Sul fondo dell’Oceano Pacifico, in una vasta area tra il Messico e le Hawaii, i ricercatori hanno scoperto ben 5,578 nuove specie marine. Il mare rinnova la sua capacità di sorprenderci. Sembrerebbe quindi un’ottima notizia. Peccato che quella zona, grande due volte l’India, sia la Clarion-Clipperton Zone, o CCZ, un fondale oceanico ricco di minerali sui quali le compagnie minerarie vogliono mettere le mani.

Un oceano di sorprese
“Era una grande barca, ma sembrava minuscola in mezzo all’oceano. Potevi vedere le tempeste che arrivavano, è stato molto drammatico. Ma anche sorprendente: in ogni singolo campione trovavamo nuove specie.”
Muriel Rabone, capoprogetto.
Deve essere stato entusiasmante per i ricercatori scoprire che degli organismi prelevati dagli abissi solo il 10% appartenevano a specie conosciute. Mesi di oceano avevano portato a bordo circa 100.000 esemplari prelevate dalle acque profonde della CCZ. Erano stati raccolti con l’ausilio dei ROV, sottomarini a guida remota, ma molto più spesso con i più economici box corer, delle vere e proprie scatole munite di pale meccaniche adatte a catturare campioni da fondali limacciosi.

Alla fine del censimento i ricercatori scoprono che solo sei delle nuove specie erano già state precedentemente descritte; i cetrioli di mare Psychronaetes hanseni (specie descritta nel 1983) e lo Psychropotes dyscrita (1920), il nematode (vermiforme a simmetria bilaterale) Erebussau tenebricosus (1993), la spugna carnivora, Axoniderma longipinna (1886), il crinoide Hyocrinus foelli (1999) e l’esacorallo Abyssopathes anomala, descritto nel 2017. Nell’osservare i campioni recuperati dai fondali oceanici gli scienziati si trovano al cospetto di una profusione di nuove creature marine. Il 90% del raccolto, appunto.

In cima alla lista ci sono gli artropodi, che costituiscono il 27% del database, seguono gli anellidi, o vermi segmentati, che costituiscono il 18%, e poi i nematodi, che costituiscono il 16% delle specie elencate. In fondo alla lista ci sono gli cnidari, un phylum che include meduse e coralli, poi alcune spugne, poi i molluschi (che includono i nudibranchi, i bivalvi e i cefalopodi) e infine i tardigradi, i misteriosi, indistruttibili invertebrati che riescono a sopravvivere in condizioni estreme azzerando il loro metabolismo. Nonostante l’oscurità e la scarsa disponibilità di cibo, l’habitat della Clarion-Clipperton Zone ospita diverse comunità di esseri invertebrati bentonici, anche se con densità minori rispetto agli ecosistemi costieri, recita lo studio.
Nel mondo di Alice
“Ci sono alcune specie semplicemente straordinarie laggiù. Alcune spugne sembrano classiche spugne da bagno, altre sembrano vasi. Sono semplicemente bellissime – ha dichiarato Muriel Rabone in un comunicato stampa – tra le mie preferite ci sono le spugne di vetro. Hanno queste piccole spine e, al microscopio, sembrano minuscoli lampadari o piccole sculture”.

Muriel Rabone, capoprogetto, non nasconde le sue emozioni davanti a ciò che osserva. L’occhio scientifico della ricercatrice si è posato su un mondo intriso di bellezza. Quella bellezza esotica (ma sarebbe più corretto definirla aliena) che hanno in dono le creature marine di profondità, la colpisce. Si ritrova, tra i campioni prelevati, gamberi completamente trasparenti, con carapace, arti e organi come di vetro; solo gli occhi conservano ancora dei pigmenti. E poi vermi piatti, nudibranchi, spirografi e altre creature che, per la maggior parte, hanno in comune un bassissimo livello di pigmentazione. Se non una totale trasparenza. È l’effetto del buio degli abissi dove i colori vengono lasciati indietro dall’evoluzione, come spesso accade con le caratteristiche che non sono funzionali alla sopravvivenza in un dato ambiente. Un mondo abitato da specie fatate, a volte fantasmagoriche, spesso surreali. La biodiversità all’interno della CCZ si rivela più alta di quanto si sospettasse. Le migliaia di nuove specie appartengono a 27 phyla che possono essere ulteriormente suddivisi in 49 classi, 163 ordini, 501 famiglie e ben 1.119 generi. Purtroppo, studiarle tutte in tempi ragionevoli può diventare una sfida colossale anche per i migliori istituti del mondo.

