Covid Spazzatura: ce ne laviamo le mani?

Tamponi e guanti monouso, dall’inizio della pandemia Covid-19, sono diventati ormai routine giornaliera: nei musei della scienza prima o poi verranno trasferiti dalle teche di “medicina e sanità” a quello “casa e vita quotidiana”.

Macachi rosicchiano mascherine a Pahang – Malesia | © CFP

Chissà per quanto tempo ancora alloggeranno nell’armadietto del bagno e li vedremo utilizzare a ritmo incalzante in farmacie ed ambulatori. Nel frattempo, ci siamo rassegnati al senso di fastidio provocato dall’asticella che fruga nel naso, o ai guanti sintetici che fanno sudare le mani. Abbiamo affinato lo spirito di adattamento, senza accorgerci tuttavia che l’uso massiccio di quelli che dovrebbero essere meri strumenti di prevenzione ha una ricaduta negativa sull’ambiente: l’aumento della mole di rifiuti sanitari. Che ad oggi si eliminano negli inceneritori, complici del riscaldamento globale.

Inceneritore a Würzburg | Germania

Per respirare aria più pulita dovremmo limitare l’utilizzo dei test fai-da-te, che troviamo facilmente al supermercato, on line, addirittura nei distributori automatici, così come dei guanti usa-e-getta: impiegati massivamente dagli anni ’80 a seguito dell’emergenza AIDS, sono troppo spesso sovra-utilizzati sia in casa che in ospedale, anche in situazioni dove la sicurezza sarebbe garantita da un’adeguata igienizzazione delle mani.

Mescherine guanti e altri rifiuti nell’Adriatico | © CFP
Quanto inquina un tampone per il Covid

Secondo lo studio condotto rispettivamente dalle università cinesi di Guangdong e Pechino, e quella statunitense del Michigan, pubblicato dalla rivista Environmental Science & Technology (https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acs.est.2c04039), i kit di test per il Covid-19 utilizzati nel triennio pandemico dalla Cina, che è in testa alla classifica mondiale per la rigidità della politica di tracciamento del virus nella popolazione, sono responsabili della produzione di cinque milioni e mezzo di tonnellate di gas serra. Basti pensare che in Cina, laddove un nuovo focolaio viene indentificato, vengono imposti test di massa anche per strada, ed in molte città il referto di negatività è ancora richiesto per salire su un autobus o entrare in un bar. E la strategia Zero Covid adottata dalle autorità cinesi ha rasentato l’assurdo con i tamponi effettuati sugli animali tirati su dalle reti di molti pescherecci.

Tampone eseguito sui pesci in Cina | © taihainet.com

Cotton fioc inseriti nella gola dei pesci, strofinati sul dorso di granchi e gamberetti, sommati al numero già di per sé elevato di tamponi eseguiti sui cittadini: nove miliardi dal 2019 ad oggi. E se alla montagna di tamponi cinesi si aggiungono quelli eseguiti nel resto del mondo, ecco realizzato un inquietante carico di spazzatura medica pronto per essere incenerito.

A contribuire al cambiamento climatico con le emissioni di gas è l’intero ciclo di vita dei tamponi: 612,9 g di anidride CO2 per ogni singolo test effettuato. In un quadro più ampio che attribuisce al settore sanitario la produzione globale del 4,4% dei gas serra.

A danneggiare maggiormente l’ambiente è la fase dello smaltimento dei rifiuti. Medaglia d’argento sul podio dell’impatto ambientale al trasporto “point-to-point” dei kit, dai produttori ai centri dove sarà eseguito il test; la ricerca ha preso in considerazione esclusivamente il modello di consegna tramite veicoli su strada, nel caso della Cina furgoni diesel.

