PFAS: una never ending story chimica da fermare, ora

Come le microplastiche, le sostanze chimiche PFAS sono ovunque: presenti in moltissimi prodotti commerciali, si accumulano per anni nell’ambiente e nel nostro organismo. E ora sembra possano minare anche la nostra capacità riproduttiva.

Tute ignifughe dei vigili del fuoco
Di PFAS in figlio

Secondo lo studio dell’Ospedale Universitario di Copenaghen, pubblicato su Environmental Health Perspectives, (https://ehp.niehs.nih.gov/doi/10.1289/EHP10285) nelle donne ai primi mesi di gravidanza esposte a queste sostanze aumenta il rischio di generare figli maschi con problemi di sterilità. Lo studio ha coinvolto 864 giovani uomini tra i 18 e i 21 anni, la maggioranza risultati con bassa concentrazione di spermatozoi, e una percentuale superiore di spermatozoi immobili o non progressivi, ossia incapaci di muoversi in linea retta. Nei campioni di plasma delle loro madri durante il primo trimestre di gravidanza, recuperati dalla Danish National Biobank, erano presenti livelli rilevanti di sette PFAS. È la conferma che la tossicità di queste sostanze, non a caso classificate come “forever chemicals” per il loro perdurare nell’ambiente, colpisce non soltanto l’organismo che le ha assunte direttamente, ma anche la discendenza.

Guanti da lavoro

Prima di quello danese altri studi, così come segnalato dalla comunità ambientalista Environmental Working Group (https://www.ewg.org), avevano denunciato la presenza di PFAS nel sangue del cordone ombelicale di donne in gravidanza, che trasmesso al feto può provocare nel bambino difficoltà di crescita, riproduttive e cognitive. Sembra inoltre che esista una forte correlazione fra l’utilizzo sempre più massiccio di queste sostanze in agricoltura, cosmesi, edilizia, e l’aumento negli ultimi anni di malattie neurologiche come l’Alzheimer, il Parkinson e la Sla, la sclerosi laterale amiotrofica: secondo l’American Neurological Association il cervello è l’organo più sensibile a queste sostanze chimiche, che si accumulano nel corpo nel corso degli anni in ogni momento della vita quotidiana, addirittura mentre dormiamo.

Saponi e detergenti per l’igiene personale
Il “vuoto scientifico”

Lo ha denunciato l’American Neurological Association: tuttora non siamo in grado di proteggere correttamente la salute e l’ambiente dai danni di queste sostanze perché sono così tante che è impossibile valutarle singolarmente, ma soltanto per gruppo. La ricerca sta ancora sviluppando metodi più efficaci per identificare e misurare i PFAS nell’ambiente, sapere quanto tempo persistono in natura e nel corpo, per capire quali strumenti di tutela adottare.

Involucri per caramelle

Questo è quello che sappiamo. I PFAS sono un gruppo di oltre 5000 sostanze chimiche artificiali, in uso dagli anni ’40. Grazie alle loro proprietà detergenti, solventi, idro-oleorepellenti e la resistenza alle alte temperature, vengono applicati per la produzione di imballaggi per alimenti (carta resistente al grasso, contenitori per i fast food, involucri delle caramelle), pentole antiaderenti, cosmetici e prodotti per la cura della persona (shampoo, filo interdentale), prodotti per la pulizia della casa (smacchiatori, antipolvere) tappeti, vernici, lubrificanti, schiume antincendio e di tessuti, come ad esempio guanti da lavoro o da sci.

Microchip

Sono utilizzati anche per la produzione di microchip per telefonini, tablet, pc, di dispositivi medici e di prodotti per le piante. Sono tanto efficaci quanto dannosi per l’ambiente: si accumulano per un periodo ancora indefinito nell’aria, nel suolo e nell’acqua, contaminando tutti gli esseri viventi. L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha elencato i principali effetti dei PFAS sull’essere umano: disfunzioni tiroidee, aumento di livello di colesterolo, effetti su riproduzione e fertilità, danni al fegato, cancro a testicoli e reni. E sembra anche ridotta risposta ai vaccini.