Adrian Glover, coautore dello studio con Muriel Rabone.
Delle 5.578 nuove specie identificate dai ricercatori ne sono state già formalmente descritte soltanto 436. È il frutto di mesi di lavoro passati a confrontare i risultati con innumerevoli database, tra i quali spicca DeepData, una piattaforma gestita da ISA, il discusso International Seabed Authority, ente creato dalle Nazioni Unite e ora sponsorizzato da un pool di compagnie minerarie francesi, tedesche, russe, cinesi, coreane e giapponesi. Il suo scopo è quello di regolamentare le attività minerarie di alto fondale, il deep-sea mining, particolarmente nella Clarion-Clipperton Zone.

ISA figura tra i committenti dello studio (pubblicato da Current Biology) in partnership con due enti prestigiosi: la Pew Charitable Trusts e il Museo di Storia Naturale di Londra. L’estrazione mineraria in alto mare in zone al di fuori della giurisdizione nazionale è attualmente bloccata. Dato che l’impatto ambientale delle indagini esplorative è limitato, l’ISA può concedere solo licenze per missioni esplorative presso i potenziali giacimenti. Finora, nella CCZ, sono stati erogati solo 17 permessi. Sfortunatamente, ISA potrebbe iniziare a rilasciare licenze di estrazione già nel luglio 2023, quando per i paesi membri scadranno i termini per concordare nuove normative. Senza un accordo le aziende possono iniziare a richiedere permessi con vincoli di protezione ambientale che al momento sono estremamente lacunosi. Un vero salto nel buio.

Cos’è la Clarion-Clipperton Zone
Ne abbiamo già parlato in questo articolo sul Deep Sea Mining. Per chi non avesse voglia di leggerlo tutto lo riassumiamo con alcune righe. La CCZ è un vasto fondale oceanico disseminato di noduli polimetallici, pepite dalla genesi ancora non del tutto chiara. Pare si siano formate strato dopo strato in milioni di anni intorno a dei sedimenti, come per esempio un dente di squalo. Si pensa che grazie alla immensa pressione dell’ambiente abissale, unita a fenomeni elettrolitici, i sedimenti abbiano raccolto nel tempo una enorme varietà di minerali. Alcuni di essi rari. Si tratta di manganese, nichel, rame, cobalto, ferro, silicio, alluminio, calcio, sodio, l’ambitissimo litio, e poi magnesio, potassio, titanio e bario. Sostanzialmente un bottino imperdibile per le società estrattive che riforniscono una società sempre più affamata di metalli. Di quella zona sapevamo molto sulle sue risorse minerarie già dagli anni ’60, ma quasi nulla sulla sua vita marina. L’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA) ha rilasciato licenze esplorative nella CCZ per un’area complessiva di 1 milione di chilometri quadrati e ha designato nove aree come Aree di Particolare Interesse Ambientale (APEI), dove non è possibile svolgere nessun tipo di attività mineraria.

Queste aree protette coprono ciascuna circa 160.000 chilometri quadrati e si trovano ai margini delle aree per le quali sono state rilasciate licenze di esplorazione. La NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, ha più volte fatto notare che le attività minerarie condotte in acque profonde potrebbero provocare danni seri. Secondo una simulazione condotta nel Pacifico Orientale “l’estrazione di questi noduli polimetallici potrebbe portare alla distruzione della vita e dell’habitat del fondale marino nelle aree di sfruttamento – si legge in una nota dell’agenzia.

Il mare come risorsa puramente economica
La scoperta di nuove specie, più di 5000 e ben il 90% di quelle recuperate, ci fornisce il quadro perfetto di dove vadano i soldi per la ricerca. Questa scoperta sembra confermarci, come accade troppo spesso con l’ittiologia, che i finanziamenti si sono sempre concentrati più sullo sfruttamento economico del mare che sui progetti che si prefiggono di studiarne la salute e la biodiversità. Sappiamo molto dei noduli polimetallici a migliaia di metri di profondità, sappiamo benissimo come estrarli e la tecnologia è già pronta. Non sappiamo nulla delle specie che vivono lì intorno, probabilmente in simbiosi, né di come interagiscano tra loro e con quell’habitat, quindi con gli oceani in generale. E di conseguenza con il mondo di superficie, cioè il nostro.

- https://www.nytimes.com/interactive/2022/08/29/world/deep-sea-riches-mining-nodules.html
- https://www.bbc.com/news/science-environment-65722878
- https://www.nationalgeographic.com/animals/article/deep-sea-animals-new-species-mining
- https://www.cell.com/current-biology/fulltext/S0960-9822(23)00534-1
- https://www.imperialecowatch.com/2021/05/18/deep-sea-mining-dal-mare-liberum-allazione-di-greenpeace/