Detriti satellitari: non c’è più spazio per sognare

È la competizione fra le aziende aerospaziali che farà aumentare il vortice di spazzatura attorno all’orbita bassa terrestre.

Rifiuti in apparenza più nobili di quelli che produciamo quaggiù: parti di razzi e frammenti di satelliti in pensione, che se non tornano nell’atmosfera possono continuare a danzare attorno al nostro pianeta anche per migliaia di anni.

Rappresentazione dell’incontro fra Cheops e un frammento del satellite cinese | © Esa/Nasa/G.Schwarz

Detriti che rischiano di schiantarsi contro i satelliti attivi, compromettendo l’invio sulla Terra di segnali importanti per la navigazione, la ricerca sul clima e la meteorologia, le telecomunicazioni. Se questo tipo di collisione fino a pochi anni fa era considerato un evento straordinario, con l’impennata del transito satellitare in LEO (low earth orbit) la minaccia di incidenti è sempre più vicina. Dallo Sputnik ad oggi, in sessant’anni sono circa 56.450 gli oggetti in orbita tracciati, per un totale di 9.300 tonnellate di hardware spaziale (dati ESA). Sono 11.000 i satelliti oggi operativi, ed entro il 2030 potrebbero arrivare a 60.000. E lo smaltimento dei detriti è emergenza, anche lassù.

Satelliti in orbita
Spazio e mare, due vite in gioco

L’orbita bassa terrestre presto sarà invasa da detriti così come le acque salate traboccano di plastica: è l’allarme lanciato da un gruppo di scienziati in un articolo su Science. Più di 100 trilioni di pezzi di vecchi satelliti sono in orbita bassa, e siamo appena all’inizio della conquista di uno spazio che, in assenza di vincoli concordati, viene gestito senza scrupoli come un bene comune. In realtà un trattato esiste dal 1966: è l’Outer Space Treaty , ancora troppo approssimativo a causa dei continui mutamenti geopolitici e l’accavallarsi di interessi commerciali. Quello che gli scienziati chiedono a gran voce è un accordo sulla tutela dell’orbita bassa terrestre che imponga alle aziende aerospaziali un’occupazione sostenibile dello spazio partendo dalla pulizia dei detriti che producono e la deorbitazione dei satelliti a riposo. Come dopo un pic-nic, ognuno deve portare via i suoi rifiuti. Per pungolare i magnati spaziali gli esperti dichiarano che la mancanza di una corretta pratica di smaltimento dei rifiuti porterà ad un brusco rallentamento delle missioni, fino a rendere impossibile l’esplorazione dello spazio (anche la Stazione Spaziale Internazionale potrebbe essere colpita da un grosso detrito), e il lancio di nuovi satelliti.

Un veicolo spaziale che esplode producendo detriti in orbita | © ESA

“Esistono già delle linee guida dell’Inter Agency Space Debris Coordination Committee (IADC) e delle Nazioni Unite, che indicano come necessaria la deorbitazione dei satelliti a fine vita – afferma Marco Catronuovo, fisico dell’Agenzia Spaziale Italiana – affinchè  il loro rientro in atmosfera avvenga entro 25 anni. Si discute già di ridurre questo tempo a 5 anni perché la situazione sta degenerando molto rapidamente. Purtroppo tali linee guida non sono vincolanti e quindi il loro rispetto è su base volontaria. Per questo sono necessarie leggi nazionali di regolamentazione che possano costringere gli operatori a determinate misure di mitigazione.”

Simulazione della distribuzione e dei movimenti dei detriti spaziali | © TU Braunschweig/ESA/AP
Un girotondo sempre più affollato

Al momento a monitorare il traffico di oggetti nello spazio è lo US Space Surveillance Network, probabilmente più concentrato sul controllo dello spazio che sullo smaltimento dei rifiuti, che registra questi dati: il 24% sono satelliti, la maggior parte non attivi, l’11% sono stadi superiori spesi e oggetti come gli adattatori di lancio e i copriobiettivi.

Dal 1961 ad oggi le cause principali di frammentazione sono state le esplosioni di satelliti e razzi dovute ai residui di carburante o altra forma di energia rimaste a bordo, ma anche i test anti-satellite effettuati da missili lanciati a turno da Cina, USA, Russia, India. Ci sono poi eventi che producono un “plancton” spaziale, polvere e particelle rilasciate dall’accensione di motori dei razzi, goccioline di liquido di raffreddamento dei reattori, scaglie di vernice dei satelliti.

Sotto gli 800 km di altitudine i satelliti esauriti decelerano e rientrano nell’atmosfera dove si disintegrano, mentre gli altri continuano a circolare intorno alla Terra. Secondo il Netwok, l’immondizia spaziale per ora sarebbe responsabile di sole sette collisioni, ma il rischio aumenta in parallelo ai lanci sempre più frequenti.

