Ci voleva James Cameron, uno che ha esplorato il fondale della Fossa delle Marianne, per trascinarmi a vedere tre ore di fantasy. Sapevo che più della metà del film era ambientato in mare e sott’acqua, una trappola irresistibile per uno come me.

La storia
Avatar 2 è un sequel costato lo sproposito di 460 milioni di dollari ma che non faticherà a restare a lungo nel tempo come il film che ha incassato di più nella storia. La trama è semplice: nel beato mondo di Pandora, dove i suoi abitanti vivono in armonia con loro stessi e la natura che li circonda, i terrestri ci riprovano. In fuga da un pianeta, la Terra, che hanno devastato fino a renderla inospitale sbarcano in massa, incendiando le foreste ed i suoi abitanti. Il loro impatto è simile a quello dell’asteroide. Migliaia di animali in fuga, inizia l’invasione. Gli abitanti si organizzano in una feroce resistenza.
La loro cavalleria è fatta di grifoni preistorici, fantastici esseri alati con i quali, come gli indiani del west, conducono attacchi ai treni per interrompere i rifornimenti e rubare le munizioni. Una pattuglia di terrestri guidata dal colonnello Miles Quaritch rapisce i figli di Jake Sully, uno dei capi della resistenza. I ragazzi con l’aiuto dei genitori riescono a fuggire, resta prigioniero Spider, un giovanissimo terrestre nato su Pandora. Jake Sully decide di nascondersi presso una comunità dal marcato carattere polinesiano in un meraviglioso arcipelago, per proteggere sé e la sua famiglia. Un villaggio fatto di stuoie tese, sospese sull’acqua è quanto di più polinesiano la mente umana potrebbe immaginare, è l’archetipo stesso, della Polinesia.

Per essere accettati dovranno abituarsi a quel mondo d’acqua. Inizia una esplorazione iniziazione, tra creature marine in grado di volare e di correre sotto la superficie (grifoni anfibi). E tra subacquei, kite-surfers e apneisti possiamo dirci quello che vogliamo, ma cosa vuoi più di cavalcare un animale in grado di sfrecciare sott’acqua meglio di uno scooter subacqueo e di volare in aria meglio che con un ultraleggero? Pane per i denti. Lo’ak, uno dei figli di Jake Sully, viene salvato da Payakan, un Tulkun, ovvero un cetaceo intelligente, col quale stringe una profonda amicizia. Il mare custodisce l’Albero delle Anime, un organismo luminoso che conserva la coscienza di tutti gli esseri viventi del pianeta. L’acqua, viene citato spesso nel film, è l’origine della vita, tutto torna all’acqua. Il mondo che accoglie i nostri profughi, non senza qualche ostilità da parte dei locali e problemi d’adattamento è un mondo popolato di luce e creature fantastiche. Il mare è essenzialmente un essere unico, luminoso anche di notte grazie alla bioluminescenza delle sue creature. Lo sa bene Cameron, regista di The Abyss, che da miliardario come Paul Allen ha scelto di esplorare il fondali marini invece dello spazio. Tutto fila liscio, anzi come in Paradiso, fino all’inevitabile arrivo dei cattivi. I terrestri e le loro macchine da guerra.

Un film di citazioni profonde
Cameron ed i suoi sceneggiatori sono persone di cultura. Non arrivi a realizzare Titanic e a farne un film di successo senza radici che affondano nelle storie umane. Il primo film che viene in mente è Ti-Koyo e il suo pescecane, film del 1962 di Folco Quilici, per la poesia e la simbiosi tra il popolo dell’arcipelago con le creature marine, ma anche il trascendentale Albero della vita, di Terrence Malik, con le sue estasi e le sue eterne, umanissime domande sulla vita e sulla morte. I mezzi usati dai terrestri ricordano un mondo d’acqua, di Ballard e gli ekranoplani progettati da Oros di Bartini, ibri

di tra aerei ed aliscafi realizzati dall’ex Unione Sovietica. C’è Hemingway, in un dialogo spiazzante tra Tom, il protagonista, e il figlio Andy durante una battuta di pesca alle Bahamas. “È lui che ha l’amo in bocca” dice Andy, “Io sono quello con l’arpione” dice il direttore delle operazioni scientifiche ad un ricercatore, senza risparmiarsi di aggiungere una battuta amara quanto bruciante sulla ricerca: “80 milioni di dollari che pagano anche la tua ricerca scientifica” una vera frecciata ai finanziamenti alla ricerca sul mare che vengono essenzialmente erogati dalla pesca. Non potevano mancare citazioni da Moby Dick, tra arpioni, cavi assassini e arti mozzati dalla furia vendicativa del cetaceo ferito, in una metafora che comprende anche una sorta di riabilitazione di Moby Dick.

