Costi dell’impatto ambientale

Un’ondata di calore ha investito l’America settentrionale con picchi di quasi 50 gradi anche alle latitudini di Vancouver, in Canada. Si tratta di temperature tipiche del deserto del Sahara, ovvero equatoriali, causate da un’enorme bolla di alta pressione che ha intrappolato calore e vapore acqueo nei primissimi strati della troposfera nordamericana, fino ai territori dell’artico.

British Columbia
I danni all’ambiente a causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici

Ovviamente molti soggetti vulnerabili, perlopiù anziani, sono deceduti improvvisamente per il caldo, in un numero tre volte superiore rispetto a quello medio registrato negli stessi periodi dell’anno. La British Columbia è sicuramente la provincia canadese più colpita, con oltre 130 incendi boschivi attivi, causati dai fulmini e propagati velocemente per la siccità. Un intero villaggio, Lytton, a circa 250 km a nordest di Vancouver, è stato completamente arso in soli 15 minuti. Questo aumento anomalo della temperatura del 195% ha stabilito un nuovo record, ed ha provocato vittime e danni a tutto tondo, in particolare all’agricoltura e alle infrastrutture con strade deformate e linee elettriche sciolte. Per fortuna non è più il tempo dei negazionisti, infatti Joe Biden e Justin Trudeau incolpano apertamente i cambiamenti climatici, portandoli al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, ma quanto durerà? Quali contromisure adotteranno?

Incendio nel villaggio di Lytton nella Columbia Britannica | © AP

Meteorologi e climatologi hanno confermato il nesso con il riscaldamento globale, così come l’analoga situazione verificatasi in Siberia e in Australia che la scorsa estate è sfociata in devastanti incendi. Secondo uno studio pubblicato su Nature, questi problemi sono da sempre ricorrenti in specifiche località, ma ormai la probabilità che si verifichi un evento del genere, data la diffusa siccità, è cinque volte superiore rispetto agli anni passati, includendo nelle zone a rischio anche territori insospettabili. Quest’anno il circolo polare Artico sta registrando temperature davvero troppo elevate per poterne uscire indenne. Anche dal lato europeo, infatti, è arrivata la bolla che ha messo in ginocchio il Canada, portando Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda fino ai 34 gradi centigradi. In Lapponia i 33,6° raggiunti costituiscono la temperatura più alta dal 1917, preannunciando un 2021 più caldo dell’anno record precedente, il 2020.

Bambini si rinfrescano nelle fontane di Place des Arts a Montreal, Canada | © AFP

Secondo Michael Reader, professore di meteorologia presso la Monash University in Australia, l’ondata di calore canadese è stata generata da una perturbazione chiamata “onda di Rossby”, a seguito di un picco minimo di temperature nel Pacifico Occidentale nipponico; da qui, in direzione opposta, si è propagata una seconda onda che è arrivata in Europa. “È come pizzicare una corda di chitarra – dice Reader – la perturbazione arriva in nord America, si amplifica e produce un grande sistema di alta pressione nella parte centrale dell’atmosfera che si propaga lungo le correnti fino in Europa”.

Pare, quindi, che nessun luogo del mondo, per quanto vicino ai Poli, risulti al sicuro, escluso dagli effetti del riscaldamento globale. Tutte queste attenzioni al problema, ammesso che ci siano, risultano sempre temporanee e strettamente legate alla notizia d’effetto che segue un terribile evento estivo, ovvero il momento più caldo. E il resto dell’anno? Il problema non scompare, anzi, si amplifica, e questo non riesce proprio ad entrare nella testa dell’uomo. Cosa conta tanto da rimanere nei pensieri fissi di tutti e su cui basare azioni e programmi politici? Semplice: sopravvivenza (della persona) e soldi. Andiamo quindi a tradurre tutte queste notizie in termini di maggiore interesse.

Lago Moraine, British Columbian | © James Wheeler
Sopravvivenza

La sopravvivenza può misurarsi in salute, e questa è fortemente compromessa dalle nuove condizioni climatiche del Pianeta e dall’inquinamento. Oltre agli incidenti legati alle catastrofi naturali, accentuate dal cambiamento climatico (alluvioni, cicloni, incendi, epidemie) e per le quali non sono necessarie molte spiegazioni o ragionamenti, dobbiamo considerare l’impossibilità dell’uomo a vivere in condizioni elevate di caldo-umido. Mi spiego: essendo gli esseri umani degli organismi omeotermi, ovvero che mantengono costante la temperatura corporea attraverso meccanismi di termoregolazione (brividi per scaldarsi – sudorazione per raffreddarsi), ed essendo ridotta l’evaporazione del sudore in ambienti molto umidi, le sempre più estreme e frequenti condizioni di caldo ed elevata umidità dell’aria porteranno l’umanità a morire di caldo, letteralmente.

Infatti, quando il corpo umano viene esposto a temperature superiori ai 35° C e a un’umidità relativa del 100%, bastano poche ore per farlo collassare con un colpo di calore, poiché è impossibile raffreddarlo, nemmeno all’ombra o con dell’acqua. Queste specifiche condizioni ambientali erano considerate impossibili, ma ora esistono, mietono vittime e, ovviamente, sono studiatissime. Si parla di temperatura di “bulbo umido” e viene simulata da un termometro coperto da un panno umido che mostra la temperatura alla quale avviene il raffreddamento per evaporazione da sudore o acqua.

Secondo le stime del WHO, tra il 2030 e il 2050, i cambiamenti climatici causeranno ogni anno circa 250.000 morti addizionali per malnutrizione, malaria, diarrea e stress da calore.

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Per quanto riguarda l’inquinamento, invece, l’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) posiziona l’inquinamento dell’aria al quarto posto tra i fattori mortali di rischio a livello globale; gli stessi dati evidenziano che l’85% della popolazione mondiale vive in aree in cui vengono superate le linee guida sulla qualità dell’aria stabilite dalla World Health Organization (WHO). Nel 2015 si sono registrate 3.2 milioni di morti premature a causa dell’inquinamento outdoor da PM e Ozono in soli 35 Paesi OECD e BRIICS (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sud Africa), mentre solo due anni prima, nel 2013, il numero di morti premature arrivava a 5.5 milioni, ma in ben 180 Paesi e considerando anche l’inquinamento indoor da PM2.5 come causa diretta.

Soldi

Qui le cifre cominciano a salire vertiginosamente, soprattutto se consideriamo le somme degli effetti totali di inquinamento e cambiamento climatico. Alcune stime non tengono conto, ad esempio, dei costi legati alle esternalità o in generale agli effetti indiretti di specifiche situazioni, ma, per essere attendibili, non dovrebbero esistere compartimentazioni di alcun genere. Certo, essendo elevatissimo il numero di variabili e di connessioni, può essere utile effettuare delle stime settoriali, per poi unire tutti i risultati.

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Uso i dati degli ultimi due esempi per introdurre i costi annuali che il solo inquinamento dell’aria genera a livello globale: il 2013 e il 2015, sono costati 5.100 miliardi di dollari ognuno, ovvero 10.200 miliardi di dollari in totale. La valutazione delle conseguenze economiche dell’inquinamento dell’aria implica l’associazione di un valore monetario a ciascun effetto, così che la somma di tutti i valori monetari stimati fornisca il costo economico complessivo. Tra questi ci sono i costi di mercato e non di mercato dovuti agli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute, sulle colture e sui raccolti, sugli ecosistemi, sul clima e sull’ambiente costruito. I costi di mercato includono una ridotta produttività del lavoro, spese supplementari per la salute e perdite nelle colture e nelle foreste.

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L’OCSE prevede che tali costi raggiungano circa il 2% del PIL europeo nel 2060 (OCSE, 2016), determinando una riduzione dell’accumulo di capitale e un rallentamento della crescita economica. I costi non di mercato sono invece associati ad un aumento della mortalità e della morbilità, al degrado delle risorse ecosistemiche, alle perdite agricole e ciò che vi è correlato (deforestazione, desertificazione, acidificazione del suolo, evaporazione di laghi e fiumi, eutrofizzazione), ai danni agli edifici e ai monumenti con conseguenze generalizzate su riduzione del valore immobiliare, riduzione del turismo, aumento degli incidenti stradali e diversi problemi sociali.

Secondo gli scienziati del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) e del Mercator Research Institute for Global Commons and Climate Change (MCC), estendendo la stima dei costi anche ai danni dei cambiamenti climatici, le perdite economiche saranno ancora più disastrose. L’Italia si posiziona ai primi posti tra i Paesi ad alto rischio, poiché la velocità alla quale si sta surriscaldando è maggiore rispetto alla media globale. Senza una repentina inversione di rotta, entro il 2050 il Belpaese perderà circa 130 miliardi di euro all’anno, con un aumento della disuguaglianza regionale nella distribuzione della ricchezza pari al 60%.

Cosa possiamo fare per rallentare le perdite di vite umane ed economiche?

La risposta a questa domanda già la conosciamo… ora che abbiamo elaborato i costi e le conseguenze possiamo impegnarci davvero.

 

 

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