I PFAS sono dappertutto, anche perché inquinano in ogni fase della loro esistenza: estrazione, manifattura, uso dei prodotti di consumo, e il massimo dell’impatto avviene con lo smaltimento, attraverso acque reflue, emissioni degli inceneritori, liquami che vengono poi usati in agricoltura causando ulteriori danni.

La contaminazione da PFAS può avvenire per inalazione e assorbimento cutaneo, ed in questo caso i soggetti più a rischio sono le persone impiegate nel settore antincendio e nella lavorazione dei prodotti chimici. Ma la causa primaria di assorbimento sistemico nell’uomo è il consumo di acqua, contaminata dagli scarichi delle fabbriche: i più colpiti sono le comunità indigene e gli abitanti dei sobborghi metropolitani che vivono in prossimità di siti industriali e discariche. E la stessa acqua utilizzata in agricoltura, allevamento e itticoltura va poi a contaminare il cibo distribuito nella rete dei supermercati.

Materiale chirurgico e dispositivi medici

Paradossalmente i PFAS abbattono in parte la spesa sanitaria perché sono presenti in molti dispositivi medici a cui, in assenza di alternative più ecologiche, ora non possiamo rinunciare: camici e teli chirurgici, rivestimenti igienici per pareti e pavimenti, ma anche stent e cerotti cardiaci, tubi per cateteri, filtri per contenitori sterili.

Siamo in cattive acque?

Quanto è sicura l’acqua che beviamo? Lo abbiamo chiesto a Stefano Polesello, chimico del CNR, che nel 2013 ha segnalato la contaminazione da PFAS, da parte di un’azienda chimica, delle acque potabili nelle province di Vicenza, Padova e Verona.

“L’acqua che esce dai rubinetti delle case è garantita dall’erogatore come potabile, cioè rispondente ai requisiti minimi imposti dalla legge. Ed è per la maggior parte già trattata con carboni attivi all’origine.”

Tegami antiaderenti

“Poi ci sono i fenomeni imprevisti di inquinamento da sostanze che non sono incluse nella lista delle sostanze da controllare, come per i PFAS in Veneto. La nuova direttiva sulle acque (che deve essere recepita a breve) impone l’introduzione dei Piani di Sicurezza delle acque, che l’Italia ha già introdotto in anticipo nel 2017 come obbligatorie, basati su analisi del territorio e di potenziali sorgenti di rischio, e su procedure predeterminate di gestione del rischio. Quello che in Veneto non è stato fatto.”

E se l’acqua potabile risulta contaminata? “I carboni attivi utilizzati negli impianti di potabilizzazione sono efficaci, ma hanno il difetto di saturarsi velocemente con i PFAS alle concentrazioni più elevate, come in Veneto (per le altre zone d’Italia vanno bene,) e devono essere sostituiti frequentemente. Molto efficace è l’osmosi inversa, ma è energivora e butta via almeno un terzo dell’acqua trattata. Viene usata all’estero nei casi estremi, come la potabilizzazione di fiumi molto inquinati (es. Barcellona) o il riutilizzo potabile di acque di scarico (es. Singapore).”

Vernici

E i filtri casalinghi? “Sono superflui. Possono servire se le tubature sono molto rovinate. In realtà vengono usati per addolcire l’acqua (cioè togliere il calcio e magnesio, elementi utili all’organismo, per sostituirlo con sodio), togliere il cloro residuo (che viene immesso allo scopo di garantire la salubrità microbiologica dell’acqua lungo tutta la rete di distribuzione)”

I PFAS non sono ancora stati inseriti nella “watch list”, il meccanismo di monitoraggio delle sostanze potenzialmente pericolose per l’acqua, ma di anno in anno aumenta l’impegno a livello nazionale ed europeo, per lo sviluppo di strumenti di monitoraggio e di sicurezza ambientale. Nel 2018 l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha condotto un’indagine che ha rivelato una presenza di PFAS nelle acque sotterranee e di superficie di tutte le regioni italiane. (www.isprambiente.gov.it/files2019/pubblicazioni/rapporti/R_305_19_Progettaz_PFAS.pdf).