Come la mitica balena bianca Paikan è un reietto che ha ucciso, ma si riscatta con l’amicizia con Lo’ak e sacrificandosi per proteggere il popolo dell’arcipelago. Il cetaceo si lancia sulla nave, ekranoplano, aliscafo da guerra dei terrestri causando esplosioni e corto circuiti, in una scena che è a sua volta una citazione di Il quinto giorno, di Frank Schaetzing, dove le balenottere affondano le barche di turisti in una sorta di ribellione della vita marina contro gli invasori. E ancora Il quinto giorno, il cui titolo originale è The Swarm, lo sciame, rientra in scena quando uno sciame di esseri luminosi guida gli eroi verso la salvezza. Magnifica la citazione di Titanic, in cui la nave non solo si allaga e affonda, si rovescia. Per una scena Kate Winslet, una delle vittime preferite di Cameron dai tempi di Titanic, ha trattenuto il respiro per 7 minuti e 14 secondi, battendo ogni record d’apnea per una star di Hollywood. Merito di Kirk Krack, fondatore della Performance Freediving International, che ha lavorato come istruttore d’apnea per il cast nelle scene subacquee.


Performance quasi reali di attori veri
L’agilità degli abitanti di Pandora è di per sé poetica, sembrano danzare per tutto il film. Sono attori veri. È il frutto di decine di telecamere digitali e di una enorme potenza di calcolo in grado di elaborare le figure umane e di proiettarle in una realtà aumentata tra il reale e il digitale. La potenza era tale che Cameron stesso era in grado di visualizzare le riprese già trasformate in realtà virtuale in tempo reale e di dare indicazioni agli attori per una performance ancora più incisiva, spettacolare. Immagino quanto si siano divertiti a lasciarsi trascinare dagli scooter subacquei a velocità folle, dato che i grifoni anfibi non esistono. Resta che alla base delle espressioni degli occhi e della bocca c’è una performance d’alto livello. È soprattutto dalle labbra che si può tentare di riconoscere gli interpreti, calati nei panni azzurrini dei Na’vi, gli abitanti di Pandora.

Per chi il mondo subacqueo lo conosce bene
Ho trovato, più di ogni altro macchinario terrestre, affascinanti i granchi degli invasori, dei sottomarini in grado di ritrarre chele e zampe sotto il carapace per una maggiore idrodinamicità. Geniale la trovata della caverna dove si può prendere aria. In ogni thriller subacqueo che si rispetti c’è una sacca d’aria sommersa che offre rifugio e ristoro ai fuggitivi. Nel nostro caso il rifugio è d’origine biologica, all’interno di un improbabile fiore di zucca marino, con la campana aperta verso il basso. Ho faticato, però ad accettare che si siano spesi centinaia di milioni di dollari per rappresentarci un mare ancora più fantastico, quando quello che abbiamo già, con le creature che lo abitano, ha aspetti e comportamenti al di là dell’immaginazione di molti esseri umani.

Perché inserire quattro mandibole, quattro pinne caudali e quattro pettorali ad un cetaceo? Perché inventare un pesce istrice ibridato al computer con un pesce leone? Non sono abbastanza strani per conto loro le megattere imparentate a terra con gli ippopotami, i calamari vampiri? Mi sono dato una risposta soddisfacente. Farlo, paradossalmente, avrebbe sabotato la sospensione dell’incredulità. Un qualsiasi organismo familiare ci avrebbe portati in questo mondo, dove gli esseri umani non hanno la pelle azzurrina. E non volano su e giù tra cielo e mare in sella a grifoni. La vittoria contro l’invasore del pianeta, che in realtà siamo noi stessi, ci indica una strada fatta di bellezza verso un mondo capace di salvarci e non solo nella fiction ma anche nella realtà del nostro pianeta. Un mondo che, come i popoli marini di Ki-Koyo, dovremmo imparare ad amare. La scena che più tocca il cuore è quella di un immenso anemone giallo che abbraccia, avvolge e assorbe il corpo del caduto in battaglia. Un abbraccio morbido, luminoso, ed un senso di vita circolare che dà potenza al messaggio.

Dimmi qualcosa che non t’è piaciuto
Hollywood non ce la fa. Ogni storia hollywoodiana passa attraverso un uso smodato di esplosioni e di armi. E le armi, siano esse ipertecnologiche o semplicissime frecce, vengono sistematicamente abbandonate nel finale, perché la storia deve finire a cazzotti tra il capo dei buoni e il capo dei cattivi. Finisce a cazzotti in cima ad uno strallo del Golden Gate o sott’acqua, non importa, finisce sempre così. Il vincitore salverà, o distruggerà, il pianeta in cui si svolge la lotta a mani nude. Ecco, io questa cosa fatico a comprenderla, ancora più del Fantasy.