La Climate Justice arriva in Italia

Con l’inizio di giugno abbiamo visto intentare la prima causa contro il governo italiano per inerzia nella lotta al cambiamento climatico. Sembra una notizia sensazionalistica, ed in un certo senso lo è, ma in realtà è un’altra importante azione della “Climate Justice”, ovvero il nuovo trend globale di giustizia climatica.

Manifestanti in piazza a New York, 2014 | © Shadia Fayne Wood/People Climate March NYC

Andiamo per gradi, cominciando proprio dall’ultima azione, legale, di un gruppo di ambientalisti la cui organizzazione di riferimento, “A sud”, insieme con diverse associazioni, cittadini italiani, residenti stranieri e giovani attivisti del movimento Fridays for Future, hanno deciso di citare il governo italiano per inadempienza climatica. In pratica si contesta, giustamente, “l’insufficiente impegno nella promozione di adeguate politiche di riduzione delle emissioni clima-alteranti, cui consegue la violazione di numerosi diritti fondamentali riconosciuti dallo Stato italiano”.

Vivere in un Ambiente sano è un Diritto costituzionale

È possibile intentare una causa di questo tipo? Assolutamente sì, poiché ogni cittadino italiano ha il Diritto costituzionale a vivere in un ambiente sano, salubre e non inquinato. Ma allora, cosa c’entra il governo? I coordinatori della campagna contestano le politiche sul clima troppo poco ambiziose, con un obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 fissato nel 2019, fermo al 33% entro il 2030, assolutamente insufficiente a tamponare la grave situazione di crisi che l’Italia, e il Mondo intero, sta vivendo.

Alluvione nella provincia di Cuneo | © Francesco Doglio

“Chiediamo alla corte di riconoscere che il governo italiano non sta rispettando il suo obbligo di proteggere la popolazione dai cambiamenti climatici. Vogliamo anche che il tribunale ordini all’Italia di fissare un obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 che è del 92%, ovvero tre volte quello che è oggi”, ha affermato Marica Di Pierri, portavoce della coalizione ambientale composta da 203 querelanti, molti dei quali sono minorenni. Sono stati portati all’attenzione della Corte molti esempi, decisamente concreti, a validare le accuse: l’eccessivo sfruttamento delle fonti fossili al posto delle energie rinnovabili, l’incenerimento dei rifiuti per assenza di sistemi di riciclaggio all’avanguardia, un trasporto pubblico insufficiente, per non dire imbarazzante, che obbliga i cittadini a spostarsi con le auto anche in città. Semplici azioni quotidiane, necessarie, che però impattano molto sull’ambiente in cui viviamo, modificandolo in peggio per noi e per i futuri cittadini. Chi, se non il governo, può trovare e imporre soluzioni più green per ridurre i danni?

Vulnerabilità climatica ed eventi meteorologici straordinari

Pochi paesi hanno un’urgenza e un interesse maggiore di noi nell’investire in politiche ecologiche: il Climate risk index 2020, pubblicato dalla ong tedesca Germanwatch, pone l’Italia al ventiduesimo posto al mondo per vulnerabilità climatica e al sesto per numero di morti dovuti a eventi climatici estremi; come se non bastasse, secondo il World atlas of desertification, il 20% del territorio italiano risulta a rischio di desertificazione, con una potenziale riduzione delle precipitazioni del 20% in poco meno di 80 anni. Se questo non è sufficiente a far ragionare il governo, potremmo farne una questione economica e notare come i costi totali dei danni ambientali superino sempre, e di molto, gli investimenti necessari a ridurre lo stato di emergenza climatica che abbiamo innescato.

Danni da grandine, Valtiberina, agosto 2020 | © arezzonotizie.it

Pensate agli eventi meteorologici straordinari e alle loro conseguenze: piogge torrenziali che fanno franare montagne, straripare fiumi e allagare intere città; grandinate e gelate fuori stagione che distruggono il raccolto di milioni di agricoltori; forti venti che abbattono alberi in città, ma anche interi boschi in montagna; caldo eccessivo che aumenta lo scioglimento dei ghiacciai, la riduzione delle risorse idriche per evaporazione e, talvolta, porta alla desertificazione; la variazione dei parametri chimico-fisici che caratterizzano gli ambienti naturali che porta alla scomparsa di numerosi habitat e della biodiversità, fonte di turismo. Pensate anche ai danni diretti e indiretti dell’inquinamento: ambienti troppo inquinati per le specie selvatiche, ma anche per l’uomo; acque e terreni ricchi di sostanze tossiche che entrano nella catena alimentare con la coltivazione e l’allevamento, o direttamente nelle falde idriche; aria così ricca di smog e particolato vario da risultare altamente nociva, fin troppo spesso mortale.