“Ad oggi non esiste ancora un’attività di monitoraggio regolare e coordinata a livello nazionale paragonabile a quella in atto da più di un decennio per i pesticidi. Esistono invece delle campagne di monitoraggio regionali che tengono conto delle diverse realtà territoriali.” spiega Dania Esposito, Responsabile Sezione Sostanze Pericolose dell’ISPRA – Le difficoltà nei monitoraggi riguardano principalmente la grande varietà chimica di questa categoria, e il fatto che per le molecole PFAS di nuova generazione spesso ancora non ci sono metodi analitici idonei o standardizzati.”

Uscendo dall’Europa: la Cina detiene il primato della produzione mondiale di PFAS, con le sue megalopoli dove l’acqua potabile presenta un’elevatissima concentrazione di sostanze chimiche, che per degradarsi, a detta degli scienziati, possono impiegare secoli.

Tessuto idrorepellente
Per non celebrare 100 anni di PFAS

In passato sono stati PFOA e PFOS i più utilizzati: classificati come “possibili cancerogeni”, ed elencati nella Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (POP), sono stati quasi del tutto sostituiti, in Europa e in altri Paesi, dai PFAS meno forti, gli “short chain” (a catena corta di carbonio), che per la ridotta qualità di performance devono essere impiegati in quantità maggiori, risultando ugualmente pericolosi per ambiente e salute.

“A livello europeo, la sicurezza delle sostanze chimiche in commercio è normata dal regolamento REACH, in continua evoluzione. – chiarisce Dania Esposito dell’ISPRA – Recentemente nuovi gruppi di PFAS sono stati identificati come “sostanze estremamente preoccupanti” (SVHC – Substance of very high concern) cosiddette “senza soglia”. Per loro è prevista la riduzione al minimo delle emissioni e dell’esposizione della popolazione e dell’ambiente, in base alle migliori tecniche disponibili di abbattimento dei rilasci (BAT), e in prospettiva si prevede che siano messe fuori commercio nella UE e sostituite con alternative non pericolose.”

Aereo antincendio

Presso l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) è in discussione una proposta di restrizione per i PFAS utilizzati nelle schiume antiincendio. A sostituire le attuali schiume ignifughe, presenti in quantità negli aeroporti e nelle fabbriche, utilizzate non solo per estinguere incendi ma anche durante le esercitazioni militari e civili, dovrebbero essere le omologhe prive di fluorina.

Mentre ancora non ci sono sostituti ecologici per rendere impermeabili all’olio gli indumenti per la sicurezza sul lavoro, buone notizie dal settore dell’abbigliamento sportivo e outdoor: come segnalato da Toxic Free Future, organizzazione ambientalista statunitense, alcune aziende per rendere gli abiti idrorepellenti stanno cominciando a sostituire i PFAS con i più sostenibili poliestere e paraffina. Altre come Patagonia, si sono impegnate a eliminare gradualmente queste sostanze tossiche entro il 2024.

Packaging per prodotti alimentari

Sarà necessario anche contenere la produzione di packaging per gli alimenti, con scatole e imballaggi di carta e cartone a tenuta di grasso. Padelle e tegami antiaderenti già da tempo non dovrebbero contenere PFAS: nel dubbio, l’AIRC consiglia sempre di non scaldare la pentola vuota, areare mentre si cucina, buttare via se il rivestimento è rovinato.

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Un pensiero su “PFAS: una never ending story chimica da fermare, ora

  1. Daniela Delli Noci dice:

    Dobbiamo fermare questa follia, subito: per i nostri ragazzi, che sono il futuro; per la continuazione della vita sulla terra. Dobbiamo agire. Fate bene a sensibilizzare tutti noi su queste tematiche. Spero solo che succeda altrettanto con i decisori politici

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