Il salmone della discordia

Decine di leoni marini hanno fatto irruzione in un allevamento di salmoni sull’Isola di Vancouver, in Canada, intenzionati a restare. Farà sorridere, ma è solo una fase di una lunga guerra: quella tra gli umani e le specie selvatiche sul controllo delle risorse. Un conflitto dove la specie dominante, convinta di avere diritti su tutto il pianeta, non accetta nessuna forma di competizione.

L’invasione

Succede in ogni allevamento, sia ittico che di terra. Incursioni di volpi e faine possono verificarsi in ogni pollaio che si rispetti. Con una differenza: volpi, lupi, e anche gli orsi – per non parlare delle donnole – finita la razzia se ne vanno in fretta. I leoni marini di Rant Point invece sono rimasti. Sono arrivati a piccoli gruppi, hanno saltato le reti che delimitano l’allevamento, si sono avventati sui salmoni. Nel giro di una settimana diventano almeno venticinque esemplari, che non sembrano intenzionati ad andarsene.

Leone marino | © Konrad Wothe/Minden Pictures

Tutto quel cibo ammassato, facile da catturare, sembra essere stato messo lì per loro. Il personale dell’allevamento ittico mette in campo tutte le armi che gli sono concesse: sirene e botti. Per legge non possono più usare i famigerati cannoni ad aria sott’acqua, tantomeno uccidere i leoni marini. Possono solo assistere impotenti al forsennato banchetto. Nel 2015, in un altro allevamento della stessa compagnia, la Cermaq, ne avevano abbattuti quindici, a fucilate. Poi arrivò il divieto.

L’impianto di Rant Point accoglie circa 500.000 salmoni. L’abbondanza di prede facili, ammassate, porta alla frenesia. E alla strage. Un maschio adulto può mangiarne fino a dieci in un giorno, ma ucciderne molti di più. Molti salmoni vengono fatti a pezzi, i leoni marini sembrano prediligere la testa e scartare il resto. Le carcasse vengono raccolte su una chiatta e poi trasferiti sui moli galleggianti dell’impianto, in una lunga processione di vaschette piene, zeppe di corpi invendibili.

Allevamento di salmoni – Isola di Vancouver | © Grieg Seafood BC

Gli ambientalisti di Clayoquot Action, una ONG locale, decidono di andare lì a dare un’occhiata, temono che qualcuno spari ai leoni marini. Da anni chiedono inutilmente la chiusura degli allevamenti. La Cermaq è una multinazionale di proprietà della giapponese Mitsubishi ed è specializzata in trote e salmoni, con attività in Norvegia, in Cile e in Canada. Al centro delle battaglie contro gli impianti, gli attivisti hanno posto l’inquinamento, che in un’acquacoltura è concentrato, la diffusione delle malattie virali e infine le reti.

Salmoni nella gabbia

Hanno insistito affinché la Cermaq usasse reti che impedissero alle aringhe di entrare negli allevamenti, ma senza esito. La popolazione delle aringhe, un tempo fondamento dell’industria ittica in quelle acque, si è ridotta drasticamente per il solito stupido motivo: lo sfruttamento eccessivo. Le gabbie, ricche di cibo, attirano le aringhe ma queste al loro interno si accrescono fino a non riuscire più a passare attraverso le maglie. Una volta in trappola, finiscono mangiate dai salmoni. Inoltre, ogni anno una cinquantina almeno, tra leoni marini e foche, restano impigliati nelle reti degli allevamenti della Columbia Britannica, annegando.

Una protezione con molte falle e molti distinguo

In Canada l’unico leone marino che gode di protezione totale è lo Eumetopias jubatus, o leone marino di Steller. Le leggi canadesi nel passato non si sono distinte per la protezione dei pinnipedi. Il culling, la decimazione di esemplari, negli anni ’70 e ’80 era una pratica diffusa. Così diffusa da scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale. Il governo era convinto che le foche mettessero a rischio la popolazione delle aringhe. Erano i tempi in cui si parlava di catena alimentare e non di rete, ma per i legislatori di tutto il mondo, non solo del Canada, anche quel concetto lineare era poco compreso.

Colonia di leoni marini di Steller in Canada | © Nick Garbutt

Uno dei più agguerriti antagonisti all’uccisione dei cuccioli era proprio un cittadino canadese, un certo Paul Watson. Aveva iniziato la sua carriera con Greenpeace, incatenandosi alle navi baleniere e contrastando a rischio della sua vita i cacciatori di foche. In seguito, fondò Sea Shepherd. Secondo le statistiche del Dipartimento canadese della pesca e degli oceani, dal 1990 al 2015 quasi 6.000 foche, 1.200 leoni marini della California e 360 leoni marini di Steller, specie protetta, sono stati uccisi dagli allevatori di salmoni della Columbia Britannica.

Negli Stati Uniti il vento sembra più a favore per questa superfamiglia di animali, ma solo sulla carta. Il Marine Mammal Protection Act protegge i mammiferi marini dal 1972. Li protegge da uccisione, cattura e molestie. Li protegge finché non entrano in competizione con l’uomo sulla gestione di altre specie rigorosamente destinate al consumo umano, come la trota salmonata. A Ballard Locks, nei pressi di Seattle, la popolazione di trote salmonate precipita da 25.000 esemplari stimati nel 1970 a poche centinaia negli anni 2000. La colpa ricade sui leoni marini. Alcuni esemplari vengono deportati in quelle specie di circhi che sono i delfinari e presto si arrivò al culling: alla decimazione. Quella che gli ambientalisti leggevano come una grande capacità di adattamento dei leoni marini, era vista come una minaccia dalle autorità e dalle associazioni dei pescatori.

Leone marino
Distrazione di massa

Sempre nell’Oregon, e sempre nei primi anni 2000, i leoni marini cominciarono ad affollare la zona di Bonneville Dam sul fiume Columbia. Dam, in inglese, sta per diga. Le autorità avevano previsto un by-pass per i pesci migratori, ma i salmoni non lo sapevano e continuavano ad ammassarsi nei punti sbagliati. I pesci in difficoltà avevano attirato i leoni marini dall’oceano, per cento miglia all’interno, passando per Portland. I leoni marini erano troppo capaci. E quando la concorrenza diventa troppo abile, va eliminata. Ucciderli si dimostra più complicato del previsto, servono i pareri e l’approvazione dello stato dell’Oregon, della NOAA, e delle tribù native.

La NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, cerca un riscontro dal pubblico, che in una democrazia si esprime con un sondaggio. La delibera si esprime sull’abbattimento: 92 leoni marini della California (Zalophus californianus) devono essere uccisi ogni anno a Bonneville Dam. Parte la decimazione, un termine che in noi umani evoca un lato oscuro della nostra storia militare, ma anche il lato oscuro del nostro ruolo negli ecosistemi.

Colonia di leoni marini

La buona notizia è che il limite non viene mai raggiunto. Secondo la Humane Society, organizzazione statunitense che si oppone alla crudeltà verso gli animali, uccidere i leoni marini è frutto di una distrazione dai veri problemi dei salmoni, decimati a loro volta da una lunga serie di azioni umane, come pesca eccessiva e depauperamento dell’habitat. Non si sbagliano. L’uccisione dei leoni marini non ha alcun effetto sulle popolazioni di salmoni. I veri punti critici restano in piedi.

Pozzanghere

Il governo canadese ha già promesso di eliminare gradualmente l’allevamento ittico con recinti a rete entro il 2025, ma Clayoquot Action e altri gruppi ambientalisti spingono sul non rinnovo delle licenze oltre il 2022. Gli allevamenti sorgono per la maggior parte in una Biosfera dell’Unesco, semplicemente: non dovrebbero essere lì. Accusano il governo di favorire allevamenti che si curano di una sola specie, il salmone atlantico, e di ignorare il depauperamento dell’habitat degli altri salmoni selvatici. Ma quello del governo canadese è comunque un segnale chiaro di messaggio ricevuto.

Chissà se quando questo articolo verrà pubblicato i leoni marini se ne saranno andati o se ne staranno ancora nelle reti della Cermaq ad ingozzarsi di salmoni, forse convinti che quelle gabbie siano state messe lì apposta per loro. Qui non posso fare a meno di citare una pagina memorabile di Douglas Adams, autore della Guida galattica per autostoppisti, un estratto da un suo altro libro intitolato proprio così: Il salmone del dubbio. La pagina deride una nostra convinzione creazionista: “tutto ciò che ci circonda è stato fatto per noi.” Devono averlo creduto anche i leoni marini, alla vista degli allevamenti di salmoni e delle dighe che li bloccano. Ma Douglas Adams, su di noi ha un’altra conclusione:

“Immaginate una pozzanghera che una mattina si sveglia e pensa:

– Questo mondo in cui mi trovo è interessante, il buco in cui mi trovo è interessante, mi si confà. Deve essere stato fatto apposta per me! –

E mentre il sole si alza nel cielo e l’aria si riscalda, gradualmente, la pozzanghera diventa sempre più piccola, ma è ancora entusiasticamente convinta che tutto andrà bene, perché il mondo è stato costruito per lei. E mentre si compiace di tutto ciò, lentamente, inesorabilmente, evapora.”

 

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