Danni da grandine | © TGR Trento

Quanti soldi servono a ricostruire, pulire, decontaminare, risarcire, sovvenzionare, curare…? L’Italia ha molte, moltissime, spese di questo tipo proprio perché non è lungimirante nei suoi investimenti o nei suoi accordi. La scusa più usata è “ora non ci sono soldi”, il ché ha senso solo se non si considerano queste esternalità nelle valutazioni costi-benefici delle spese economiche italiane. Ebbene, con il Recovery Fund, ovvero con i 59 miliardi di euro da spendere in “progetti green”, questa scusa non avrà più alcuna credibilità.

Con questi fondi avremmo potuto risolvere diversi problemi, ma il PNRR depositato il 30 aprile dal governo Draghi, nonostante le tante chiacchiere iniziali sull’importanza dell’ambiente nel piano politico, è stato piuttosto deludente. Personalmente avevo manifestato cautela nell’esprimere entusiasmo o prevenzione nei confronti del nuovo super-dicastero della Transizione ecologica; scetticismo e speranza si sono scontrate fino all’ultimo e, purtroppo, pare che il governo italiano abbia ancora fatto retorica piuttosto che mantenuto la parola. Gli obiettivi ecologici delineati dal nuovo ministero, rappresentato dal fisico Roberto Cingolani, sono stati reputati troppo modesti su certe tematiche o totalmente assenti in altre. Non avendo sufficiente spazio per scendere nel dettaglio, vi suggerisco la lettura del resoconto fatto dall’associazione Greenpeace che trovo piuttosto completo e oggettivo, poiché, oltre a proporre precise modifiche più ambiziose, delinea con minuzia punti deboli e carenze di ogni settore, dalle energie rinnovabili all’estrazione delle fonti fossili, dagli allevamenti intensivi all’agricoltura, passando per la gestione dei rifiuti, la tutela della biodiversità e la sostenibilità delle aree urbane.

Movimenti di Giustizia climatica a difesa dell’Ambiente

Con la crescente attenzione verso le tematiche ambientali, i primi movimenti di giustizia climatica, nati in America nel 1990, hanno cominciato ad ispirare sempre più cittadini nel mondo, ovviamente con una capacità mediatica molto maggiore. Ad accendere la miccia che ha fatto esplodere questo trend globale è stata la vittoria della Fondazione Urgeda in Olanda e dei suoi giovani cittadini; la causa, intentata nel 2013, si basava sulla violazione dei diritti umani dei cittadini da parte del governo, poiché non raggiungeva l’obiettivo minimo di riduzione delle emissioni di gas serra, necessario per non aggravare il riscaldamento globale. Sia la sentenza del 2015 che l’appello del 2019 hanno imposto al governo una riduzione del 25% di emissioni di carbonio rispetto ai livelli del 1990, per tutelare i diritti sanciti dalla legislazione europea.

Tempesta

Questo, quindi, fu il primo caso di vittoria dei cittadini contro un governo in difesa dell’ambiente, sulla base dei diritti umani. Ad oggi si contano più di 1700 contenziosi in 28 diversi paesi del mondo e i principali portavoce sono i millennials e la Generazione Z, ovvero i futuri cittadini che abiteranno su questo pianeta martoriato dalle azioni umane attuali e passate.

Un’altra grande conquista è stata ottenuta da 25 ragazzi colombiani che nel 2019 hanno vinto la causa contro il governo, reo di non aver protetto la foresta pluviale dalla deforestazione. Qui la Corte non solo deliberò in favore dei querelanti, ma evidenziò anche la grave negligenza del governo, parlando dei “danni gravi e imminenti” che per questo avrebbe dovuto affrontare il Paese e, soprattutto, che “a subire i peggiori effetti sarebbero state le generazioni future”.

Secondo David Boyd, professore di diritto ambientale della British Columbia University e relatore speciale delle Nazioni Unite, “Nessun altro diritto socio-economico si è diffuso in modo così capillare nel mondo. È una risposta diretta al fatto che ci stiamo finalmente rendendo conto delle effettive dimensioni di questa crisi globale”. Certo, non si parla solo di vittorie, ma il diffondersi della Climate Justice fa aumentare il numero di cause legali e, quindi, la possibilità di ottenere risultati concreti sia con le eventuali sentenze positive sia, soprattutto, con l’enorme diffusione mediatica che funge da strumento utile a influenzare le masse, la politica e i comportamenti degli Stati.

 

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