Alla fiera dell’Est…Europa
Putin risponde alle sanzioni di USA e UE con lo stop all’esportazione dei fertilizzanti, la ridotta disponibilità causa l’impennata dei prezzi, e l’agricoltura mondiale, dopo la siccità degli ultimi mesi e il caro energia, va in tilt. Esemplare il caso dell’Italia, che si rifornisce principalmente dall’Egitto, ma che fino a ieri è stata anche uno fra i migliori clienti della Russia, il principale produttore di concimi (circa il 13% del totale mondiale) e dell’Ucraina: con l’arresto delle navi cargo nei porti ucraini, e i prezzi dei fertilizzzanti aumentati del 170% , è crisi per gli agricoltori che devono programmare le semine primaverili di mais, soia e girasole per l’alimentazione degli animali, e quelle autunnali di grano duro e grano tenero.

Ma la crescita del costo dei fertilizzanti inizia prima del conflitto Russia-Ucraina: a complicare il mercato è stata già nel 2021 la flessione produttiva di diverse aziende di fertilizzanti, come la norvegese Yara, costrette a chiudere anche solo alcuni impianti a causa del rincaro delle bollette. E il 70% del gas che l’Europa consuma viene dalla Russia.
Risale già al 2021 la decisione di Mosca di bloccare per un anno l’esportazione di nitrato di ammonio, come risposta alle sanzioni di tipo finanziario annunciate dall’Unione Europea per la violazione di diritti umani. Con la guerra in Ucraina si sono moltiplicati i riflettori sulla dipendenza dal Cremlino per quanto riguarda energia e materie prime agricole.
Fertilizzanti alla sbarra
I concimi chimici vengono impiegati per restituire al suolo quelle sostanze nutritive (azoto, ammonio, potassio) che tendono progressivamente a scomparire durante i cicli di coltivazione. Secondo i produttori, i fertilizzanti sono ecologici: riutilizzando sempre le stesse aree agricole, si risparmiano le foreste ed altri habitat, a favore di biodiversità e qualità dell’aria. A diffidare della sostenibilità dei concimi chimici sono gli ambientalisti.
Il rapporto dell’UNEP – Agenzia ONU per l’Ambiente (https://www.unep.org/resources/report/environmental-and-health-impacts-pesticides-and-fertilizers-and-ways-minimizing ) realizzato con FAO e OMS, spiega come i fertilizzanti diventino dannosi se impiegati in quantità eccessive, anche perché possono contenere tracce di elementi tossici (cadmio, mercurio, arsenico), che penetrano fino alle falde acquifere.

Se poi vengono immagazzinati senza le dovute precauzioni, rilasciano gas serra nell’ambiente. E se i coltivatori tendono ad ignorare “le modalità d’uso”, solo una parte riesce a nutrire correttamente il terreno, il resto si disperde nell’aria che respiriamo. Infine, le eventuali sostanze tossiche vengono assorbite dai prodotti della terra per l’alimentazione animale e umana, elevando il rischio di patologie.
Uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Foods, del 2020 (https://www.mdpi.com/2304-8158/9/11/1602) , evidenzia la stretta correlazione, dal 1961 ad oggi, fra incremento dell’utilizzo di azoto per la concimazione agricola, e l’aumento dei casi di celiachia: l’ipotesi è che troppi fertilizzanti chimici possano scatenare nelle proteine del grano una superproduzione di glutine. Inoltre, negli ultimi anni in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, l’assunzione pro capite di farina è aumentata anche perché il grano si trova in molti alimenti sotto forma di additivo.
E a dimostrare la teoria, il caso dell’India: più celiaci al Nord, dove si consuma molta farina, e meno al Sud, dove è il riso il piatto forte.

