A volte è meglio non avere un’opinione conclusiva su un argomento, meglio aspettare di avere tutte le informazioni.
Ho tenuto ‘aperto’ un articolo per mesi senza completarlo, il titolo del pezzo che non ho mai finito si chiamava ‘due passi indietro’ e faceva riferimento all’unico suggerimento pratico arrivato da un politico, Frans Timmermans (capo della commissione EU che lavora all’European Green Deal e alla European Climate Law che vuole fare diventare legge l’obiettivo di diventare entro il 2050 carbon neutral ), ovvero quello di sacrificare qualcosa degli agi quotidiani per diminuire le emissioni e arginare quello che ormai è troppo tardi per arginare.
Qualcosa di me si deve essere arreso all’evidenza perché mi sono domandata: dobbiamo veramente combattere il cambiamento climatico? È corretto?
Da persona disciplinata che per decenni ha fatto tutto quello che era sensibile fare per camminare leggera sul pianeta, improvvisamente ho dovuto osservare, mettendo da parte l’ottimismo istintivo, con gli occhi del realismo.
Può modificare molto poco una persona singola, un gruppo di cittadini, una manciata di scienziati che da 30 anni hanno preso insulti (visionari, bugiardi, terroristi, disinformati, radicali, marxisti, iettatori, cospiratori..), alla fine dobbiamo arrenderci all’inevitabile distruzione, se non proprio abbracciarla, dobbiamo farci trasportare nel vortice di questo effetto domino di distruzione, senza piangere, senza sentire pena, senza affliggerci.
Che la vera essenza della vita si esprima attraverso i contrasti, i poli opposti, non è un mistero : non c’è bianco senza nero, luce senza buio, ying senza yang, amore senza odio, siamo intrappolati nella dualità che si manifesta in ogni azione. Così anche l’evoluzione di una civiltà porta con sé nello stesso destino, la sua distruzione.
Cosa manca alla nostra civiltà per considerarla all’apice? Nulla. Siamo all’apice, almeno in quanto a ricchezza, a tecnologia, a controllo sulla scienza, a durata di vita, a cosmopolitismo senza censure, ad assenza di guerre nei paesi più feriti.

Qualcosa andrà distrutto dopo tante conquiste, e ciò che muore è quello che nessuno vuole: l’ambiente, la natura, gli alberi, i fiumi, il mare, la vita degli animali. Tutto questo è destinato a morire e ce ne dobbiamo fare una ragione. Sperare che non succeda è faticosissimo perché va contrario all’orientamento di milioni di altre persone che hanno scelto diversamente. Hanno scelto di allontanarsi dalla natura, di ripiegare nell’atmosfera asettica, sterile e pulita di una casa lontano dalla terra. Ma perché?
Se l’ambiente naturale verde fosse ‘evidentemente’ necessario avremmo trovato un equilibrio già nel passato, per logica.
Questo equilibrio tra uomo e natura non c’è perché la natura è una forza misteriosa molto più forte dell’uomo. Per Stalin, essere considerato un ‘uomo d’acciaio’, voleva dire deviare il corso di un fiume (oltre a dare prova della sua forza con stermini e deportazioni). In parole povere, dimostrare controllo sulla natura.
Chi fa il giardiniere del proprio giardino credo capisca. Sa cos’è la lotta con le formiche che hanno fatto il nido sotto il pavimento della serra, la lotta con le erbe infestanti, con i parassiti delle piante, con gli insetti che mangiano le foglie dell’insalata, dei broccoli e dei fiori, la lotta con il gelo. Riuscire a strappare qualcosa dalla terra è duro, è per superuomini. E da una parte, chiudendo gli occhi su anni di militanza contro i pesticidi, devo ammettere che il coltivatore si trova davanti all’unica scelta possibile: ammazzare tutto fuorché il raccolto. A meno che si opti per il ‘rewilding’ che è difficile da ottenere come l’illuminazione per un monaco buddista.
E quindi siamo qui, a questo punto.. ad assaggiare la distruzione, a non avere programmi, a non sapere dove fuggire, a guardare negli occhi un incubo a rallentatore che ti prende tutto quello che ti aiutava a volare con la mente. Perché magari nella casa asettica, super igienizzata che cambia elettrodomestici al passo con la nuova pagina tecnologica tanto spazio per il volo libero non c’è mai stato. C’é solitudine, di quella ce n’è in abbondanza.
Ma non è pensando all’inevitabile esperienza dell’altro lato della medaglia che mi sono convertita. È il bisogno di assolvere questa generazione da tutte le responsabilità future.
Passeremo alla storia (se getteranno su una pira tutti i libri dopo che la rete si sarà spenta per corto circuito) come la generazione che ha incendiato e allagato il mondo, sciolto i poli e i ghiacciai eterni, accelerato la sesta estinzione di massa, prosciugato i laghi, costruito autostrade dentro foreste ancestrali.

