Ciak si eco-gira

Quello del cinema ambientalista è da anni un vero e proprio filone: nel 1996 usciva “Il pianeta verde” di Colin Serrau, dove extraterrestri abituati a vivere in comunione con la natura classificavano come preistorica la nostra civiltà industriale, e risale al 1978 “Conan, il ragazzo del futuro”, la serie TV di animazione firmata da Hayao Miyazaki in cui la Terra del terzo millennio rischia l’apocalisse nucleare se l’umanità non impara a gestire con saggezza le fonti di energia.

Conan il ragazzo del futuro | serie di animazione di Hayao Miyazaki

Fino ad oggi si è moltiplicata la famiglia di opere cinematografiche ispirate all’ecologia, tra blockbuster e film d’autore che dopo l’uscita in sala sono stati accolti da diversi festival che affrontano tematiche ambientali. Quanti di questi sono davvero green?

Inquinamento da Oscar

Julia Roberts nei panni di Erin Brockovich denunciava nella pellicola omonima del 2000 la contaminazione dell’acqua potabile di un’intera cittadina in California, ma quante emissioni di CO2 può aver prodotto la lavorazione del film?

Secondo il rapporto dello Studio Production Alliance (SPA), se per realizzare un piccolo film vengono rilasciate circa 351 tonnellate di gas serra, per un’opera ad alto budget si arriva a 3.370 tonnellate. In cima alla lista degli inquinanti il carburante utilizzato per i trasporti e l’energia per i gruppi elettrogeni che fanno funzionare il set. Seguono le emissioni prodotte da tutta la troupe, sia con i viaggi aerei, spesso compiuti in momenti diversi, sia durante la permanenza in hotel o in un campo base, a seconda delle location del film. Per girare un film occorre una comunità di persone, che per esigenze di copione può effettuare frequenti trasferimenti su lunghe distanze, come ad esempio una pellicola dove l’agente 007 di turno compie il giro del mondo. Ma non è necessario essere James Bond: anche Forrest Gump o Mia e il suo leone bianco possono aver danneggiato l’ambiente.

Hollywood | © Alamy

Si sta sviluppando anche nella produzione di tutto ciò che è cultura una nuova consapevolezza: non è più sufficiente approfondire argomenti relativi alla salvaguardia del pianeta, denunciare ecocrimini e segnalare soluzioni sostenibili. Deve essere green anche quello che non si vede: nella fattispecie della settima arte, tutto il lavoro che viene svolto sul set e in fase di post produzione. Il cinema è un’industria, e come tale inquina e danneggia l’ambiente non meno di altri comparti; nell’immaginario comune il microcosmo dietro le telecamere appare misterioso e accattivante. Nella realtà, nel backstage vengono eseguite ogni giorno le stesse azioni responsabili di degrado ambientale che si commettono in ogni ambito produttivo.

“Quando pensiamo al set dobbiamo immaginare quello che avviene in una piccola città. Tante persone che mangiano, bevono, si spostano, si lavano, producono scarti, inquinano…” spiega Giulia Morello, Presidente di Dire Fare Cambiare, associazione che promuove la cultura sostenibile in coerenza con l’Agenda 2030, e titolare di Officine GM, azienda di comunicazione che lavora nel rispetto dell’ambiente. “Tra i fattori di maggior impatto ambientale ci sono gli spostamenti di merci e persone, i consumi energetici, la scelta e il conseguente smaltimento dei materiali, il catering e la gestione dei rifiuti.”

Set de ‘La vita è bella’ | © Giovanni Folli

“La differenza tra una produzione sostenibile e una “vecchio stampo” continua Giulia Morello” è proprio la capacità in fase di preproduzione e produzione di fare scelte consapevoli volte a diminuire la propria impronta ambientale.” Senza dover compromettere la qualità stessa del film: una sfida che parte già in fase di scrittura, dove gli sceneggiatori sono condizionati non solo da quanto si può effettivamente realizzare, ma anche dal come.

Per incentivare le produzioni green l’Associazione Dire Fare Cambiare si propone di creare una mappatura del cinema sostenibile italiano, creando un database di fornitori e professionisti del settore che lavorano con lo sguardo puntato verso l’Agenda 2030.

Dire Fare Girare…green

Per ridurre le emissioni durante tutta la lavorazione, meglio allora noleggiare veicoli ibridi ed elettrici, a metano o GPL, e in luogo dei generatori, sul set si possono utilizzare allacci temporanei alla rete di distribuzione locale. Gli hotel dovrebbero trovarsi a non più di 10 km dal set, anche se non esaudiscono i desideri delle star più esigenti. E in questo il cinema green afferma un sano principio di uguaglianza: si collabora per il benessere comune, addormentando laddove possibile i piccoli egoismi.

Come segnalato da Giulia Morello, anche la scelta di merci e fornitori deve essere condizionata da criteri di sostenibilità: si può collaborare infatti con aziende ed associazioni che offrono oggetti ed abiti di scena riciclati, e per l’allestimento del set acquistare vernici con etichetta ecologica e legname con marchio FSC® che indica la provenienza da foreste gestite in modo responsabile.