Thermokube – Imballaggio per il trasporto dei vaccini Covid-19 | © dryce-pharma.it

Durante il viaggio i kit devono essere conservati a -20° all’interno di un imballaggio che mantiene la temperatura inalterata, e devono riposare in un magazzino refrigerato dieci ore prima del carico. E per i viaggi di lunga durata (ad esempio da una regione all’altra di uno stato esteso come la Cina), sono necessarie unità di refrigerazione elettriche di supporto: in totale un grande consumo di energia e rilascio di emissioni.

In questo studio, mentre è ben evidenziato l’impatto ambientale del trasporto dei test ancora da utilizzare, non lo è altrettanto quello relativo al trasporto dei rifiuti sanitari dai luoghi del test ai centri di smaltimento. Questo perché, come avviene per altre tipologie di rifiuti, anche quelli più pericolosi, come gli scarti ospedalieri, non hanno sempre lo stesso destino, nonostante la legislazione in vigore in ogni stato. “I dati non sono disponibili, e variano notevolmente.” si legge nell’articolo scientifico. Traduzione: qualche carico di tamponi usati sarà abbandonato fra i cespugli in una campagna sperduta, o bruciato in una fossa abusiva, probabilmente in un paese in via di sviluppo.

Ruentex Ambiente Technology Group – Smaltimento rifiuti medici a Pechino | © ADB

Gli scienziati cinesi ed americani hanno ipotizzato uno scenario alternativo e più sostenibile per quanto riguarda ogni singolo step dell’esistenza di un tampone per il Covid. Si comincia dalla creazione del kit: asticella in legno di betulla in luogo dei polimeri sintetici, per le scatole carta kraft riciclabile (quella classica, resistente e color sabbia) invece della carta patinata, sacchetti in plastica biodegradabile. Il trasporto dovrebbe invece essere effettuato con furgoni elettrici a emissioni zero, anche se prima di farli partire sarebbe opportuno avere la certezza di trovare le stazioni di ricarica durante i viaggi più lunghi.

I rifiuti contagiosi potrebbero essere disinfettati e ridimensionati in impianti mobili ecologici, le autoclavi, con irraggiamento a microonde e riscaldamento assistito da vapore, con risparmio di energia e riduzione delle emissioni di diossine rispetto al sistema di smaltimento tradizionale,

Tuttavia, nel futuro che tutti auspichiamo, il kit per il test Covid-19 dovrebbe essere uno strumento desueto per il controllo di un virus ormai sconfitto: quello che anche gli scienziati dello studio caldeggiano, in questa fase di transizione, è un equilibrio fra le pratiche di controllo della pandemia e la prevenzione dell’inquinamento. In attesa dell’azzeramento dell’RT, l’indice di trasmissione, sarebbe opportuno utilizzare kit di test ed altri dispositivi sanitari solo quando sono realmente necessari, anche se la psicosi collettiva ha alimentato una corsa al tampone e un uso talvolta sproporzionato di strumenti protettivi.

Dall’OMS consigli per cassonetti più leggeri

La reazione alla pandemia ha seriamente aggravato il problema dello smaltimento dei rifiuti sanitari in tutto il mondo: secondo l’ultimo rapporto OMS (https://www.who.int/publications/i/item/9789240039612), decine di migliaia di tonnellate di spazzatura non programmata si è aggiunta a quella ordinaria, illuminando ulteriormente le difficoltà di gestione e le azioni illegali commesse da anni.

Nell’ambito dei programmi delle Nazioni Unite in questi tre anni sono stati inviati 140 milioni di kit di test (capace di generare 2600 tonnellate di rifiuti non infettivi, e 731.000 litri di rifiuti chimici) e 8 miliardi di dosi di vaccino per un totale di 144.000 tonnellate di aghi, siringhe e scatole da cestinare, a Paesi le cui strutture sanitarie non sempre si dimostrano in grado di gestire correttamente i rifiuti ospedalieri, e dove discariche che non rispettano i parametri di sicurezza sono spesso collocate vicino alle comunità, contaminando aria a acqua.