Rendering di un recupero di un detrito spaziale | © ClearSpace

“Purtroppo lo spazio circumterrestre è già molto popolato da “spazzatura spaziale”. – spiega Marco Castronuovo – Si stima che ci siano in orbita circa 36.000 frammenti più grandi di 10 cm, 1 milione di frammenti con dimensioni tra 1cm e 10 cm, e 128 milioni con dimensioni tra 1 mm e 1 cm. Ovviamente l’aumento del traffico non fa che accrescere esponenzialmente il rischio di collisioni e di conseguenti frammentazioni, innescando una reazione a catena che potrebbe portare all’inutilizzabilità di alcune regioni orbitali.” È la cosiddetta Sindrome di Kessler: un frammento di pochi centimetri può distruggere un oggetto di medie dimensioni, generando una raggiera di detriti più piccoli ma altrettanto pericolosi.

E i detriti che precipitano sulla Terra? “La maggior parte degli oggetti spaziali che rientrano nell’atmosfera si bruciano completamente nella loro discesa verso la superficie terrestre. – continua Castronuovo – Tuttavia oggetti di grande massa e con parti progettate per resistere alle alte temperature, come ad esempio i serbatoi e i motori dei razzi, possono di tanto in tanto arrivare a terra. La probabilità è bassa, ma non è zero. Ad oggi non è mai stato riportato alcun danno a persone dovuto alla caduta di detriti spaziali.”

Detriti rinvenuti su Marte | © NASA
Risiko in orbita bassa

C’era un tempo in cui, sdraiati sulla sabbia o sull’erba in una notte serena, si spalancavano gli occhi per ore in trepida attesa di stelle cadenti a cui affidare un desiderio. Fanno ancora sognare le scie di luce che si tuffano nel buio, ma sono in crescita i cacciatori di satelliti, quelli che senza telescopio gareggiano tra chi, naso all’insù, identifica più bagliori in movimento. E ci sono serate in cui se ne possono catturare con un colpo d’occhio una famiglia intera, grazie ai lanci di vere e proprie costellazioni di satelliti miniaturizzati che assicurano una maggiore connessione internet anche nei luoghi più remoti.

Capofila delle tendenza sono le aziende che hanno investito nella banda larga satellitare, come Starlink di Elon Musk che ha lanciato ad oggi una flotta di circa 4.400 unità, mentre la costellazione completa ne conterà 12.000, sfidando Amazon di Jeff Bezos, che con il Progetto Kuiper ha annunciato di aver messo al lavoro 1.000 persone per riuscire a fabbricare cinque satelliti al giorno.

C’è anche l’anglo-indiana Oneweb, che dopo un rallentamento all’alba della guerra in Ucraina (fino ad allora utilizzava razzi russi) ha trovato nuovi operatori, ed ha lanciato una prima costellazione di satelliti con l’obiettivo di portare la banda larga commerciale in tutti gli Stati Uniti, metà dell’Australia e parte del Sud America. E la Cina guarda in alto e si attiva per battere Starlink: il governo ha creato una compagnia, China Stellite network group, a cui affidare il progetto Guowang, che prevede ben 13.000 satelliti per la fornitura di connettività 5G. Ed è sempre guerra fredda fra i conquistatori dell’orbita bassa. Per rimanere connessi nei luoghi più nascosti del pianeta, stiamo rischiando di danneggiare lo spazio extraterrestre in cui abbiamo investito sogni e risorse.

Missione sostenibilità

Perfezionare il sistema di tracciamento è il primo passo per diminuire il rischio di collisioni. I detriti sotto i 10 cm sono i più difficili da individuare anche perché hanno un percorso imprevedibile. Anche migliorare l’autodistruzione del detrito, e progettare manovre di rientro quando il satellite si esaurisce.

Per smaltire i rifiuti spaziali nel 2010 l’ESA aveva programmato la missione e.Deorbit: un veicolo che per mezzo di bracci meccanici o di una rete del tutto simile a quella da pesca avrebbe dovuto catturare i detriti per accompagnarli nell’atmosfera. Missione cancellata e poi sostituita dal progetto ClearSpace-1, che prevede nel 2026 il lancio in orbita bassa terrestre di un veicolo che con quattro bracci robotici rimuoverà Vespa, la parte defunta di un razzo, pesante 112 kg.

D-Orbit, azienda italiana di logistica e trasporto spaziale, sta creando una infrastruttura orbitale per semplificare il ciclo di vita dei satelliti, dal lancio alla rimozione: ION Satellite Carrier, una piattaforma per il trasporto orbitale studiato per trasferire un oggetto dalla posizione in cui viene rilasciato dal razzo lanciatore a quella in cui dovrà eseguire la sua missione.

Sono in progetto anche veicoli in grado di agganciare satelliti già in orbita per eseguire operazioni di “in-orbit servicing” (assistenza e costruzione direttamente nello spazio) come rifornimento, riparazione e upgrade, in modo da prolungarne la vita. E soluzioni per rimuovere dall’orbita satelliti non funzionanti e altri detriti, per riutilizzarli nella produzione di altri satelliti. Possibilmente collaborando con altre aziende del settore, come la giapponese Astroscale e la svizzera ClearSpace.

Aurora boreale dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) | © Scott Kelly
   Facebook  Twitter  YouTube Linkedin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *