Ci lamentiamo dei parcheggi troppo piccoli per auto sempre più grandi, ma nel Canale di Suez un cargo mostro finito di traverso ha causato perdite commerciali per nove miliardi di dollari al giorno. Due gigantesche opere umane ci rivelano, paradossalmente, l’estrema vulnerabilità e l’inadeguatezza di un sistema insostenibile. Basato su uno stretto che alimenta il Mediterraneo di specie aliene.

Quando, due millenni prima di Cristo, gli schiavi e gli ingegneri del faraone Sesostri III iniziarono a scavare un canale che congiungesse il Nilo – e quindi il Mediterraneo – al Mar Rosso, si trovarono davanti a una spiacevole sorpresa: il livello del mare era più alto rispetto a quello del Nilo. La sua apertura avrebbe inesorabilmente contaminato con acqua salmastra la valle del Nilo, preziosa risorsa della regione. Non ci è dato a sapere se si trattò del primo dei tanti errori di calcolo che hanno ingannato i costruttori lungo la Storia. Si narra che Dario il Grande, durante il dominio persiano sull’Egitto, completò una lunga via navigabile tra i Laghi Amari, allora collegati al Mar Rosso, con il Nilo. Ma Plinio il Vecchio e Diodoro Siculo smentiscono. Il canale fu certamente ultimato da un altro monarca, Tolomeo II, e le sue vestigia note come il Canale dei Faraoni, vennero scoperte dai francesi durante la Campagna d’Egitto. Fu allora che Napoleone Bonaparte cominciò a considerare la possibilità di ripristinare un collegamento tra i due mari, con la costruzione del canale più famoso, e travagliato, della storia umana.
Il più antico dei sogni d’Occidente
Il commercio con l’Oriente, con l’India e soprattutto la Cina, non è una fantasia della globalizzazione. Se Alessandro invase la Persia e poi l’Afghanistan e infine parte dell’India, e se Colombo partì per mare in direzione opposta, lo fecero entrambi per inseguire il più antico dei sogni occidentali: creare una via sicura per il commercio col favoloso Impero Celeste. I romani, che avevano porti in India e in Mar Rosso, s’erano scontrati spesso con l’ostilità e i voltafaccia dei numerosi popoli e regni sulla via tra l’Europa e l’estremo Oriente. I romani furono tra i primi a comprendere che il trasporto delle merci, poiché il mare non conosce dazi né confini, ha da essere navale, e che un buon vento è più economico e a portata di mano del mangime per cavalli e buoi.
Ma torniamo a Bonaparte. Se l’Impero Britannico, da Gibilterra a Malacca, controllava gran parte degli stretti, quello Francese avrebbe fatto bene a costruirsene uno: il più importante di tutti. Incaricato da Bonaparte in persona, l’ingegner Jaques-Marie Le Pere cominciò a studiare la fattibilità dell’opera. Sbagliò clamorosamente i calcoli, stimando il livello del Mar Rosso più alto di ben nove metri rispetto al Mediterraneo. Quasi cinquant’anni dopo, nel 1847, Paul-Adrien Bourdaloue, topografo francese, scoprì che la differenza tra i livelli era in realtà minima; le misurazioni moderne la attestano sui 25 cm in diminuzione: si stima che nel 2035 per per motivi legati al dissesto climatico, scenderà a zero.

Le nuove misurazioni permisero a Ferdinand de Lesseps, un imprenditore all’epoca console in Egitto, di ripartire alla carica con un progetto che gli girava ormai nella testa da più di venti anni. Fondò la Compagnia del Canale di Suez e convinse Said Pasha, allora reggente ottomano dell’Egitto, a firmare la concessione per 99 anni e lo stesso Said Pasha e Napoleone III ad entrare nella Società con fondi pubblici. Il canale fu ultimato nel 1869 tra Suez e Port Said città fondata allo scopo e in onore, e oggi un non luogo del mondo articolato tra un porto diffuso, vecchi magazzini ormai fatiscenti, palazzi amministrativi in stile sovietico e architettura coloniale francese.
Ma il sogno di una partecipazione egiziana nella Compagnia, come nella sfera geopolitica, durò poco: nel 1875 l’ingente debito pubblico costrinse Ismail Pasha, successore di Said, a cedere all’Inghilterra le quote della società che controllava il canale per un piatto di lenticchie: 4 milioni di sterline. La nuova proprietà anglo francese indusse la comunità internazionale a firmare una risoluzione congiunta sulla neutralità del canale. Con delle eccezioni: navi da guerra e materiale bellico potevano transitare. Durante la seconda guerra mondiale le forze dell’asse fecero di tutto per strapparlo agli inglesi. Non riuscirono a conquistarlo ma riuscirono a bloccarlo più volte, affondando navi da guerra agli imbocchi. Una delle vittime più eccellenti di questa strategia fu il Thistlegorm, forse il relitto più famoso del mondo, proveniente dal Sudafrica e diretto ad Alessandria d’Egitto, affondato da un bombardiere tedesco mentre era alla fonda nel Golfo di Suez attendendo che il canale venisse sgomberato.

La crisi
Nel 1956 il presidente egiziano Nasser, membro della giunta militare rivoluzionaria che rovesciò re Farouk, nazionalizzò il Canale di Suez. La risposta fu immediata: gli israeliani invasero il Sinai e gli anglo francesi bombardarono l’Egitto. Nasser diede ordine di affondare tutte le navi rimaste all’interno, circa quaranta, bloccando di fatto il canale. La mossa non impedì a marines e paracadutisti britannici di prenderne il controllo. L’Egitto chiese il sostegno all’Unione Sovietica e alla Cina e la situazione rischiò di degenerare in un confronto diretto tra le superpotenze che in quell’epoca, ricordiamolo, si sarebbe tradotto facilmente in una guerra nucleare. Gli Stati Uniti costrinsero i britannici al ritiro e l’ONU inviò una forza di di emergenza (UNEF), la prima forza di pace nella storia delle Nazioni Unite, con mandato fino al 1979.
Il blocco, l’austerity e le navi mostro
Nel 1967 l’Egitto impose il ritiro dell’UNEF e il blocco degli stretti di Tiran. Subito dopo gli israeliani invasero di nuovo il Sinai tornando ad occupare tutto il lato est del canale. L’Egitto, temendo che gli israeliani potessero utilizzarlo, lo bloccò. Il traffico mondiale delle merci tra l’Oceano Indiano e L’Atlantico dovette affrontare la circumnavigazione dell’Africa per ben otto anni successivi. Fu il blocco di Suez, assieme alla ritorsione dell’OPEC per l’appoggio occidentale a Israele, a provocare la crisi petrolifera mondiale che divenne la crisi economica forse più lunga e devastante, visti i trend di crescita degli anni precedenti.
Salì il prezzo del petrolio, ma anche quello del suo trasporto. Questa situazione indusse gli armatori a costruire navi sempre più grandi per abbattere i costi. Sopravvissero le compagnie marittime che potevano permettersele. Il volto del trasporto marittimo mondiale divenne quello dell’economia di scala. Fu così che si arrivò al varo di portacontainer dalla lunghezza di 400 metri, navi più grandi e più alte delle maggiori portaerei. mostri come l’Ever Given.

