Dieci motivi fondamentali per salvare l’Artico


“Salviamo l’Artico o Morte”, direbbe oggi Garibaldi, ma in questo caso non si tratterebbe della morte di pochi eroi votati al sacrificio, la sconfitta comporterebbe l’agonia di un intero pianeta. Il nostro. Greenpeace la sta mettendo giù dura? Ha ragione. Lo sfruttamento dell’Artico, pardon: lo sfruttamento del petrolio nell’Artico, è pericoloso quanto destabilizzante. Vi elenco i motivi. Difficile decidere la priorità. Vado a memoria.

  1. Lo sfruttamento dell’Artico è uno sport che inizia con il riscaldamento globale e lo scioglimento delle calotte. Senza la calotta polare tra le palle diventa via via più facile installare piattaforme di trivellazione e far circolare il petrolio da una parte all’altra degli Oceani, in ogni stagione a bordo di petroliere. Ergo: lo sfruttamento dell’Artico è un impulso al riscaldamento globale.
  2. Si deduce dal punto precedente che ogni governo che abbia dato il suo assenso allo sfruttamento dell’Artico non abbia a cuore la limitazione dei gas serra, e che ci stia prendendo in giro. È ovvio che paesi come la Corea del Nord non facciano testo anche se si oppongono.
  3. Consente alle multinazionali petrolifere di usare i governi come stati attori al loro servizio (eserciti e consenso popolare compresi) e delle esigenze dei loro azionisti, la scusa dietro la quale si trincerano tutti i CEO del mondo. Non è teoria del complotto, c’è su il solito schema: se non lo facciamo noi lo faranno i russi. O i Cinesi, i Canadesi, i Marziani. È fuorviante e rischiamo una guerra per l’Artico. La teoria del complotto serve allo stesso scopo: mistificare, fuorviare, distogliere. Parliamo, allora, di dati ufficiali, reperibili da fonti ufficiali. Come il National Geagraphic, per esempio.
  4. A che serve la calotta polare? Fa un po’ da moderatore del clima e fa rimbalzare i raggi solari. Il bianco respinge il calore – e lo sanno anche i sassi sott’acqua – lo scuro del mare, assorbe. La diminuzione della superficie della calotta polare potrebbe innescare, e probabilmente è già irreversibile, il surriscaldamento delle acque polari e lo scioglimento graduale dei ghiacci, nonché l’inversione della Corrente del Golfo, quella che garantisce alle Isole Britanniche e alla Scandinavia la libertà dai ghiacci perenni.
  5. Lo scioglimento dell’Artico potrebbe innescare una nuova glaciazione rallentando la Corrente del Golfo in superficie. Fantascienza? No, rapporti della Royal Navy, la Marina Reale Britannica che ha osservato questi cambiamenti tramite sottomarini militari molti anni fa, all’inizio del fenomeno.
  6. “A me che mi frega? Vivo alle Maldive!” Le Maldive scompariranno. E non solo loro. Con lo scioglimento dei ghiacci il livello del mare si alzerà. Probabilmente per pochi secoli, secondo le teorie che vedono una glaciazione come effetto immediato al surriscaldamento, ma abbastanza a far scomparire nazioni intere, come le Maldive e Kiribati, luoghi dove vivono persone, e dove ancora i media che si occupano di ambiente osannano il mare e la natura per come sono e come dovrebbero restare in eterno.
  7. Un incidente nell’artico non sarebbe un incidente lontano da casa, ma coinvolgerebbe l’ecosistema marino globale. Non è catastrofismo, gli Oceani, come il clima, sono soggetti a meccanismi antichissimi e molto precisi. Vicino ai poli, per effetto di dinamiche che vedono coinvolte correnti che salgono dall’abisso grazie alle differenze di temperatura garantite da ghiacci perenni, i nutrienti abissali salgono per alimentare il fitoplancton, la base della nutrizione oceanica, più del grano nella nostra cultura alimentare. È ai poli, e quindi anche nell’artico, che si formano le più grandi biomasse di fitoplancton, e di conseguenza di krill, che si nutre di fitoplancton, e che a sua volta nutre a cascata tutta la rete alimentare degli Oceani.
  8. Non è solo una questione di graziosi animaletti, di krill (lo zooplancton composto da gamberetti e che prospera dove il fitoplancton fiorisce), né una questione di graziose balene e cetacei, tra gli utenti finali del krill più cari al pubblico. Certo, saremmo tutti molto dispiaciuti nel perdere balene e orsi bianchi, e foche e specie rare, ma un disastro nell’artico, teniamolo bene in mente, potrebbe comportare una catastrofe planetaria. Sapete chi è responsabile del 50% dell’ossigeno prodotto nel pianeta?
  9. Risposta: il fitoplancton. Funziona come le foreste, che stiamo distruggendo. Adesso prendiamocela con l’Oceano Artico, che produce più fitoplancton di quanti alberi produce l’Amazzonia. Cito un sito gestito da biologi marini: gli invisibili signori dell’ossigeno.
  10. Orsi polari, foche, pulcinelle di mare e innumerevoli altre specie sono minacciate da gente senza scrupoli. Non lasciamoci ingannare da paventate misure di sicurezza: la Exxon Valdez, la Nigeria e la Deepwater-Horizon dovrebbero averci insegnato abbastanza. Non solo: tutte le forma di vita che popolano la regione artica sono lì da molto prima della nostra comparsa sul pianeta. È curioso: ci si batte per salvaguardare etnie, micro-culture al collasso demografico, dialetti parlati da poche anime in valli sperdute, ma non ci si batte mai con la stessa forza per difendere chi c’era prima di noi, chi era parte del meccanismo ‘Natura’ senza mai stravolgerlo, come gli orsi per esempio. E sugli orsi bianchi spero nessuno riesca, un giorno, a mostrare la sua faccia di tolla dicendo che sono diventati pericolosi perché urbanizzati. A meno che non si voglia urbanizzare l’Artico con palafitte e case galleggianti: la fanghiglia già avanza, come gli eserciti e le trivelle. Come da perfetto panorama apocalittico.

 

© Paul Nicklen

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