Wuhan – Cina | © AFP

Secondo l’OMS gli scarti da Covid-19 possono essere trattati come ordinari rifiuti infettivi: stoccati in contenitori di cartone, di plastica rigida se si tratta di rifiuti taglienti come aghi e lame, taniche per i liquidi, per poi essere disinfettati, triturati e bruciati (in mancanza di soluzioni più ecologiche).

Per tutelare la salute e dare una mano all’economia locale, dell’OMS ha fornito indicazioni alle strutture sanitarie:

  • rafforzare nelle città, villaggi e ospedali la promozione della prevenzione, in particolare la pratica della pulizia puntuale e corretta delle mani, e la gestione più attenta della riserva di strumenti di protezione. Lo stesso OMS ha dichiarato che è più probabile essere contagiati con uno starnuto piuttosto che con una stretta di mano o il contatto con oggetti.
  • risparmiare sulla spesa relativa a guanti, grembiuli e mascherine, ricorrendo a quelli “multiple-use”, che si possono facilmente disinfettare e riutilizzare.
  • utilizzare, quando possibile, le nuove versioni compostabili dell’equipaggiamento di protezione PPE (ad esempio, i grembiuli in cellulosa).
  • diminuire il packaging eliminando le bustine di plastica per ogni singola mascherina, camice o visiera, e scegliere contenitori biodegradabili.
  • decentralizzare la produzione di questi oggetti, il cui 60% proviene da Cina e Stati Uniti (i principali produttori di guanti monouso sono invece Thailandia e Malesia) per diminuire le emissioni dovute al trasporto e al contempo sostenere le economie locali. Un esempio: Africa Medical Supplies Platform (https://amsp.africa/), per la vendita on line di ogni tipo di strumento medico nel continente africano.
  • investire nella ricerca di soluzioni di riciclo degli strumenti usati in plastica, e in sistemi di smaltimento alternativi all’incenerimento come la sterilizzazione in autoclave.

Manager dei rifiuti ad ogni latitudine

L’OMS ha portato come esempio alcune iniziative in diverse parti del mondo, che per risolvere problemi pratici hanno recato vantaggio anche all’ambiente.

Nel Regno Unito, presso il Great Ormond Street Hospital for children, è stata lanciata ancora prima della pandemia “Gloves are off”, la campagna di formazione del personale su un uso più razionale dei guanti monouso, che ha portato rapidamente alla riduzione di 21 tonnellate di rifiuti (come hanno dichiarato, l’equivalente di “tre tyrannosauros rex e mezzo”), oltre ad un calo di ordini di guanti che ha fatto risparmiare all’ospedale di più di 100.000 sterline.  

Fuori dagli ospedali della Katmandu Valley, in Nepal, si accumulavano le ”safety box”, scatole ricolme di siringhe usate: il Ministero della Salute ha chiesto alla World Health Organization di introdurre il sistema di decontaminazione e triturazione dei rifiuti con autoclavi, per proteggere la salute degli abitanti: il materiale ridotto in polvere perde così la sua carica microbica e può essere spedito nelle discariche ordinarie, e in un ospedale è stato effettuato il riciclo della plastica, eliminando l’ago a tutte le siringhe .

Rifiuti sanitari | © woimacorporation.com

Nel Malawi i rifiuti sanitari vanno su due ruote: in 44 ospedali che non riuscivano a gestire l’esubero di scarti dei vaccini per il Covid-19 e l’AIDS, l’organizzazione R4H – Riders For Health ha applicato il modello della logistica di ritorno, dove i motociclisti che recapitano i pacchi sono gli stessi che ritirano i rifiuti e li portano all’inceneritore. Risparmiando benzina, inquinando meno.

E come si gestisce in casa la Covid immondizia? Risponde l’European Agency for Safety and Health: mascherine, guanti e tamponi vanno inseriti in un sacchetto ben chiuso, che va nel cassonetto del materiale indifferenziato. E se ci laviamo bene le mani prima e dopo la pratica, possiamo evitare di indossare i guanti, per amore del pianeta.

 
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