Sergio Leone e Hanry Fonda sul set di ‘C’era una Volta il West’ | © ASC Archives

Dopo settimane, a volte mesi, di riprese, si accumulano montagne di immondizia. C’è chi dopo mezzo secolo perlustra ancora i dintorni della mini Hollywood andalusa dove Sergio Leone ha girato i suoi più celebri spaghetti western, alla ricerca dei rifiuti vintage di Clint Eastwood. Un hobby che non si potrebbe realizzare, se all’epoca tutti i “buoni, brutti e cattivi” fossero stati sollecitati ad utilizzare i bidoni per la raccolta differenziata, ma soprattutto a bere acqua nelle borracce personalizzate e consumare i pasti non nei classici cestini ma servendosi di stoviglie multiuso. E tra una ripresa e l’altra, sì al caffè caldo, ma liofilizzato o con la moka, mai con le cialde, e versato in una tazza riutilizzabile.

Quel che resta del giorno…cinematografico: quando una scena è conclusa, in un set davvero green non si dovrebbe buttare via tutto quello che si può riutilizzare, o donare. Come gli avanzi del catering, che possono essere regalati ad enti ed associazioni con i quali sono stati presi accordi in precedenza, in osservanza del protocollo igienico.

Clint Eastwood nel film ‘Per qualche dollaro in più’ | © IPA

E non finisce qui: la sostenibilità di un film dipende anche dal lavoro svolto negli uffici che si occupano di distribuzione e promozione di un film, riducendo al minimo l’utilizzo di materiale cartaceo, divulgando via e-mail press book e comunicati stampa, e realizzando attraverso i social network happening ed anteprime. E per i più eco-pedanti, riciclando i badge e i relativi cordoncini.

Volendo fare un’iperbole, potrebbe nascere un cinema a Km zero: niente più star che arrivano da oltreoceano e ambientazioni esotiche, si girano film a Denominazione di Origine Protetta, nel territorio della casa di produzione, con attori e staff locali.

Il buon esempio

Alcune società internazionali cinematografiche si sono riunite nel sopracitato consorzio Sustainable Production Alliance, ed hanno colorato di verde la loro immagine, diffondendo video che testimoniano il loro coinvolgimento nella tutela degli ecosistemi in cui si sono trovati a lavorare, con l’obiettivo di sensibilizzare tutto il mondo del cinema ad una maggiore sostenibilità ambientale.

Lo staff della serie tv “Raised by wolves- Una nuova umanità.” in onda dal 2020 su HBOMax, ha descritto la sua “giornata circolare”: contenitori e sacchetti biodegradabili, riciclo di mattoni per costruire un tempio, arredo del set con mobili usati, e per creare nuovi oggetti impiego di una stampante 3D ecologica (https://www.greenproductionguide.com/in-action/#pg-2660-11). E il venerdì è il giorno della settimana in cui non si usa la corrente elettrica.

The beach
Maya Bay | Thailandia | © Luish Pixel

Nel cinema italiano si sta lentamente sviluppando una coscienza verde. “…anche se in Italia esistono diversi protocolli, e manca un tavolo interministeriale (Cultura e Ambiente) per la loro misurazione e comparazione, ma anche per lo scambio di best practice.” commenta Giulia Morello. Quindi, come si deve regolare un cineasta per realizzare una produzione a basso impatto ambientale? C’è chi agisce in autonomia, e chi si affida ad enti, come la Trentino Film Commission, che rilascia una certificazione Green Film previa valutazione da parte di un Organismo di Verifica sul set e sulla documentazione contabile. Per ottenere il marchio di sostenibilità, la produzione deve cercare di rispettare i punti indicati nella Disciplinare Green. Tra questi, l’obbligo di inserire nello staff un green manager, una nuova figura professionale che deve garantire l’applicazione del protocollo verde sul set. Il suo compito è ottimizzare le risorse per evitare sprechi e inquinamento, ma anche promuovere la cultura del rispetto dei territori dove vengono effettuate le riprese. Supportando le economie locali, reclutando personale e stringendo rapporti con i fornitori del posto, e, compito più difficile ma imprescindibile, sollecitando la tutela dell’ambiente, in particolare nelle zone più incontaminate e remote, dove la comparsa improvvisa di roulotte, cavi e telecamere può destabilizzare l’ecosistema. Anche se il danno a volte si verifica a posteriori, quando il film esce in sala. È stato il caso di Maya Bay, meravigliosa spiaggia di un parco nazionale in Thailandia, presa d’assalto dal turismo di massa dopo il successo di “The beach” con Leonardo Di Caprio, e per qualche anno chiusa al pubblico dal governo locale per un rewilding. E così “Diabolik 2 – Ginko all’attacco”, dei Manetti Bros (produzione Mompracem), girato fra il suggestivo borgo di Portopiccolo, ma anche nella valle del fiume Natisone e sull’Altopiano del Carso, è riuscito ad aggiudicarsi il marchio Green Film.

Marco Risi sul set di ‘Punto di rugiada’ | © Christian Nosel 

Altre recenti opere con certificazione verde: “Il punto di rugiada” di Marco Risi (Fandango), “Educazione fisica” di Stefano Cipani (Paco Cinematografica), e “Greta e le favole vere” di Berardo Carboni (Pegasus e Vision Distribution) dove protagonista non è Thunberg ma una bambina che ha il suo stesso nome e vuole salvare un orsetto di peluche…

 

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