Nel deserto saudita davanti al Mar Rosso sorgerà una città lineare di 170 chilometri, futuristica ed ecosostenibile per rilanciare l’immagine green del regno. Attirando critiche, ma offrendo anche preziosi spunti.

La fine del petrolio
Le monarchie del Golfo, si sa, basano le loro floride economie quasi esclusivamente sul petrolio. Fa eccezione Dubai che nasce come mercato delle perle nell’XI secolo per evolversi nel tempo ad hub commerciale e infine piazza finanziaria internazionale. Ma negli anni Novanta, in pieno sviluppo mondiale, qualcuno notò che con quel tasso di crescita le riserve petrolifere si sarebbero presto esaurite. E con loro tante economie opulente. Malgrado la scoperta e lo sfruttamento di vasti giacimenti grazie alle nuove tecnologie di ricerca petrografica e di estrazione, le attuali riserve petrolifere si esauriranno nel 2065, ma il problema maggiore non è la disponibilità, è l’impatto sul clima e l’immagine che ne consegue.

Svolte verdi
Nei primi anni Duemila le compagnie petrolifere, dopo aver finanziato per almeno un decennio ricerche negazioniste sul cambiamento climatico, vista la mala parata si ammantano di verde. Anche i loro loghi diventano verdi. Iniziano a donare fondi per la piantumazione di alberi, la realizzazione di oasi naturali, finanziano start up che si occupano di cattura e sequestro del carbonio.
Iniziative buone e giuste ma che diffondono una falsa speranza, l’idea che le emissioni possano essere neutralizzate. L’Arabia Saudita va letta come uno stato/compagnia petrolifera, la più grande di tutte, e i suoi progetti sono tradizionalmente ambiziosi. Ma affacciata sul Golfo Persico c’è Dubai con il suo Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo e le sue sfere fotovoltaiche d’autore. Dubai, che non dipende dal petrolio, rischia di mettere in ombra l’immagine della monarchia saudita, una potenza che sta al piccolo emirato come la Germania sta al Lussemburgo.

Un ponte sullo stretto
Siamo sempre ai primi anni Duemila e la riesumazione di un progetto mette in allarme ambientalisti e frequentatori del Mar Rosso. Si trattava della costruzione del solito mega-ponte su uno stretto.
Stavolta lo stretto è quello di Tiran, che prende il nome dall’isola che restringe la porzione del Mar Rosso davanti a Sharm el Sheikh. Scopo del ponte collegare l’Arabia Saudita all’Africa passando per l’isola di Tiran, un’isola deserta e intatta, stop-over lungo le rotte migratorie del falco pellegrino e le cui spiagge sono un importante luogo di nidificazione delle tartarughe verdi. Non è tutto; nello stretto la distanza minima tra le due coste è di circa 5 km, una lunghezza che non consentirebbe la costruzione di una campata unica. È lecito sospettare che verrebbero piantati dei pilastri su alcuni reef in mezzo allo stretto, rinomati e frequentati da subacquei di tutto il mondo. Nel 2016 viene firmato l’ultimo accordo tra i due paesi. Costo dell’opera, 4 miliardi di dollari.

Neom
Ottobre 2017. Il principe dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman detto MBS, uno che non ha bisogno di presentazioni, annuncia un altro megaprogetto. Nella provincia di Tabuk, sulle sponde del Mar Rosso opposte all’Egitto e in prossimità dell’Isola di Tiran, nascerà Neom, un distretto ecosostenibile e ad emissioni zero dove far crescere foreste, sviluppare agricoltura, accogliere turisti e poli tecnologici. La parola Neom nasce dalla unione tra il prefisso Neo e il sostantivo arabo Mustaqbal, futuro. Si coltiveranno organismi OGM resistenti al clima, sorgerà un porto galleggiante, un aeroporto commerciale ed Oxagon per il polo industriale di tecnologia avanzata. Nel 2019 viene completato il primo passo del progetto, la costruzione del Neom Bay Airport, ma meno di un anno dopo spuntano i primi problemi con gli Howeitat, una tribù beduina che non vuole saperne di farsi sloggiare con la forza. Seguono disordini, arresti e abusi, ma il progetto non si ferma, anzi diventa sempre più audace.

The line, la linea
Giugno 2022. Mohammed Bin Salman annuncia il più ambizioso dei progetti all’interno del suo progetto più ambizioso: la costruzione di una città lineare ad emissioni zero lunga ben 170 chilometri, ma quello che interessa qui non sono le dimensioni, è il concetto. Il piano, a dir poco fantascientifico, prevede una doppia fila di costruzioni contigue che corrono parallele munite di vetri a specchio all’esterno per riflettere il calore, di pannelli solari per fornire energia e poi giardini, anzi foreste pensili all’interno per creare un microclima e un ambiente piacevoli.

Il concetto, al contrario di ciò che affermano alcuni commentatori internazionali, non ha nulla di folle.
Se c’è qualcuno che può insegnare al mondo come creare frescura in un ambiente torrido e coltivare giardini nel deserto ricorrendo semplicemente a stratagemmi architettonici, sono gli arabi. Gli arabi conoscono i giochi d’aria tra luce e ombra, i benefici delle cupole e delle oasi meglio di chiunque altro. Conoscono bene i vantaggi dei materiali termoriflettenti dai tempi delle tende in lana di cammello e sanno come usare il percorso del sole in cielo per generare correnti d’aria fresca. Sanno che sul fondo dei wadi più angusti, tantopiù se c’è vegetazione, fa fresco anche di giorno. L’aver abbracciato il modo di costruire occidentale che si affida all’aria condizionata per giustificare le sue architetture, quello sì, è stato un segno di corruzione. Allora perché non mettere insieme le due cose, tecnologia occidentale ed esperienza architettonica araba in un mondo che si sta surriscaldando?