Secondo L’IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), in generale i fertilizzanti a base di nitrati sono da anni riconosciuti come “potenziali cancerogeni”. Tranne il cadmio, che è stato classificato dall’IARC come “cancerogeno certo per l’uomo”: può essere dannoso per polmoni, reni, circolazione, provocare osteoporosi ed infertilità. La Commissione Europea ha quindi fissato un limite alla quota di questo metallo pesante nei fertilizzanti.
Il cartello mondiale
Russia e Ucraina, i principali influencer del mercato di grano tenero a livello mondiale, vendono anche in molti paesi asiatici e africani, luoghi dove tecnologie agricole ancora rudimentali non favoriscono l’autonomia di approvvigionamento.
Circa il mais: l’Ucraina non è il principale produttore al mondo (il primato spetta agli USA), ma è al quarto posto fra gli esportatori. Anche l’Italia ne acquista grandi quantità dall’ Ucraina. Senza il mais che arriva dall’Est, i paesi UE dovranno rivolgersi ad altri fornitori europei. Anche se alcuni, come l’Ungheria, hanno limitato il proprio export per tutelare l’autosostentamento.
Altra soluzione: incentivare l’importazione da USA ed Argentina. Che non convince i 27: troppo lungo e costoso il trasporto, e poi il granoturco d’oltreoceano presenta varietà OGM che impongono severe procedure di ammissione in Unione Europea.
Secondo il PAM, Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, in questo scenario le materie prime agricole presto si esauriranno nei paesi non autosufficienti: a causa del conflitto Russia – Ucraina ci saranno 13 milioni di persone in più al mondo a soffrire la fame. Tra i paesi più vulnerabili, quelli dal terreno più arido, dell’Africa sub-sahariana, che importano grano direttamente dal Mar Nero.

Obiettivo autonomia
La proposta del comparto agricolo: per liberarci dal giogo dei grandi esportatori dobbiamo incentivare la produzione di materie prime, ad esempio i mangimi. Come? Aumentando la resa dei terreni attraverso un impiego più efficace dei concimi chimici, e coltivando superfici più estese, fra cui anche gli ambienti naturali, come pascoli e brughiere.
Si tratterebbe di misure di emergenza, autorizzate d’altra parte dalla stessa Commissione Europea, che ha infatti posticipato al 2035 gli obiettivi delle Strategie UE del Green Deal, che prevedono la riduzione dell’uso di fertilizzanti, pesticidi ed antibiotici, l’aumento della superficie destinata alle colture biologiche e la creazione, in tutte le superfici agricole, di una percentuale di aree incontaminate.
Per le associazioni agricole la transizione ecologica va rallentata per scongiurare il collasso delle aziende, e la sostenibilità diventa un optional. Gli ecologisti paventano così un ritorno ad un’agricoltura ad alto impatto ambientale, accusando le lobby agricole di aver cavalcato lo scoppio della guerra in Ucraina e scatenato l’allarme fame nel mondo per interessi essenzialmente economici.
Affermano che il rialzo dei prezzi dipende anche dalla speculazione finanziaria, ossia dai signori a cui non interessa quanto mais si produce, ma quanto possono scendere o salire i titoli a breve termine collegati alle aziende di questo settore. E ancora: ci sono scorte di cibo per tutti sul pianeta, ma sono distribuite in modo squilibrato.
La voce green

Salviamo il mondo cambiando stile produttivo. E’ il leitmotiv del programma Food4Future targato WWF (https://www.wwf.it/cosa-facciamo/campagne/food4future/ ). Importiamo troppi fertilizzanti chimici, che costano cari e che probabilmente fanno male alla salute? Riduciamone l’utilizzo, a favore delle alternative bio: il digestato derivante dagli scarti delle aziende agricole, il letame animale, il compostaggio, il sovescio (interramento, in fase di aratura, di piantine ricche di nutrienti), l’antica rotazione agraria.
E, come indicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, destinare il 10 % delle terre alla conservazione della biodiversità, amica dell’agricoltura: basti pensare agli insetti impollinatori, che hanno bisogno di uno spazio dove alimentarsi e riprodursi. Nella Giornata Mondiale della Terra 2022 il WWF ha ricordato che “il tasso di estinzione di specie animali e vegetali è 1.000 volte superiore a quello naturale”, e che una delle cause principali è proprio la trasformazione di habitat naturali a campi agricoli.

