Due ruote ancora sgonfie
Pedalar m’è dolce in questo mare…di motori? Nonostante guidare in città rechi un carico di stress sempre maggiore agli automobilisti, la mobilità dolce su due ruote e senza fumi di scarico suscita ancora perplessità: secondo il sondaggio IPSOS condotto in 28 paesi, fra cui l’Italia, solo il 10% degli intervistati ha dichiarato di usare la bicicletta tutti i giorni per andare al lavoro o a scuola.
E per un tragitto di soli 2 km, mentre il 42% va a piedi e il 29% preferisce il sedile dell’automobile, a montare in sella è solo il 13%. Mentre in Cina, India e Olanda un’alta percentuale di persone prende la bicicletta almeno una volta la settimana, in Italia lo fa solo il 37%.
Eppure, secondo l’ultimo rapporto “CO2 emissions of all world countries” della Commissione Europea , anche se nell’UE27 le emissioni di CO2 sono diminuite rispetto a 20 anni fa nei settori della produzione energetica e nella combustione industriale grazie all’utilizzo delle rinnovabili, restano in crescita nel ramo dei trasporti. In una visione globale, l’UE non è fra i “magnifici sette” dei gas serra: dal 2019 ad oggi nel mondo si respira infatti più biossido di carbonio, responsabile la ripresa dall’agonia economica della pandemia, soprattutto in Cina, India, Russia, Iran, Arabia Saudita, Brasile e Turchia.

L’Europa si sta impegnando nella limitazione di emissioni climateranti in vista del 2030, ma potrebbe applicarsi di più in materia di veicoli urbani: nel 2019 in Italia sono state vendute 663 automobili ogni 1000 abitanti. Anche se nel 2020 la gente, intorpidita dall’inerzia del precedente lockdown, ha riscoperto la vita all’aria aperta ed ha rivalutato la mobilità a zero emissioni.
Uno slancio all’insegna di salute e ambiente che già nel 2021 si è raffreddato, con una inesorabile ripresa del traffico di veicoli inquinanti. Come era accaduto in Italia e un po’ in tutto l’occidente nel 1973, con l’improvviso rincaro della benzina dovuto alla scelta dei paesi arabi di aumentare il prezzo del greggio in solidarietà a chi aveva mosso guerra a Israele: le famose “domeniche a piedi”, nate per razionare il carburante, fecero allora la fortuna dei venditori di biciclette. I negozi furono presi d’assalto dai neo ciclisti metropolitani, molti cittadini riesumarono dalla cantina biciclette vecchio modello, ma l’euforia per le due ruote svanì con la fine della “crisi energetica”.
Oggi quasi tutti concordano sul potenziale della bicicletta di ridurre traffico e inquinamento, ma preferiscono non utilizzarla perché ritengono pericoloso pedalare in città, dove spesso mancano le infrastrutture dedicate.

Strade sicure per manubri e volanti
L’ISTAT nel 2021 ha rilevato un aumento delle vittime tra gli utenti di bicilette e monopattini elettrici, colpevoli la distrazione, il mancato rispetto del diritto di precedenza e la velocità troppo elevata. “Un aeroplano pieno di persone ogni anno inesorabilmente si schianta nel nostro Paese. È pieno di ciclisti.” ha dichiarato l’onorevole Mauro Berruto, riferendosi al numero di vittime della strada in bicicletta in Italia. Da lui la proposta di legge della distanza minima di un metro e mezzo dal ciclista durante il sorpasso.
In Italia sta albeggiando la cultura della prevenzione: quest’anno Voi Technology e UNASCA, l’associazione delle autoscuole italiane, hanno lanciato il primo corso per chi guida il monopattino elettrico in città. E gli studenti possono testare le conoscenze acquisite tramite l’app RideLikeVoila.
Da settembre il Codice della Strada ha infatti ufficializzato le norme che regolano l’uso di questo veicolo: consentito dai 14 anni in su e fino ai 18 anni con casco obbligatorio, il monopattino elettrico può essere guidato solo su strade urbane (quelle con limite di 50 km/h) e su piste ciclabili, ad una velocità massima di 20 km/h su strada e 6 km/h nelle zone pedonali. I divieti: montare in due sul monopattino, andare contromano, guidare sul marciapiede, trainare e farsi trainare. Nelle ore buie è necessario indossare un capo catarifrangente. E come per le biciclette, va parcheggiato nelle rastrelliere o nei posteggi per i motorini. Chi non rispetta le nuove norme rischia sanzioni da 50 a 400 euro, oltre la confisca del monopattino.