E le generazioni che ci hanno preceduto sono meno colpevoli della nostra?
Come scaldavano l’acqua calda delle loro terme, come cuocevano il cinghiale servito nei banchetti, e come hanno costruito le chiglie delle navi da guerra i romani? Con il legno delle antiche foreste del Mediterraneo. Sono state abbattute semplicemente per vivere, riprodursi, lavarsi, cucinare, scaldarsi e fare le guerre di conquista.
Basta leggere Il Milione di Marco Polo, un resoconto burocratico-contabile sulle ricchezza dei piccoli regni Cinesi e quelli limitrofi.
Ingaggiato da Kublai Khan come suo emissario, Marco Polo redige rapporti minuziosissimi di tutto quello che vede in ogni villaggio, in ogni città, in ogni regno che visita. E le ricchezze di quei tempi, memorizzate e ricordate al rientro a Venezia con la stessa intensità, erano assolutamente astronomiche perché tutti potevano sfruttare la vastità della natura che offriva, nel suo stato ancora vergine, vantaggi immensi. Era abitudine mangiare tre portate di carne ad ogni pasto scegliendo tra selvaggina, maiale, anatra o pesce; commerciavano il legname, la seta, le pellicce degli animali, le perle, le pietre preziose, l’oro e i metalli.
Da tutta questa abbondanza è nata la grande Cina di oggi. Le riserve naturali per secoli sono servite a portare nelle casse dei poteri centrali, tasse, soldi, oro, per investire poi nelle infrastrutture del regno e per pagare eserciti per annettersi terre confinanti.
Chi nella storia non ha sfruttato la terra e la natura per sopravvivere?
I romani hanno tagliato le prime foreste secolari in Italia e in Libano per costruire la flotta di navi da guerra. Lo stesso, presumo, lo hanno fatto i greci, i fenici, i vichinghi, gli anglo-sassoni, i turchi, i giapponesi, i russi, gli svedesi e i norvegesi.
L’uomo ha estratto tutte le ricchezze del pianeta per crescere per diventare quello che è oggi, senza quelle ricchezze non avremmo potuto colonizzare ogni angolo del pianeta e sfamarci, evolverci, studiare, scoprire, inventare. Siamo stati costretti ad usare il pianeta.
Quindi le colpe di oggi sono da addebitare a tutte le generazioni, non solo alla nostra.
C’è qualcuno che veramente spera che Cina e India abbiano intenzione di diminuire le emissioni? Sono poteri che tendono all’egemonia e l’energia è la moneta da spendere per assicurarne la riuscita. Non rallenteranno mai.
Ora viene da sorridere quando ci consigliano di fare ‘due passi indietro’ noi che non siamo nessuno, che non abbiamo potere, che non abbiamo soldi, che siamo tristemente accucciati nella nostra vita perché al primo che alza la testa per protestare contro il taglio degli alberi in qualsiasi parte del mondo gli spaccano la testa con una manganellata, lo accecano con i lacrimogeni, lo allagano con una cannonata d’acqua.
Cosa c’inventiamo?.. di andare a letto alle 9 di sera invece delle 11 per risparmiare luce e gas? Di cambiare le lenzuola ogni due settimane per non usare acqua e energia delle lavatrici? Ah vero.. neanche la carne possiamo mangiare…
Uno dei business più lucrativi sono le costruzioni. Non serve un laureato per fare ‘billions’ persino un illetterato che a mala pena sa scrivere riesce a costruirsi un impero sulla distruzione dell’ambiente. Possiamo fermarli?
Intanto la gente si tira coltellate e pistolettate perché il vicino lo urta, lo urta al parcheggio, quando rientra a casa perché non gli garba la bici sulle scale, gli urta il cane che abbaia, gli urtano le foglie dell’albero che gli sporcano il cortile… Ci urtiamo terribilmente a vicenda. Viviamo stretti e infelici.
Poi così di sfuggita leggi che il numero probabile di civilizzazioni aliene contattabili sono 36 e che solo nella nostra galassia ci potrebbero essere più di 30 civilizzazioni intelligenti.
Allora immagini che dovremmo consorziarci ( l’ultimo disperato sforzo di usare i social) e ritrovarci sul greto di uno di quei grandi laghi ormai prosciugati dalla siccità con dei sacchetti di sassi a comporre messaggi leggibili dallo spazio, come quelli di Nazca in Perù, con la scritta HELP, SOS, WE ARE DYING, TAKE ME AWAY WITH YOU, I LOVE TREES TOO….
Se questo pianeta muore per super sfruttamento dietro c’è sicuramente una ragione che sfugge alla nostra comprensione. E diciamo che chiunque ha capito come ‘muoversi’ nel rispetto della vita non ha sprecato la sua occasione d’imparare. Perché, chissà, su questa terra infernale siamo approdati per imparare una lezione. E sempre, chissà, ci aspetta l’Universo…