sale a 8.000 l’anno successivo, il 2015, per raggiunge le 43.000 tonnellate nel 2022. Già nel 2021 la produzione è cresciuta tanto da dominare l’intero comparto ittico-agricolo: su 213 milioni di euro di esportazioni ben 167 (il 76%) provengono dal solo salmone d’allevamento. L’industria, con una forte quota in mano alle aziende norvegesi, in meno di otto anni crea centinaia di nuovi posti di lavoro e genera introiti stratosferici per il governo grazie alle licenze. Cresce ignorando tutti gli allarmi.

2019: primo allarme
In quell’anno la produzione islandese raggiungerà le 20.000 tonnellate ma un gruppo di scienziati avverte già ad aprile che quel tipo di allevamento potrebbe decimare lo stock di salmone selvatico locale. Entrano in campo gli ambientalisti e lo IWF, l’Icelandic Wildlife Fund. Si battono contro un disegno di legge parlamentare che vuole estendere le licenze da 10 a 16 anni e consegnare le competenze dei monitoraggi nelle mani dell’industria stessa.
“Siamo a un bivio. Se permettiamo a questo tipo di acquacoltura industriale di prendere il sopravvento si causerà un inquinamento massiccio e un drammatico aumento del rischio di fuga dei salmoni d’allevamento. L’Islanda sta diventando l’ultima frontiera.”
Jon Kaldal, portavoce dell’Icelandic Wildlife Fund (The Guardian).
L’obiettivo dell’Islanda è portare la produzione di salmone a 71.000 tonnellate entro dieci anni, per raggiungere le 200.000 tonnellate all’anno al culmine della seconda fase. Il paese vuole farsi trovare preparato per il 2050, quando la domanda di pesce mondiale raddoppierà. Ma per riuscirci ha scelto dei partner in fuga: le aziende norvegesi. In Norvegia le autorità si sono viste costrette ad imporre uno stop alle nuove licenze per gli allevamenti di salmone a reti aperte dopo aver visionato rapporti allarmanti. Ogni anno in Norvegia sono circa 200.000 i salmoni d’allevamento che evadono dalle reti e gli studi indicano che l’inquinamento genetico dovuto all’ibridazione con i fuggiaschi interessi ben il 71% dei fiumi del paese. Ci sono sempre meno dubbi che la causa principale del dimezzamento della popolazione dei salmoni selvatici siano gli allevamenti a reti aperte. Al rischio della diffusione di malattie, che nei recinti si diffondono a dismisura, si aggiungono il rischio dei composti chimici usati per combatterle e il rischio dello sviluppo di ceppi mutanti e resistenti che potrebbero propagarsi in natura. Non solo. Secondo l’Autorità norvegese per il controllo dell’inquinamento, un allevamento ittico di medie dimensioni di poco più di 3.000 tonnellate produce la stessa quantità di acque reflue di una città di 50.000 persone. Le aziende leader norvegesi puntano all’Islanda, acquistando quote di maggioranza a man bassa. Da parte loro gli attivisti islandesi spingono per gli allevamenti in vasche e in terraferma, dove il rischio di fuga di salmoni e di dispersione in mare di inquinanti è quasi zero. Ma questi allevamenti sono costosi, comportano correnti d’acqua indotte artificialmente, laboratori ed incubatrici per le uova. L’Istituto di ricerca marina islandese avverte che la popolazione di salmone selvatico islandese è di 80.000 individui e che una fuga di soli 7.000 esemplari l’anno di salmone norvegese di allevamento potrebbe avere un serio impatto. L’Istituto di ricerca marina e d’acqua dolce produce un rapporto allarmante. L’ibridazione tra gli stock ittici locali e i pesci d’allevamento potrebbe essere più estesa di quanto si pensasse in precedenza. Gli attivisti e gli istituiti di ricerca non vengono ascoltati.
2021: geni pericolosi tra i fiordi
I salmoni da allevamento sono frutto di una selezione ‘innaturale’ che segue obiettivi precisi: accrescimento e raggiungimento della maturità sessuale in tempi brevi. Ignorando altre doti, come la capacità di difendersi dai predatori e dalle malattie. Uno studio dell’Istituto norvegese per la ricerca sulla natura di Trondheim (NINA) indica che l’incorporazione di geni tra popolazioni selvatiche e d’allevamento può avere un effetto negativo sul ciclo vitale del Salmo salar, il salmone atlantico.