Una lieve sbandata, per un errore di manovra, ed il traffico mondiale resta al palo per una settimana: 300 navi cargo restano alla fonda, ma quasi altrettante optano per doppiare il famigerato Capo di Buona Speranza, pur di far giungere le merci, con costi e ritardi che il ‘mercato’, quello che gli economisti considerano il sistema circolatorio, se non l’anima, del mondo, sta ancora accusando. L’Ever Given, liberata il 29 marzo del 2021, era diretta a Rotterdam, quando invece, con una maggiore oculatezza da parte dell’Italia, avrebbe potuto sbarcare i suoi container a Genova.
Una triste storia che pochi italiani conoscono: l’asse Genova Rotterdam langue da anni
L’Europa è diventata piatta come l’Olanda, così annunciavano le autorità elvetiche alla caduta dell’ultimo diaframma dell’AlpTransit, una colossale rete ferroviaria scavata nel cuore delle montagne svizzere. Da parte elvetica c’era l’esigenza di liberare la sua superficie dall’ingente traffico merci su gommato, stabilendo collegamenti veloci e sostenibili tra i quattro punti cardinali dell’Europa. Da parte mondiale c’era una grande attesa per un collegamento ferroviario in particolare: quello tra Genova e Rotterdam. La ferrovia abbatterebbe drasticamente i lunghi tempi di navigazione intorno all’Europa peninsulare, circa dieci giorni. Perché circumnavigarla quando le merci potevano continuare su rotaia? Non troppo sorprendentemente, a tunnel ultimato, l’Italia è in ritardo. L’attuale linea Milano Genova non è in grado di sostenere il traffico di treni da 2500 tonnellate. L’ultimo diaframma per il cosiddetto terzo valico è caduto il 16 aprile scorso. “Siamo al 50 per cento di un’opera” ha detto il commissario straordinario per l’opera, Calogero Mauceri. Nel frattempo molte merci, prima destinate a Genova, ora viaggiano in modo efficace verso Rotterdam. Con una perdita stimata per il porto di 200 milioni all’anno.
L’eredità biomarina di Lesseps
Manomettere la geografia non è mai una buona cosa, soprattutto quando si parla di mari circoscritti. Mar Rosso e Mediterraneo sono abbastanza simili sotto questo aspetto; sono entrambi collegati agli oceani da due stretti: Gibilterra e Bab el Mandeb. In questi due bacini quasi isolati l’evoluzione ha sviluppato specie endemiche, ma lo ha fatto partendo da aree di riferimento completamente diverse: la regione atlantica e la regione dell’Indopacifico.

Le specie che hanno attraversato il canale per installarsi nel Mediterraneo sono dette lessepsiane, in onore (si fa per dire) di Ferdinand del Lesseps. Ne sono state censite quasi duecento, tra le quali un predatore voracissimo, lo Pterois volitans o pesce leone, e il pesce coniglio, Siganus luridus, un erbivoro meno aggressivo ma altrettanto efficace nel distruggere gli ecosistemi basati sulle alghe. Tra le alghe stesse sono decine le specie lessepsiane che stanno prendendo il sopravvento su quelle autoctone. Ma va detto: l’operazione Conquista del Med non sarebbe neanche iniziata se il riscaldamento del Mediterraneo non avesse offerto condizioni comode a specie di origine tropicale.
Il cambiamento climatico consente a specie invasive, e spesso distruttive, di adattarsi e proliferare. Malgrado l’allarme ecologico il dittatore Al-Sisi, attuale presidente dell’Egitto, nel 2015 vuole eguagliare Tolomeo II e Lesseps, raddoppiando il Canale di Suez con una via d’acqua parallela. Scopo dell’opera, messa a punto nel 2015 dall’esercito, è aumentare gli introiti dei pedaggi nelle casse dello stato, ma soprattutto celebrare il nuovo faraone. I devoti del libero mercato e della globalizzazione accolgono il raddoppio come una grande opportunità per il commercio mondiale. Gli unici a protestare sono gli ambientalisti rimasti, come al solito, inascoltati. Il 23 marzo del 2021 un cargo messosi di traverso nel canale di Suez rivela l’assoluta inutilità dell’opera faraonica voluta da Al-Sisi. Ma anche il più profondo, quasi inconfessabile motivo per cui il mondo intero continua a chiudere un occhio sui regimi egiziani: Suez.