Come la Venere botticelliana rivisitata, della discussa campagna “Open to meraviglia”: bella, bionda, che dice sempre sì. L’Italia delle Grandi Opere, quella presentata dal MIT, che per guadagnare visibilità e prestigio e stare al passo delle colleghe UE, ha scelto di investire in un guardaroba sensazionale, fatto di tonnellate di cemento armato e cantieri ciclopici. Ma sotto il vestito griffato ancora molte ferite, quelle delle più recenti catastrofi ambientali, coperte dai cerotti applicati da sindaci ed assessori locali. E l’Italia che si imbelletta per il Giubileo del 2025 e la candidatura ad EXPO 2030.
Se non ora, quando?
Dal Ponte sullo Stretto alla Diga foranea di Genova: “l’Italia del sì” viene promossa con una ricca carrellata di video e powerpoint che inseguono il primato internazionale delle dimensioni e del ritorno economico. E mentre immaginiamo piloni e tunnel colossali che conquistano fondali e montagne, nell’astanteria del pronto soccorso ancora molti Comuni italiani danneggiati dal dissesto idrogeologico degli ultimi mesi. E tutti hanno bisogno di cure preventive: l’autunno 2023 marcia trascinando code di calore e ondate di maltempo, un’instabilità che preoccupa chi è già stato colpito da alluvioni, tempeste e mareggiate. Gli eventi climatici estremi in Italia dall’inizio del 2023 sono aumentati del +135% rispetto a quelli di inizio 2022. È quanto riporta l’Osservatorio Città Clima di Legambiente. Allagamenti, trombe d’aria e raffiche di vento sono ormai da qualche anno protagonisti indesiderati.
Nel Bel Paese ogni secondo 2,2 metri quadrati di suolo vengono coperti dal cemento di edifici, poli logistici , infrastrutture (Rapporto ISPRA 2022) : tutta la terra perduta dal 2012 ad oggi avrebbe garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che invece di ricaricare le falde ora scorre in superficie moltiplicando il rischio di dissesto idrogeologico. Come se non bastasse, oltre 310 km2 di costruzioni sono edifici non utilizzati e fatiscenti: un cimitero di mattoni grande come Milano e Napoli che ruba ossigeno e produttività al territorio.
Lo ha rimarcato anche Il CNI – Consiglio Nazionale degli Ingegneri: servono almeno 26,58 milioni di euro per esaudire le quasi 8.000 richieste di intervento provenienti dagli Enti locali registrati sulla piattaforma RENDIS (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo), che rappresentano le zone alluvionali a medio ed alto rischio dove risiede il 15 % della popolazione italiana.
Intanto dal PNRR sono stati stralciati 1,287 milioni di euro destinati alla gestione del rischio idrogeologico, insieme ad altri fondi per misure di efficienza energetica, servizi sociali, rigenerazione urbana. Le parole “Ripresa e Resilienza” non valgono più per gli alluvionati 2023.

La fetta defalcata dal PNRR andrà invece ad alimentare RepowerUE, il progetto comunitario che mira all’indipendenza energetica dalla Russia attraverso l’aumento di energia pulita (anche nucleare), diversificazione delle forniture, finanziamento di nuove infrastrutture. Un salvadanaio in cui ogni Stato Ue deve infilare qualche moneta. E così il Governo ha dato la priorità alla crisi energetica: risolvere ora il rincaro delle bollette e del carburante, piuttosto che investire nella prevenzione di eventi la cui data non è certa. In un Paese dove quasi il 94 % dei Comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera (dati ISPRA 2022).
Dalle alte sfere rassicurano che non si tratta di cancellare ma di riorganizzare le risorse, e che i finanziamenti saranno ricollocati in un altro fondo, probabilmente “Sviluppo e Coesione”. Il tempo di firme incrociate fra Presidenza del Consiglio e singole Regioni. Anche se molti degli interventi nelle zone disastrate come Emilia Romagna, Toscana, Veneto sono già nella fase di progettazione e realizzazione: gare già avviate, cantieri aperti, e soldi che non arriveranno nei tempi previsti, creando scompensi nella gestione contabile di somme già impegnate.

Sicilia: il Ponte sullo Stretto
E quel miliardo di euro defalcato dal PNRR è più o meno la stessa somma, secondo Legambiente, che è stata spesa per pagare fino ad oggi studi e consulenze della Società Stretto di Messina. Ed ora altri 15 miliardi per innalzare entro il 2032 il ponte sospeso a campata unica che collegherà Calabria e Sicilia: lungo 3,666 m e largo 60, piloni alti quasi 400 m, sei corsie stradali e due binari ferroviari.
Obiettivo: facilitare il trasporto di merci e persone fra la Sicilia e la penisola. Ma non basterebbe, con una spesa nettamente inferiore, sostituire le vecchie navi, e destinare quello che avanza per rinnovare ed implementare il parco ferroviario di Sicilia e Calabria? Legambiente, nel suo report “Il grande bluff. La verità sul Ponte dello Stretto”, propone la soluzione dei traghetti RO-RO (Roll-on/Roll-off), lunghi 200 metri, dove possono entrare ed uscire fino a sette carrozze senza doverle smontare, come invece avviene attualmente con manovre lente e complicate sulle navi che vanno e vengono dalla Sicilia. E suggerisce di concentrare una parte delle risorse sull’alternativa dei traghetti elettrici adatti alle tratte brevi, come quelli già utilizzati in Danimarca e Islanda. In questi anni molto è stato detto sull’impatto ambientale del ponte sul mare più lungo al mondo.

Ma ad incitare il fronte del no è anche il più recente rapporto dell’Istituto di Scienze Marine che definisce a rischio terremoto l’area fra Calabria meridionale e Sicilia orientale, da sempre geologicamente instabile. E la vox populi? Ci sono cittadini che si preoccupano per l’impatto su ecosistema e paesaggio marino, altri si chiedono quanto costerà il pedaggio per un viadotto costato miliardi. A favore chi spera in una mobilità più agile, e la possibilità di occupazione nel maxi cantiere (il MIT promette 100.000 posti di lavoro).
Emilia Romagna: il CCS di Ravenna
Saliamo verso il centro. Sorgerà a Ravenna, nella Romagna debilitata dalle alluvioni, il CCS (Carbon and Capture Storage) di Eni e Snam, per lo stoccaggio della CO2 rilasciata dalle industrie più inquinanti, come quelle che producono cemento, acciaio, ceramica, carta. Le emissioni del polo industriale mediterraneo dal 2026 saranno catturate e imprigionate in giacimenti profondi dismessi della capacità di 500 milioni di tonnellate.

Una tecnologia che garantisce lunga vita ai settori hard-to-abate, che al momento nutrono il PIL nazionale e creano posti di lavoro. Ma che mirando alla decarbonizzazione, cerca di allinearsi agli obiettivi ambientalisti. Eminenti think thank assicurano che oltre il 99,9% di CO2 rimane nel sottosuolo per 500 anni, che comunque è un gas inerte e non infiammabile, e che nell’improbabile eventualità di perdite tornerebbe “semplicemente” in atmosfera. E quale potrebbe essere la sensazione di un cittadino romagnolo al pensiero di dormire sotto tonnellate di inquinamento? “Mettiamoci nella situazione delle persone, famiglie, che in questi mesi sono ancora fuori casa per inagibilità degli edifici o per pericolo di frana; di tutti quelli che quotidianamente percorrono strade teoricamente chiuse al traffico o con traffico limitato; pensiamo a chi ha avuto la casa allagata e vive con l’incubo che possa ripetersi. Per tutte queste persone e famiglie l’urgenza principale è la messa in sicurezza e manutenzione del territorio per prevenire quanto hanno vissuto nel maggio 2023.” Così Paride Antolini, Presidente Ordine Geologi Emilia Romagna. Nella regione i cantieri si distribuiscono a macchia di leopardo: “In ampi tratti sono terminati i lavori di somma urgenza per la messa in sicurezza di alvei e argini, e proseguono quelli di ricostruzione argini tracimati e crollati. Ovviamente sono interventi che ripristinano la situazione antecedente all’alluvione, e non sono migliorativi per affrontare eventi eccezionali.” Si può fare di più.

Liguria: la Diga di Genova e il Terzo Valico
Il nostro viaggio lungo l’Italia delle cattedrali (nel deserto), arriva in Liguria. Il gigante annunciato è la Diga foranea di Genova, “la più profonda d’Europa”: 6 km di muro semisommerso davanti al porto, progettato per sbarrare il moto ondoso e consentire il transito di cargo fino a 400 m di lunghezza, ma anche navi da crociera come la giovane MSC World Europa (333 metri di hotel viaggiante, 7 piscine e una pista per l’autoscontro). Una calamita di calcestruzzo per le imbarcazioni delle rotte internazionali: la città dell’acquario potrebbe diventare il porto numero uno d’Europa.
Ma Genova un primato già ce l’ha, quello della provincia ligure più esposta al rischio di frane: come la Liguria tutta, che con la sua percentuale di collina e montagna vicina al 100% e l’aumento dell’impermeabilizzazione e del consumo di suolo, ad ogni nubifragio diventa più fragile a livello geologico ed economico. E a potenziare la mobilità dovrebbe essere anche il Progetto Unico Terzo Valico, che prevede una linea ferroviaria di 53 km ad alta velocità: da Genova a Milano o Torino in un’ora, tre ore per arrivare a Venezia. Lungo il percorso una galleria lunga 27 km per realizzare un vero e proprio “dry port”, area atta al trasferimento di merci dalla costa a destinazioni interne. E come la maggior parte dei super progetti illustrati quest’anno, si prevede una massiccia riduzione delle emissioni. Grandi Opere, grande sostenibilità?