Oasi libertaria
Nelle idee del principe ce n’è una non da poco: il rigore islamista non verrà applicato a Neom.
Neom avrà una sua autonomia in fatto di leggi e regole sociali, non sarà imposto il velo, la stretta sui costumi verrà allentata. Alcuni osservatori, però, fanno notare che The Line, una città che prevede di accogliere nove milioni di abitanti, non sarà abitata da stranieri ma per lo più da sauditi.
Sarà comunque a misura d’uomo, costruita in un modo che ogni abitante abbia generi di prima necessità e i principali servizi a non più di cinque minuti a piedi. Un treno ultraveloce, un missile da 520km/h congiungerà le due estremità di questa lunghissima linea in 20 minuti. Sarà alimentato, come tutto il resto, da energia rinnovabile, soprattutto solare. Sembra davvero un sogno ecologista, ma dai risvolti inquietanti.
La costruzione costituirà una barriera impenetrabile dal transito delle specie selvatiche, e un problema per le relazioni sociali e familiari di chi si trasferirà per via della distanza. Isolare individui o piccoli nuclei lontano dalla loro rete familiare, in un paese tradizionalista, fanno notare alcuni osservatori, potrebbe avere un impatto negativo sull’intero sistema sociale. Ma l’impatto più inquietante, poco sottolineato dalle testate finanziarie, sarà quello del cemento. Produrre una tonnellata di cemento costa all’ambiente l’immissione di una tonnellata e mezzo di CO₂. E poi bisogna portarlo lì, il cemento, portare un’infinità di uomini, mezzi e altri materiali per la costruzione. Con effetti catastrofici. C’era davvero bisogno di un’altra città nel nulla? Ce n’era già una, si chiama KAEC.

King Abdullah Economy City
Annunciata nel 2005 da re Abdullah bin Abdulaziz, zio di Mohammed Bin Salman, nasce come centro di produzione e logistica.
L’idea è quella di attirare giovani sauditi in fuga da città soffocanti, offrendo loro nuovi posti di lavoro e un’atmosfera più liberale. L’obiettivo del 2005 era quello di 1,5 milioni di abitanti e KAEC vicina a Jeddah, Mecca e Medina, tra le città più popolate del regno, è collegata a tutte e tre da treni ad alta velocità. La vicinanza a Jeddah era stata ritenuta particolarmente vantaggiosa. Ma dieci anni dopo, alla morte del re nel 2015, gli abitanti erano soltanto 10.000. Suo nipote, MBS, mostra poco interesse a promuovere il sogno di re Abdullah. Anzi, tra gli arrestati durante l’epurazione del 2017 c’è proprio un architetto e CEO di KAEC.

80 miliardi di dollari
Questo sarà il costo previsto. Non sorprende quindi che alcuni analisti economici vedano nel progetto Neom e in The Line qualcosa di estremamente rischioso. Allo stato attuale sembra sia stato costruito solo il primo segmento, composto da due edifici. Del ponte sullo stretto, che collegherà l’Egitto, e quindi l’Africa a Neom, la porta sontuosa e ‘intelligente’ dell’Arabia Saudita, c’è solo un cavalcavia che arriva nel deserto a nord di Sharm el Sheikh ma che si ferma lì, come un ponte spezzato.
Non so quanto il mondo moderno abbia bisogno di nuove Brasilia progettate da altrettanti Oscar Niemeyer, anche se più vivibili e più sostenibili, io credo di no. Spero che non costruiscano mai una città lineare di 170 chilometri in acciaio e cemento, a prescindere dai suoi intenti sostenibili. Ma penso che al di là dell’ego di un principe in questo progetto ci sia una visione importante, di quelle che guardano dall’alto in basso oasi nel deserto artificiali, insostenibili, come la catastrofica Palm Spring. La visione, e gli studi prodotti per realizzarla, porteranno grandi benefici in questo pianeta dal clima stravolto.

E spero che con un ridimensionamento di Neom si abbandoni l’idea del ponte, per i reef di Gordon, Thomas, Woodhouse, e Jackson Reef, per le magnifiche lagune di Tiran e per tutti i pesci, i dugonghi e le tartarughe marine che da quelle parti sopravvivono e si riproducono da prima che noi imparassimo a scheggiare un pezzo di selce.
- https://www.theguardian.com/artanddesign/2022/sep/08/nine-million-people-in-a-city-170km-long-will-the-world-ever-be-ready-for-a-linear-metropolis
- https://egyptindependent.com/egypt-saudi-bridge-government-sacrificing-natural-resources-short-term-gains/
- https://www.washingtonpost.com/business/saudi-megaprojectis-big-on-hubris-and-low-on-practicality/2022/06/14/3085066c-ebc1-11ec-9f90-79df1fb28296_story.html ce are humans who arrive the old-fashioned way: in cars.