“Il salmone atlantico ripartisce il suo ciclo vitale tra acqua dolce e acqua di mare e subisce due importanti cambiamenti fisiologici associati alle decisioni indotte dall’insieme di strategie di sopravvivenza e di riproduzione (life-history). Le uova deposte in autunno si schiudono nei fiumi in primavera, dove i giovani di solito trascorrono da uno a quattro anni prima di subire un adattamento evolutivo all’acqua salata poi migrano in mare. Dopo aver lasciato il fiume, i salmoni atlantici trascorrono da uno a tre inverni in mare, e talvolta di più, prima di maturare e tornare al loro fiume natale per riprodursi. Poiché il salmone d’allevamento è fortemente selezionato per una crescita più rapida e quindi una maggiore velocità di sviluppo, la tempistica di entrambe le decisioni può essere alterata dall’introgressione genetica dell’allevamento.”
In sostanza, quando i salmoni selvatici si riproducono con salmoni d’allevamento, i loro discendenti crescono più velocemente e maturano in età più giovane, compromettendo la loro capacità di sopravvivere e riprodursi nel loro ambiente naturale. Secondo lo studio il rischio maggiore si presenta nella fase iniziale della vita, quando i salmoni nati in acqua dolce si adattano all’acqua salata, in un processo noto come smolting. Il risultato è che le femmine discendenti da salmoni d’allevamento raggiungono la maturità almeno tre volte più velocemente e tornano a deporre le uova nel fiume troppo presto.
“È più che probabile che questo flusso di geni faccia alla lunga diminuire i numeri della popolazione, perché la renderà mediamente disadattata.”
Geir Bolstad, Istituto norvegese per la ricerca sulla natura (NINA).
Luglio 2023: allarme rosso
I primi ad accorgersene sono i pescatori. I fiumi dei Fiordi Orientali sono pieni di intrusi. Li riconoscono dalle pinne mozzate e dalla taglia che non è compatibile con la livrea. Li hanno pescati a 50 chilometri dall’allevamento più vicino. Da qualche parte deve esserci stato un incidente, una fuga di massa. Si scopre che è avvenuto ad agosto nell’allevamento di Patreksfjörður, di proprietà della Arctic Fish, nella regione Fiordi Orientali. Dei salmoni fuggitivi sono stati catturati e identificati solo 27 esemplari, ma si ritiene che il numero totale superi i 3.500. Arctic Fish, precedentemente di proprietà di SalMar, era stata acquistata alla fine dello scorso anno dalla Mowi, colosso norvegese per un valore di circa 170 milioni di Euro. L’amministratore delegato di Arctic Fish si scusa pubblicamente, esprime le preoccupazioni dell’azienda, rassicura il pubblico sull’impegno dell’azienda nel verificare la natura dell’incidente per adottare tutte le misure che impediscano un nuovo rilascio di salmoni d’allevamento in natura e si offre di risarcire i danni e di rimuovere i pesci fuggiti. In caso di colpa grave, secondo le leggi islandesi, rischia due anni di carcere. Attivisti, ricercatori e associazioni di pesca sportiva si coalizzano per raccogliere dati. Stimano che i salmoni fuggiti dall’allevamento in un colpo solo potrebbero essere più di 6.000, un numero enorme su una popolazione di 80.000 selvatici. Quei salmoni, oltre a dei geni inadatti, portano con loro dei parassiti. Una bomba ecologica per l’intero ecosistema marino islandese. Gli evasi e loro tacce vengono trovati in 32 fiumi e fino a 250 km da Patreksfjörður, il luogo dove è avvenuto l’incidente. Sindaci, attivisti ed enti locali chiedono lo spostamento degli allevamenti nell’entroterra e leggi più restrittive. L’Islanda scopre che i controlli su quel tipo di acquacoltura sono deboli e frammentati, e che i regolamenti compongono un mosaico confuso. L’unico quadro lampante è che il salmone selvatico islandese potrebbe essere spazzato via nell’arco di pochissime generazioni, e che uno studio che valuti con una certa precisione effetti ed eventuali misure è difficile e potrebbe richiedere anni. Ad ottobre il governo islandese blocca le licenze per gli allevamenti a reti aperte.
Mai come in questo caso la metafora ‘chiudere i recinti dopo che sono scappati i buoi’ ha assunto un significato tanto cupo.

- https://www.youtube.com/watch?v=-jquCP2n-bk
- https://www.newscientist.com/article/2302512-breeding-with-farmed-fish-is-changing-the-life-cycle-of-wild-salmon/
- https://www.gov.scot/news/conserving-wild-salmon-1/
- https://www.youtube.com/watch?v=xLIph7Ct-rQ
- https://www.hafogvatn.is/en
- https://www.mcsuk.org/ocean-emergency/sustainable-seafood/seafood-buying-guides/spotlight-on-salmon/
- https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abj3397