In generale bici e monopattini non sono molto popolari tra chi va a piedi o sta al volante: la maggior parte di loro ritiene che rappresentino un rischio, perché non rispettano le regole del traffico, corrono troppo velocemente e non utilizzano segnali di avviso come il campanello.
Sin dal suo debutto il veicolo a due ruote ha provocato un atteggiamento ciclofobico: sul finire dell’800 si narra che un contadino del Lazio abbia descritto la bicicletta come “uno spirito che su du rotelle e du zippi correva come un lampo”. E nel 1869 il sindaco di Milano impose il divieto di circolazione alle biciclette entro la cerchia dei Navigli, affermando che” riesce pericolosa tanto alle persone che se ne servono, quanto al pubblico”. (da ”Storia sociale della bicicletta” di Stefano Pivato, editrice Il Mulino). Ai suoi albori la bicicletta, contrariamente ad oggi, era simbolo di velocità e trasgressione, adorata per questo dai futuristi. Considerato al principio come un oggetto per aristocratici stravaganti e femministe in disinvolte gonne-pantalone, all’alba del ventesimo secolo diventa un bene di consumo popolare: operai, impiegati, perfino i preti, fino ad allora costretti a lunghe camminate per celebrare i sacramenti nelle case, usano la bicicletta per andare al lavoro.
E oggi la bicicletta è sinonimo di un’antimodernità positiva, della mobilità dolce che in una pedalata riduce l’ansia, brucia le calorie e, con le sue emissioni zero, è amica dell’ambiente. E degli ambientalisti: il movimento “critical mass”, nato in California nel 1992 e arrivato in Italia nel 1999, organizza periodicamente blocchi del traffico cittadino coinvolgendo un esercito di ciclisti che manifestano contro i tubi di scappamento. Impavidi che sfidano il via vai di mezzi a motore all’insegna dell’ecologia. Perché l’uso della bicicletta diventi invece un’abitudine quotidiana, le città devono arricchirsi di nuovi spazi e opportunità per le due ruote a energia pulita.

Per una città da pedalare
In Italia si investe nell’automobile quasi 100 volte più che nella bicicletta: è la conclusione del Dossier di Legambiente “L’Italia non è un paese per bici”. Per decarbonizzare il settore dei trasporti, sostiene Legambiente, è necessario creare almeno altri 16.000 km di piste ciclabili in tutta la penisola. Attualmente le ciclabili più efficienti e numerose si concentrano nel Nord Italia.
A Bologna esiste una vera e propria “bicipolitana”: una rete di vie ciclabili segnate come le linee della metropolitana, dove quelle per gli spostamenti quotidiani si differenziano da quelle per il tempo libero. Per una mobilità dolce sempre più inclusiva Legambiente sollecita lo stanziamento di risorse aggiuntive nella legge di bilancio 2023 e seguenti, per potenziare le infrastrutture ciclabili italiane. E per renderle effettivamente accessibili è necessario sensibilizzare il pubblico all’uso delle due ruote, e programmare una intermodalità, ossia l’integrazione di sistemi di trasferimento diversi (bicicletta + trasporto pubblico), facilitando l’ingresso delle bici sui treni regionali con sistemi di scontistica ed aumento dei posti.

Come intermezzo ci sono anche le piste ciclabili pop-up, così chiamate proprio perché vengono allestite rapidamente e senza troppa burocrazia in casi di traffico straordinario, con segnaletica orizzontale e attrezzi da cantiere: sono ciclovie temporanee, sperimentate in Italia in città come Milano e Genova, ad esempio durante la pandemia, per limitare il surplus di macchine motivato dalla volontà di distanziamento.
Secondo il rapporto Global Mobility Market 2022, gli affari per chi investe nella mobilità dolce cresceranno in forma esponenziale da qui al 2027, grazie alla sempre più rapida urbanizzazione. È infatti in crescita inarrestabile la popolazione mondiale che vive in città, dove negli ultimi dieci anni è aumentata anche la vendita di automobili private. A causa del traffico sempre più congestionato, che secondo l’Istituto Europeo di Tecnologia è provocato per il 10% dalle ricerche di parcheggio, si prevede che i cittadini dovranno ricorrere ad un sistema di trasporto alternativo all’automobile per risolvere la cosiddetta “mobilità dell’ultimo miglio”, ossia la percorrenza del tratto finale, in genere quello più difficoltoso che fa arrivare trafelati e di malumore a destinazione.
Regno Unito, Germania, Francia e Paesi Bassi sono i paesi che hanno investito di più nella micromobilità di città. È in crescita la richiesta della bicicletta elettrica rispetto all’omologa tradizionale, perché offre una guida, oltre che meno faticosa, più fluida e sicura sulle strade della città. Può raggiungere una velocità di 35 Km orari, permettendo di percorrere lunghe distanze e terreni in salita. Attualmente il deterrente all’acquisto di un e-bike è il problema della ricarica, non sempre disponibile, e la possibilità di furto di batterie e motore.
Glasgow, in Scozia, sembra una città pensata per chi sceglie la mobilità dolce. Da ottobre 2022 per le strade ci sono segnali di avvertimento a energia solare con il simbolo della bicicletta per avvisare gli automobilisti della presenza di ciclisti. Per chi viaggia in gruppo (i cosiddetti “bicibus”), c’è un dispositivo wireless che, montato sulla biciletta del capofila, ferma il semaforo per un periodo più lungo e per attraversare in sicurezza. E per chi non possiede un garage ed è costretto a portare la bicicletta ogni sera dentro casa, sono previsti rifugi antifurto in tutta la città, una sorta di minibox con saracinesca.
E proprio da uno dei paesi in cima alla classifica delle emissioni, la Cina, arrivano le soluzioni di mobilità elettrica più azzardate e fantasiose: in un sito di intrattenimento si possono trovare tandem a tre posti, monocicli, minibus familiari, fino ai camioncini a tre ruote, tutti a batteria ricaricabile.