C’è poi una tecnica che azzera il consumo di fertilizzanti, perché non ha bisogno del suolo: è la vertical farming, la coltivazione di piante e ortaggi su strutture ascensionali, chiamata anche skyfarming perché si può realizzare, oltre che in fattorie e piccoli edifici, all’interno di grattacieli che diventano vere e proprie aziende agricole metropolitane. Con i metodi applicati nelle coltivazioni verticali, quello aeroponico (alimentazione delle piante con nebulizzazione di acqua e minerali) e idroponico (la terra viene sostituita da strati di argilla, fibra di cocco, vermiculite, etc.) i concimi chimici non servono più. E si risparmiano acqua ed energia elettrica: le piante sono illuminate, oltre che dal sole, da lampade Led spesso alimentate da apparati rinnovabili. Nelle vertical farm si produce cibo a km zero.
Potrebbero essere una scorciatoia per l’autosostentamento, anche se di fatto è ancora elevato il costo degli operatori specializzati, ad esempio quelli addetti al sistema di impollinazione, dato che in queste strutture non volano insetti.

E se è vero che le tonnellate di concime chimico che acquistiamo sono destinate alla coltivazione di mangime una soluzione può essere quella di ridimensionare le mandrie, limitando così le quote di mangime, antibiotici, acqua, e riducendo le emissioni di CO2, ma anche ricorrendo a pratiche più sostenibili. Come l’allevamento estensivo. Con questo sistema gli animali vivono all’aperto, non allo stato brado ma suddivisi in piccoli gruppi all’interno di aree recintate, lasciati liberi di nutrirsi dell’erba dei prati, ma anche di piante fibrose e quant’altro la natura offre, con un’integrazione di mangime.
La carne di questi capi risulta più magra, saporita, probabilmente più sana anche se pascolando in ambienti non controllati gli animali richiedono comunque cure e profilassi.
Gli stessi esperti di agricoltura biologica tendono tuttavia a sgonfiare l’entusiasmo ambientalista: queste pratiche, che richiedono tempi lunghi e attenzioni particolari, portano ad un notevole calo di produttività (quasi il 20%), con aumento dei prezzi al consumo.
Guerra alla fame? Si può fare!
Secondo le stime dell’UNEP – United Nations Environment Programme, dal 2050 la domanda di cibo crescerà del 60%, con un aumento vertiginoso del consumo di carne. Si produrranno sempre meno vegetali per alimentazione domestica, e i terreni agricoli saranno sempre più utilizzati per la produzione di mangimi, biocarburante, materie prime per le industrie chimiche.
E se la transizione agro-ecologica sembra sempre più lontana, una rivoluzione green può partire subito dal nostro piatto. Mangiare sostenibile: cominciando a ridurre la quantità di carne a favore di un maggiore consumo di frutta e verdura, all’insegna di quella dieta mediterranea che secondo il WWF è a rischio estinzione. Assumere meno carne, ma di qualità, spendendo in modo consapevole e apprezzando sapori più genuini.
Ricordando inoltre che esistono alternative economiche e nutrienti alla carne: i legumi, il pesce azzurro, il tofu. Da non trascurare il fattore spreco: troppo spesso buttiamo via o lasciamo deteriorare in casa alimenti che hanno richiesto impiego di risorse naturali ed umane. Al link https://www.blitzresults.com/en/meat/#meat-calculator è possibile verificare quanta acqua, anidride carbonica ed antibiotici costano dieci anni di consumo di quello che negli USA è stato definito “the new smoking” (dipendere dalla carne come dal fumo), e quanto potremmo risparmiare mangiando. Se scende la richiesta di tagli di carne e di salumi, si può limitare l’allevamento estensivo, e di conseguenza anche l’importazione di mangimi, e fertilizzanti.
Interessante il tratto sulla coltivazione in verticale, tenendo presente che comunque ha interesse reale solo in contesti obbligati come può essere Singapore (vedi fonte foto), isole artificiali o future applicazioni in colonie spaziali.